“Ci dicono che senza la garanzia dello Stato e nuovi finanziamenti dalla Cdp Aspi fallirebbe, allora la cedano allo Stato per 1 euro, avendo già incassato in dividendi molto molto di più di quanto investito”. Lo sostiene il presidente dell’Osservatorio su liberalizzazioni e trasporti (Onlit) Dario Balotta spiegando che “la storia di degli ultimi 20 anni di Autostrade per l’Italia è fatta di extra-profitti, che sono stati tutti prosciugati dalla controllante Atlantia, lasciando Aspi super indebitata, con la compiacente acquiescenza di chi al Ministero avrebbe dovuto controllare”. “Con i 10 miliardi di dividendi pompati via da Aspi – prosegue -Atlantia si è comprata l’Aereoporto di Roma, l’aeroporto di Nizza, una quota importante dell’Eurotunnel, il 50% di Abertis (le autostrade spagnole) e altri ricchi asset”. “Se ora Aspi è in difficoltà – conclude – dovrebbe essere Atlantia stessa a rimettere nella controllata parte dei fondi prelevati negli anni e a garantire quanto necessario invece di chiedere l’intervento dello Stato” (ANSA)
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ALITALIA: BALOTTA (ONLIT), SBAGLIATO E INIQUO NAZIONALIZZARE IL VETTORE
AL VETTORE AMMORTIZZATORI SOCIALI COME AGLI ALTRI LAVORATORI
Per i rimpatri di italiani all’estero non serve ri-nazionalizzare l’Alitalia, bastano gli aerei militari. Se in questa fase di emergenza Covid-19 non arriveranno offerte entro il 18 marzo per l’acquisto di Alitalia – come è ampiamente verosimile, data la paralisi che sta provocando l’epidemia – per superare la fase d’emergenza sociale è sufficiente la proroga della cassa integrazione: non però quella di extra-lusso garantita fin qui ai dipendenti della compagnia, ma la stessa dei lavoratori delle altre categorie. Un altro maxi-finanziamento per nazionalizzare Alitalia, che oramai ha solo il 7% di quota di mercato nazionale, come quello allo studio del Governo in uno dei decreti in discussione in queste ore, è quanto più sbagliato ed iniquo si possa decidere, soprattutto in un momento in cui servono enormi risorse per la sanità e gli ammortizzatori sociali – soprattutto dei lavoratori della cosiddetta “gig economy” come i rider, che non ne hanno mai goduto.