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EUROPA & MONDO

Esteri, LE GUERRE (PER PROCURA) CON I DRONI

Il conflitto in Georgia aveva dimostrato, alla fine dell’ultimo decennio, che le forze armate russe erano in ritardo nell’area dei droni da combattimento, sia per quanto riguarda lo sviluppo dei sistemi sia per l’equipaggiamento delle sue forze.

La maggior parte di questi armamenti era stata progettata negli anni ’80.

Dieci anni dopo, prima il conflitto siriano, poi quello in Libia, hanno confermato che è in atto un’importante inversione di tendenza. Secondo dati resi noti dal Ministero della Difesa russo, Mosca ha dispiegato in Siria più di 70 droni tattici, di diversi modelli per le sue missioni belliche e altri sono stati testati lì per esplorare nuove procedure.

Infatti, diversi mesi prima del loro intervento In Siria, le forze speciali russe avevano effettuato missioni di ricognizione e uno dei loro droni era stato intercettato dall’esercito di liberazione siriano nell’estate del 2015.

È ormai noto che le forze armate russe hanno sperimentato la guerra con i droni anche in aree addestrative in Armenia, e in modo più approfondito nel conflitto nel Donbass (Ucraina). A differenza delle forze NATO l’interesse russo per le missioni di guerra elettronica da piccoli droni tattici è notevole anche perché l’esercito russo ha capito che le comunicazioni via cellulare erano l’anello debole delle forze armate per ottenere informazioni sulla situazione delle forze nemiche.

La campagna siriana, con l’utilizzo dei droni dalle basi di Hmeimim, Aleppo e Palmyra, è stata sia un’opportunità per le forze armate russe di organizzare in modo chiaro come debba essere condotto l’uso dei droni e di testare modelli che saranno presto distribuiti a tutte le forze armate sia il modo di proseguire lo sviluppo di microdroni che sarebbero idonei per il combattimento urbano in caso di conflitto con paesi della NATO.

In merito, il Cremlino ha pubblicato, in autunno, un documento sulla nuova strategia per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale affermando che lo sviluppo di algoritmi per il controllo dei droni è una necessità fondamentale.

Ultimamente l’uso da parte di gruppi terroristici islamici di droni è stato oggetto di attenzione da parte di analisti in tutto il mondo.

In particolare, per dare una prima spiegazione all’uso dei droni in Medio Oriente bisogna tener presente che negli ultimi anni la Cina Popolare è stata sempre più desiderosa di incrementare il commercio di armi e questo, per le sue industrie belliche, significa vendere estensivamente droni oltre ad armi di piccolo e medio calibro.

Da numerosissime fonti e da prove “sul campo” è ormai certo che le armi cinesi sono utilizzate e vendute in tutto il mondo, compresa la Libia.   In particolare i resti di un missile di certa fabbricazione cinese indicano un’escalation della guerra dei droni in quell’area di guerra. Infatti, è stato ritrovato un missile LJ-7 che è l’armamento principale del drone Wing Loong di fabbricazione cinese.

Il Wing Loong, che ha caratteristiche simili al drone Predator prodotto dagli Stati Uniti, è stato venduto ed è in linea di utilizzo da parte di alcune forze aeree del Medio Oriente, comprese quelle dell’Egitto, degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita. Il Predator è il drone in linea d’impego anche all’Aeronautica Militare Italiana che in questi giorni ha fatto sapere di aver raggiunto le 50mila ore totali di volo.

Non è un caso, che sia l’Egitto sia gli Emirati Arabi Uniti stanno dando supporto logistico in Libia, alla fazione dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) guidata dal Generale Khalifa Haftar che sta combattendo contro il governo di accordo nazionale sostenuto politicamente dalle Nazioni Unite.

Gli Emirati hanno finanziato la costruzione della base aerea di Al Khadim, un ex aeroporto nella provincia di Al Marj, nella Libia orientale, e dal 2016 dispiegano, nella base, aerei di attacco e droni Wing Loong al fine di fornire la copertura aerea per le forze di Haftar.

La Cina, è noto, sta promuovendo lo sviluppo e l’impiego di droni e secondo fonti del Pentagono alcune stime indicano che Pechino prevede di produrre oltre 42.000 sistemi senza pilota terrestri e marittimi entro il 2023. In merito, la RAND Corporation, un think tank californiano con stretti legami con l’US Air Force, ha reso noto che la diffusione dei droni cinesi potrebbe avere implicazioni preoccupanti anche per gli Stati Uniti.

Dopo la neutralizzazione del Capo della Guardia Repubblicana islamica iraniana, Suleimani (e la conseguente messa a nudo della pochezza strategica dell’Iran), è tornata alla ribalta delle cronache la capacità USA di utilizzo dei droni, al momento non raggiungibile da nessun altro paese.

Durante e dopo la guerra del Golfo, l’esercito USA ha iniziato a far volare droni sull’Iraq, segnale dell’interesse americano ai moderni droni militari. Nell’ultimo decennio, la Central Intelligence Agency ha utilizzato veicoli armati e pilotati a distanza per neutralizzare gruppi di terroristi che si organizzavano per effettuare azioni contro le forze statunitensi in Pakistan e Afghanistan. La già citata neutralizzazione di Soleimani è stata un perfetto esempio della capacità americana di intraprendere azioni militari contro i terroristi ovunque si nascondano, dimostrando che i droni stanno ora giocano un ruolo chiave nel contrasto alle minacce in ambito internazionale.

Le potenzialità anti drone dell’Iran sono state, quindi, sconfessate dopo la parziale dimostrazione di capacità, lo scorso giugno 2019, quando un drone di sorveglianza americano era stato abbattuto dagli iraniani nello Stretto di Hormuz.

Tornando al conflitto alle porte del nostro paese, in Libia, dopo l’intervento della Turchia, tutto è cambiato quando Erdogan ha confermato di aver drasticamente aumentato il suo supporto militare alle forze armate del governo di Tripoli di Al-Serraj (GNA) che è anche largamente sostenuto economicamente dal Qatar.

Insieme ai mercenari ex terroristi turcomanni, Ankara ha inviato droni armati di fabbricazione turca, vale a dire il Bayraktar TB2. Più piccolo e con una portata molto più corta rispetto al Wing Loong cinese, che, come precedentemente indicato, viene usato dalle truppe fedeli al Generale Haftar, il Bayraktar è, comunque,  in grado di individuare e distruggere i bersagli di terra del LNA, creare problemi alla logistica delle sue linee di rifornimento e attaccare le basi aeree avversarie che per lungo tempo sono state considerate sicure.

Le truppe di terra filo-governative affiancate dai mercenari turchi, al momento, possono operare con copertura aerea e conoscendo le posizioni del nemico.
Proprio la Libia è l’esempio migliore, da portare all’opinione pubblica, di guerra per procura della quale i droni sono uno degli strumenti bellici principali.

Le grandi potenze, che sono anche le principali produttrici con le loro industrie, si sfidano in territori “neutri” per loro, sperimentando le possibilità dei loro prodotti e la loro capacità di confrontarsi con i paritetici mezzi delle controparti.
Siria, Donbass, Golfo Arabico sono le altre e più note aree della guerra per procura. Ce ne sono altre, meno note e pubblicizzate dai media, al di fuori della nostra area d’interesse primaria.

In Italia, la Piaggio Aerospace costruisce il drone P1HH (anche con funzioni civili di monitoraggio) che è il fiore all’occhiello della nostra tecnologia aeronautica

Piaggio Aerospace, in crisi commerciale anche in conseguenza del fermo produttivo dovuto al Covid-19, ha una forza di lavoro di 980 addetti e il proseguire dell’attività è fondamentale anche per l’indotto d’imprese fornitrici.

È noto che sia il Governo Italiano sia il Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini stanno seguendo la problematica. 
Il mercato dei droni non si ferma e se l’Italia esce dal mercato i possibili acquirenti si rivolgeranno altrove, certo non resteranno senza questa tecnologia ormai fondamentale in tutte le aree di crisi.

Generale Giuseppe Morabito