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ECONOMIA

Cariplo Factory presenta Cinque azioni strategiche per rilanciare l’economia del Paese

Nonostante la crisi economica e sociale che il nostro Paese si appresta ad affrontare, questo difficile momento può essere (anche) un’occasione di crescita per il sistema Italia.

L’emergenza legata al Coronavirus può essere l’opportunità per investire nei grandi trend trasformativi e assicurare al nostro Paese un futuro rilevante nell’economia mondiale che verrà (e che probabilmente non sarà globalizzata come siamo stati abituati a pensarla negli ultimi trent’anni). In Cariplo Factory, siamo convinti che l’innovazione sia uno strumento essenziale per affrontare le sfide che ci attendono perché, se il mondo non tornerà a essere quello che conoscevamo, la capacità di produrre cambiamento sarà una risorsa vitale. Pensiamo che le startup siano il miglior agente d’innovazione disponibile sul mercato e, per questo, siano un patrimonio da tutelare e valorizzare.

Lo hanno dimostrato sul campo, proprio durante la crisi da Covid-19, rispondendo in modo veloce, creativo e, soprattutto efficace, alle necessità più diverse, ricavando un respiratore da una maschera da snorkeling oppure organizzando la spesa condominiale per le persone in difficoltà.

Chiaramente, in un momento di incertezza sul futuro delle grandi industrie e delle PMI, che rappresentano la struttura portante della nostra economia, con le ombre lunghe del crescente disagio sociale, è giusto dare la priorità a elementi di maggiore peso macroeconomico. Tuttavia, dimenticare quelle microimprese innovative, finanziariamente fragili ma ricche di talento, competenze e tecnologie, con un enorme potenziale di crescita, sarebbe una grave miopia. Una mancanza di visione strategica che potrebbe non solo frenare la ripartenza, ma condizionare anche la competitività del nostro Paese nel lungo periodo.

Il Governo ha promesso di mettere sul piatto centinaia di miliardi di garanzie pubbliche per salvare le imprese: una dimostrazione di credito fondamentale nei confronti del sistema produttivo. Come Cariplo Factory, crediamo sia importante che questo maxi-investimento possa e debba fruttare anche in termini di innovazione, ricerca e sviluppo. Un sistema in grado di fare fronte ai bisogni di liquidità può diventare terreno fertile per accelerare su diversi fronti competitivi e adeguare i modelli di creazione del valore in una logica più sostenibile, nel rispetto non solo del patrimonio naturale ma anche del capitale umano e sociale. 

Abbiamo individuato cinque azioni per sostenere l’innovazione, e in particolare le startup, in questa fase di ripartenza. Cinque azioni ambiziose affinché questa crisi possa anche essere un’occasione di crescita per il sistema Italia. 

  1. Facilitare i meccanismi di innovazione attraverso un procurement agile

Le proiezioni sull’intero 2020 mostrano un crollo del PIL superiore al 10%, il dato peggiore nella nostra storia repubblicana. Molti analisti hanno già fatto scattare l’allarme per una depressione economica prolungata. In questo contesto, il rischio di paralizzare l’intero ecosistema congelando l’innovazione italiana per il prossimo decennio è concreto. Nella nostra esperienza, l’innovazione fiorisce laddove quegli agenti di cambiamento che sono le startup possono interagire con capitali o grandi aziende. Dei capitali ci occuperemo nei punti seguenti, qui ci concentriamo sulle aziende: i grandi gruppi, sicuramente quelli pubblici, ma non solo, sono vincolati ad agire in un perimetro normativo penalizzante, che non permette loro di muoversi in tempi rapidi e in modo efficace. E allora, visto che il momento è eccezionale, anche i provvedimenti devono esserlo: pensiamo a una piattaforma di smart procurement, gestita direttamente da un’agenzia collegata alla pubblica amministrazione, in grado di facilitare l’incontro e la collaborazione con le startup, già tracciate nel Registro delle imprese innovative, e i grandi gruppi presenti in Italia, organizzazioni sufficientemente strutturate per affrontare velocemente percorsi di open innnovation e coglierne i relativi benefici. Sono state proprio le startup a mostrarci, durante l’emergenza Covid-19, l’importanza del fattore velocità: lo smart procurement è uno strumento che permetterebbe lo sviluppo di servizi e prodotti innovativi in grado di rispondere ai nuovi bisogni con cui, certamente, ci troveremo a confrontarci nei prossimi 12/24 mesi. La proposta è in linea con i provvedimenti di semplificazione già adottati dal Governo nel decreto-legge Cura Italia del 17 marzo.

  1. Creare un piano strategico 2020-30 per accelerare la transizione verso l’economia circolare e i nuovi modelli di creazione del valore

Non sappiamo quando potremo dichiarare finita l’emergenza, ma già oggi sappiamo che difficilmente le cose torneranno come prima. A cominciare dalla globalizzazione: in molti, a partire dall’economista Jeremy Rifkin, si sono espressi sulla crisi di questo modello. Il distanziamento sociale, ancora per un lungo periodo, sarà la regola. La mobilità di merci e persone un fattore di criticità. Il modello dei distretti produttivi, che hanno fatto la fortuna dell’Italia a partire dagli anni Cinquanta, probabilmente tornerà attuale perché le logiche di prossimità saranno centrali per sviluppare nuovi modelli di creazione del valore. Ai quali può contribuire in modo determinante anche il concetto di adattività, vale a dire la reingegnerizzazione dei processi produttivi. Un elemento in grado di contenere il rischio per medie, piccole e microimprese e valorizzare la resilienza delle comunità locali.

L’economia circolare è la massima espressione di questi modelli. E per una volta l’Italia si trova nel ruolo della lepre: diversi indicatori sono concordi nel collocarci primi in Europa in molti settori dell’economia circolare. Siamo davanti anche a Francia e Germania che però, in virtù di una pianificazione più strutturata e di lungo periodo, stanno crescendo a una velocità superiore alla nostra. L’Italia utilizza al meglio le risorse destinate all’avanzamento tecnologico e ha un buon indice di efficienza (3,5 euro di PIL per ogni chilogrammo di risorsa consumata, la media europea è di 2,24), tuttavia è penalizzata dalla scarsità degli investimenti (circa 2,5 volte più basso rispetto a quello della Germania e 2 volte inferiore a quello della Francia), che si traduce in carenza di innovazione (siamo all’ultimo posto per brevetti depositati), e dalle lacune sul fronte normativo. È urgente invertire la rotta: finora abbiamo agito con le leve dei bonus, degli incentivi e delle misure spot. È arrivato il momento di una misura strutturale, in grado di assicurare continuità agli investimenti e alle risorse. Crediamo che si opportuno definire una strategia nazionale di lungo periodo e un piano di azione decennale per l’economia circolare, due strumenti che potrebbero assicurare al Paese un progetto di sviluppo (sostenibile) nel lungo periodo.

  1. Stimolare la trasformazione digitale attraverso la defiscalizzazione degli investimenti in progetti innovativi

La pandemia ci ha permesso di toccare con mano le enormi potenzialità della trasformazione digitale. Nonostante le difficoltà di una situazione estrema, milioni di italiani hanno sperimentato i benefici dello smart working. Gli studenti di scuole e università, nel giro di pochi giorni, hanno cominciato a seguire le lezioni dietro a un tablet o un pc anziché in classe. La telemedicina è stata una panacea per assistere anziani, pazienti cronici e altri soggetti fragili, senza farli muovere da casa. Il digitale, insomma, ci ha permesso di tenere accesi i motori del Paese durante i giorni del lockdown. Ma non sono state tutte rose e fiori: mai come in questi giorni abbiamo capito che il digital divide non è una questione tecnologica bensì un tema di inclusione sociale: in Italia solo il 24% delle abitazioni è raggiunto da servizi di rete ultraveloce e ci sono molte zone a “fallimento di mercato” dove gli operatori non hanno convenienza a portare la loro offerta. 

Tuttavia, il problema vero non è l’hardware, ma il software, cioè i nuovi contenuti, i nuovi servizi, i nuovi processi, le nuove soluzioni di efficientamento, i nuovi canali di vendita. In una parola, il change management. Enormi opportunità che rischiamo di non cogliere. Il digitale è il principale fattore abilitante per la crescita post emergenza e per la competitività delle nostre imprese, grandi e piccole che siano, nel lungo periodo. Per questo occorre una strategia che stimoli la trasformazione digitale: crediamo che defiscalizzare gli investimenti pubblici e privati destinati allo sviluppo di progetti innovativi sia il modo migliore per perseguire questo obiettivo. Soprattutto se questi progetti coinvolgono le startup in una logica di open innovation e di collaborazione con le imprese.

  1. Sostenere finanziariamente le startup con provvedimenti straordinari

 

Le startup e le PMI innovative costituiscono il motore dell’innovazione. Sono imprese fragili, che esprimono numeri poco rilevanti da un punto di vista macroeconomico (il valore della produzione ammonta a circa 1,2 miliardi di euro per 12 mila posti di lavoro), tuttavia con un enorme potenziale di crescita. Lo stallo dell’economia, causa emergenza Covid-19, rischia di colpire prima di tutto loro. Prive di significative riserve di cassa, spesso esposte dal modello “as a service” e fortemente impegnate nella continua evoluzione della loro soluzione, una parte rilevante delle startup italiane rischia di non superare l’anno in corso. E, come detto, è un rischio che l’innovazione italiana non può permettersi di correre. Il perché è tutto in un numero: 10 miliardi di euro. È la valutazione media delle cosiddette startup unicorno (cioè con valutazione superiore al miliardo), poco meno di 500 aziende nel mondo che 30 anni fa non esistevano e che hanno utilizzato moltiplicatori di crescita possibili soltanto grazie a servizi e prodotti innovativi. 

Crediamo che, in questo senso, debbano essere adottate misure straordinarie. VC Hub, l’associazione dei Venture Capital in Italia, ha recentemente definito una serie di provvedimenti urgenti a sostegno finanziario delle startup: credito d’imposta per la copertura dei costi fissi; emissione di prestiti “convertendo”; rimborsi dell’iva; credito d’imposta per attività di ricerca, sviluppo e innovazione; contratti a tempo determinato per i neo-assunti; contributi a fondo perduto per fronteggiare il Covid-19; moratoria dei finanziamenti; incentivazione dell’afflusso di capitale e delle acquisizioni di imprese innovative. Sono misure che abbiamo già pubblicamente sottoscritto e nelle quali ci riconosciamo pienamente.

  1. Raddoppiare i fondi di Corporate Venture Capital attraverso il contributo di finanza pubblica

Creare le condizioni affinché le startup possano sopravvivere è condizione necessaria ma non sufficiente per alimentare l’innovazione in Italia. È necessario stimolare l’iniziativa privata, favorire quelle forme di contaminazione finanziaria, preludio al processo di osmosi di conoscenze, competenze e talenti, tra le grandi corporate e le startup. Lo strumento si chiama Corporate Venture Capital e ha giàdimostrato buone potenzialità nel nostro Paese: i quasi 10mila investitori in Corporate Venture Capital sono presenti nel capitale di una startup italiana su quattro. Inoltre, le startup partecipate da questo genere di investitori crescono di più e falliscono di meno rispetto a quelle partecipate solo dai fondi di investimento. E il 40% dei ricavi totali prodotti dalle startup italiane deriva da startup investite da Corporate Venture Capital. Il modello funziona, ma come spesso accade in Italia soffre di nanismo, cioè non ha una dimensione sufficiente per generare valore in modo significativo. 

Alla luce di questa fotografia, pensiamo che le grandi corporate Italiane (e in generale le aziende di qualsiasi dimensione) debbano essere stimolate alla creazione di fondi di Corporate Venture Capital prevedendo logiche di matching fund di finanza pubblica. Vale a dire che a fronte della costituzione di un fondo di Corporate Venture Capital, un contributo pubblico con la medesima quota di capitale ne raddoppierebbe la capacità di investimento. Crediamo che questa misura possa creare le condizioni ideali per permettere alle grandi aziende del nostro Paese di lavorare con il comparto startup e innescare virtuosamente l’innovazione made in Italy.

Contributo a cura di:

Carlo Mango, Consigliere Delegato

Riccardo Porro, Chief Operating Officer

Marco Noseda, Chief Strategy Officer

Matteo Scarabelli, Chief Communications Officer

Gioia Piccioni, Legal Advisor

Ugo Castellani, Chief Technology Advisor

Anders Nilsson, Startup & Internationalization Senior Advisor

Enrico Noseda, Chief Innovation Advisor

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ECONOMIA

Commercialisti, diversificare gli interventi per i vari cluster d’impresa

Il Cluster principale è rappresentato dal Made in Italy che comprende quasi 620 mila imprese con 4 milioni di addetti e 261 miliardi di valore aggiunto mentre quello con il numero di imprese più elevato è rappresentato dall’Edilizia che sfiora il milione di unità con 1,9 milioni di addetti e 160 miliardi di valore aggiunto. Altro Cluster di rilievo è quello della Sanità che comprende 346 mila imprese ed occupa quasi un milione di addetti per 98 miliardi di valore aggiunto.

Misurare l’impatto diversificato della crisi sui vari cluster d’impresa perché solo una conoscenza diretta dei problemi delle PMI di ognuno di essi può aiutarle a venirne fuori. A patto che l’azione sia tempestiva, non solo per dare le giuste risposte agli imprenditori, ma, soprattutto, per infondere in loro quella necessaria fiducia a far fronte alle sfide anche impossibili che si presenteranno da qui a breve.

Sono i temi del documento “Emergenza Covid -19”, pubblicato dal Consiglio e dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti che raccoglie le analisi e le proposte della categoria per i singoli cluster d’impresa alla luce dell’emergenza epidemiologica.

I Cluster al momento operativi rappresentano, complessivamente, 1,9 milioni di imprese di cui quasi 420 mila società di capitali. Vi operano circa 7,3 milioni di addetti che realizzano una produzione di 1.476 miliardi di euro ed un valore aggiunto di 558,5 miliardi pari al 35% del valore aggiunto prodotto da tutte le attività economiche. Il Cluster principale è rappresentato dal Made in Italy che comprende quasi 620 mila imprese con 4 milioni di addetti e 261 miliardi di valore aggiunto mentre quello con il numero di imprese più elevato è rappresentato dall’Edilizia che sfiora il milione di unità con 1,9 milioni di addetti e 160 miliardi di valore aggiunto. Altro Cluster di rilievo è quello della Sanità che comprende 346 mila imprese ed occupa quasi un milione di addetti per 98 miliardi di valore aggiunto. Più piccoli ma non meno significativi il Cluster rappresentato dall’Economia del Mare che raggruppa poco più di 15 mila imprese e 262 mila addetti con 23,5 miliardi di valore aggiunto e il Cluster Ambiente con 9 mila imprese, 194 mila addetti e 16 miliardi di valore aggiunto. All’interno del Cluster Made in Italy, si segnala il settore Turismo con 345 mila imprese, 1,6 milioni di addetti e 66 miliardi di valore aggiunto che rappresenta certamente la parte maggiore del tessuto imprenditoriale, mentre il settore della Meccanica è quello che realizza la quota maggiore di valore aggiunto pari a 113 miliardi di euro, il 43% dell’intero Cluster.

Il documento individua, per ogni cluster, i comparti e le tipologie di attività economiche delle imprese che ne fanno parte. Su questa base, quindi, presenta sinteticamente i principali dati statistici con particolare riguardo al numero di imprese e alla forma giuridica, al numero di addetti e laddove possibile al fatturato e al valore aggiunto prodotto. Segue una rapida analisi delle problematiche specifiche delle imprese che vi fanno parte, con riguardo sia agli aspetti fiscali che economico- finanziari”.

“Il documento – spiega Achille Coppola, segretario del consiglio nazionale dei commercialisti e con il consigliere Giuseppe Laurino responsabile del progetto “Attività d’impresa” – nasce nell’ambito del progetto “Attività d’Impresa”, che si pone l’obiettivo di sviluppare nuove competenze professionali tra i Commercialisti facendo leva sull’esperienza di chi si è specializzato nella consulenza a determinati settori produttivi e tipologie di business. Il progetto prevede la realizzazione di una struttura a rete in grado di valorizzare le conoscenze teoriche e pratiche dei Commercialisti, favorirne la circolazione tra colleghi, promuovere specifiche iniziative di formazione specialistica, implementare un sistema di relazioni socio-economiche in grado di valorizzarne al meglio i contenuti anche attraverso il coinvolgimento dei principali stakeholder dei vari cluster d’impresa”.

“Questo documento – aggiunge Laurino – evidenzia l’importanza della nostra categoria per la P.A. e le imprese del Made in Italy, Economia del Mare, Edilizia & Ambiente e naturalmente quelle sanitarie. In questo preciso momento, dopo le professioni sanitarie e le forze dell’ordine, i commercialisti sono coloro che più di prima sono al fianco dello Stato e delle imprese. Con la nostra competenza per settore, strutturati in rete, ci proponiamo in chiave sussidiaria, con l’obiettivo di rendere più veloci i tempi dettati dalla burocrazia e dalle “sabbie mobili” delle norme”.

I cluster esaminati sono: nell’ambito del Made in Italy, Agricoltura e Agroalimentare, Turismo, Cultura, Moda e Accessori,  Meccanica; per quanto riguarda  Service economy, il settore Sanità; L’Economia del Mare; e per l’Edilizia e l’Ambiente, Sistema Casa e Infrastrutture, e il settore Ambiente.

Il documento online sul sito della Fondazione Nazionale dei Commercialisti (www.fondazionenazionalecommercialisti.it).

 

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EUROPA & MONDO

Adolfo Urso (vicepres. Copasir): Coronavirus, chiederemo a ministro Di Maio chiarimenti dal Governo cinese

Il senatore Adolfo Urso, vicepresidente del Copasir, a 24Mattino ha dichiarato “Ieri persino la Merkel ha chiesto spiegazioni al governo cinese su come sia nato questo virus e perché sia stato dato un tardivo allarme al mondo. Lo avevano fatto già Trump, Macron, il premier australiano… l’Italia, che è la principale vittima, mi sembra strano che non abbia chiesto a sua volta chiarimenti ufficiali al governo cinese. Questo può significare che non si vuole disturbare il manovratore magari perché esso è già oggi fin troppo influente nel nostro Paese”.

Il vicepresidente del Copasir aggiunge: “Di Maio già doveva venire, poi la convocazione è stata rinviata di giorno in giorno. Io credo che sia necessario, e domani ne parlerò esplicitamente nella riunione del comitato presieduto da Volpi, chiedere di accertare come sia accaduto tutto ciò e perché il nostro governo, a differenza di altri, non agisca per avere chiarezza”.

Parlando degli asset strategici per il Paese, il senatore Urso ha affermato che “Già nella relazione annuale presentata in parlamento nel febbraio 2018 dall’allora governo Gentiloni era evidente come vi fosse una regia straniera nell’opera di ‘colonizzazione predatoria’ in atto nei confronti di imprese italiane che operano in alcuni settori strategici. Il Copasir aveva già attuato un’indagine conoscitiva sul settore delle telecomunicazioni nella presidenza Guerrini nel 2018, conclusa lo scorso anno e in cui nel settore delle telecomunicazioni, e quindi 5G e app Immuni, noi evidenziavamo come non fosse possibile consegnare l’infrastruttura delle telecomunicazioni alle aziende cinesi perché esse operano con un sistema di potere che, di fatto, le obbliga a diventare esse stesse strumento, ove richiesto, dei servizi segreti cinesi, e quindi proteggere i nostri dati, di imprese e cittadini, da possibili incursioni malevole”.

“Quel rapporto è pubblico – continua Urso – e in quel rapporto all’unanimità il Copasir dava istruzioni precise al governo per proteggere l’infrastruttura delle telecomunicazioni. Ora l’indagine riguarda il settore bancario e assicurativo, indagine ora ancora più necessaria perché il Paese si è ulteriormente indebolito, e quindi oggi è possibile che accada quello che già temevamo prima, cioè di azioni predatorie di shopping di quelli che sono gli asset strategici del Paese, a cominciare da banche e assicurazioni”.

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ECONOMIA

Economia, Presentate le nuove caramelle Herbamelle-Fabbri 1905

In periodi difficili come l’attuale, le buone notizie sono fondamentali per far circolare la speranza, soprattutto se arrivano dal comparto industriale che sta soffrendo per il blocco, imposto per il contenimento del coronavirus.

Riportiamo con soddisfazione che due realtà del settore dolciario Italiano, Herbamelle di Milano che produce caramelle di altissima qualità, senza glutine e lattosio e addirittura integrali e Fabbri 1905, storica azienda produttrice di sciroppi, hanno dato vita alle nuove caramelle Herbamelle-Fabbri.

Attraverso un’operazione di co-branding verrà proposto al mercato un nuovo prodotto, in due varianti di gusto grazie agli sciroppi all’Amarena e alla Menta dell’iconico marchio Fabbri 1905, unito all’esperienza di Herbamelle nel mondo delle caramelle e nella ricerca di un packaging dal design raffinato.

La caramella all’Amarena Fabbri è una esplosione di gusto in cui il dolce si sposa con il leggero acidulo del frutto creando un’armonia di sapore davvero unica. Il ripieno di pura pasta di amarena aumenta il piacere e l’idea di assaporare il frutto come appena colto.

La caramella Menta Fabbri utilizza solo la migliore menta dolce del Piemonte per creare un prodotto fresco e piacevole con un morbido ripieno che favorisce la sensazione di degustare un bicchiere, di appagante e dissetante sciroppo alla menta Fabbri. 

La busta a forma di vaso di Herbamelle, completa il progetto dando un visual unico al prodotto. Infatti questo particolare packaging, che ricorda i vasi in ceramica, è stato studiato e brevettato per mantenere la posizione verticale, facilitando l’apertura attraverso una pratica zip apri-chiudi.

Il prodotto è stato testato su un panel importante di consumatori e ha riscosso un successo straordinario sia per propensione all’acquisto che per gradimento dei gusti delle caramelle stesse. A confermare la bontà di questi nuovi prodotti è stata l’assegnazione del prestigioso premio QUALITY AWARD 2020 . 

L’amministratore delegato di Herbamelle, Andrea Ambrosoli ha dichiarato: “Riteniamo davvero di aver creato, in collaborazione con Fabbri, due caramelle davvero iconiche che stanno già facendo il loro ingresso nella GDO più qualificata”. 

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Politica internazionale,

Stefano Buffagni (vice MISE): “MES, non sono soldi regalati, ci impone dei limiti che dovrà pagare pure mio figlio fra trent’anni”

Il Meccanismo europeo di stabilita’ (MES) “Non sono soldi regalati, ma ci impone dei limiti che dovrà pagare pure mio figlio fra trent’anni” ha affermato Stefano Buffagni, viceministro dello Sviluppo Economico a 24Mattino di Simone Spetia e Maria Latella su Radio 24. “Si tratta di ulteriori debito che verrebbe dato in cambio di alcuni limiti che sono previsti dai Trattati. Allora o si cambiano i Trattati, oppure sono solo parole”.

”Ora che la Spagna e il Portogallo lo vogliono utilizzare è una legittima scelta, ma noi non vogliamo farlo – aggiunge Buffagni -. Noi abbiamo bisogno di uno strumento che permetta all’Italia e a tutta l’Europa di ripartire. Il tema degli eurobond devono servire a far ripartire il Paese e l’Europa. L’idea di dover accedere per forza ad uno strumento che ci metterà dei limiti grossissimi e che dovrà pagare mio figlio tra trent’anni. Non capisco perché dobbiamo farci da soli il cappio, con una corda che vogliono darci in un momento di difficoltà per strozzarci tra un po’ di tempo”.

L’Europa deve ripartire “tutta unita” oppure “questo continente pagherà un conto salatissimo perché abbiamo due player come Cina e Stati Uniti ci schiacciano alla velocità della luce”, ha proseguito Buffagni, viceministro dello Sviluppo Economico. “L’Olanda da sola sul mercato è una pulce, da soli siamo meno forti che all’interno di un’Europa che decide di ripartire unita. Quindi non vedo perché per egoismi dobbiamo continuare a fare ragionamenti da nani da giardino. Nessuno sta chiedendo agli altri Paesi di prendersi in carico il nostro debito”.

Il viceministro dello Sviluppo Economico è intervenuto anche sulla nomina di Colao, e se fosse stato meglio nominarlo Ministro? ”Lasciamolo lavorare tranquillo è stato appena nominato responsabile della task force che affianca Palazzo Chigi. E’ una scelta utile, può dare un contributo importante per affrontare la fase della riapertura. Non credo debba diventare ministro, sarebbe un problema politico grosso come una casa. Il Paese ha bisogno del contributo di tutti e da tante realtà diverse”.

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ECONOMIA

MES : Chiarezza storica ed attuale tra tutti i “partecipanti”

Troppa confusione mediatica, troppa tifoseria che non giova a nessuno senonché

ad una distrazione di massa sull’argomento. Prendetevi qualche minuto di attenzione per arrivare al fondo

 

In rete ormai sempre di assistere ad una gara di proprie ragioni, quando di fatto il giusto sta sempre nel mezzo e fin troppo spesso in questi giorni si vedono schieramenti di adpeti e leoni da tasitiera (spesso nascosti da profili fake) a pubblicare link, copia incolla e falsità sull’argomento MES.

Procediamo per ordine cercando di spiegarlo nella maniera più semplice possibile cosicchè possa essere recepito da tutti.

M.E.S. (Meccanismo Europeo di Stabilità) – è un’organizzazione intergovernativa (con sede in Lussemburgo) dei paesi che condividono l’euro come moneta, e ha il compito di aiutare i paesi che si trovano in difficoltà economica.

A cosa serve

Serve a mettere in comune il denaro di tutti ed a utilizzarlo nel caso in cui uno stato membro si trovi in difficoltà, visto che – condividendo la stessa moneta – le difficoltà di un paese possono avere conseguenze anche sugli altri. Il MES venne definito nel settembre del 2012 dal Governo Monti.

Monti mes

Il MES può raccogliere sui mercati finanziari fino a 700 miliardi di euro. Questi soldi poi possono essere prestati agli stati in difficoltà, per esempio per ricapitalizzare i loro sistemi bancari. Gli stati che vengono aiutati dal MES, se rispettano alcune condizioni, possono ricevere anche l’aiuto illimitato da parte della BCE sotto forma delle famose OMT, un piano che di fatto permette l’acquisto senza limiti di titoli di stato del paese in crisi.

Per ricevere l’aiuto, uno stato deve accettare un piano di riforme la cui applicazione sarà sorvegliata dalla famosa “Troika”, il comitato costituito da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. Il piano di riforme di solito prevede misure molto impopolari, come taglio alla spesa pubblica, in particolare alle pensioni, privatizzazioni, liberalizzazioni e flessibilizzazione delle leggi sul lavoro, allo scopo di rendere nuovamente sostenibili i conti pubblici. Fino a oggi Grecia, Cipro, Portogallo e Irlanda hanno usufruito di programmi di aiuto del MES.

Chi ha messo mani al MES

Sotto parleremo di Berlusconi, Conte, Salvini e Meloni ma per ora dovete sapere che la riforma del MES riemerge nel 2018 e viene discussa come tentativo di accontentare tutti, e in quanto tale è il frutto di un compromesso tra le parti: per esempio i paesi più indebitati, come l’Italia, che volevano che le linee di credito precauzionali erogate dal MES (in gergo PCCL e ECCL) venissero concesse anche senza bisogno di sottoscrivere un accordo dettagliato di riforme impopolari. Nella versione finale questa modifica è stata accolta (per quanto riguarda la PCCL), ma è stata aggiunta un’altra condizione su richiesta degli stati più ricchi del Nord, che di fatto la rende inutile. Per avere una linea di credito, infatti, sarà sufficiente una lettera di intenti, ma solo per quegli stati che rispettano i parametri di Maastricht (10 stati su 19 membri dell’eurozona, Italia compresa, non potranno quindi utilizzare a loro vantaggio questa misura).

I paesi indebitati hanno invece ottenuto una vittoria nella trattativa sul “backstop” per il Fondo di risoluzione unico, un fondo finanziato dalle banche europee che serve ad aiutare istituti finanziari in difficoltà. Con l’introduzione del “backstop” il MES potrà finanziare il Fondo di risoluzione fino a 55 miliardi; le banche – soprattutto quelle della periferia d’Europa ma non solo – diventeranno così più sicure.

La terza modifica introdotta dalla riforma è invece voluta dai “rigoristi” del Nord Europa, e come tale non piace all’Italia (ma non solo a Salvini: anche il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco ha detto di essere preoccupato, come il presidente dell’Associazione bancaria italiana Antonio Patuelli). Di fatto la riforma cerca di rendere più facile “ristrutturare” il debito pubblico di un paese che chiede aiuto al MES.

In altre parole, i privati che hanno prestato soldi agli stati in crisi dovranno perdere una parte del loro investimento nel momento in cui scatterà un pacchetto di aiuti. Uno dei sistemi per ottenere questo risultato è l’obbligo di emettere un particolare tipo di titoli di stato (i cosiddetti “single limb CAC”) che permettono una “ristrutturazione” (cioè una riduzione concordata del valore del prestito fatto allo stato) tramite un solo voto dei creditori, invece che con le procedure più complesse delle altre tipologie di titoli di stato. Questo vuol dire che un paese in difficoltà potrebbe restituire meno di quello che deve ai suoi creditori, che è una cosa buona; ma la cosa meno buona – e temuta – è che i creditori, sapendo di questa possibilità, finiscano per chiedere interessi più alti ai paesi che percepiscono più a rischio, come l’Italia.

Ora il tasto dolente dove tutti vogliono capire

CHI HA RAGIONE SUL MES ???

giorgia meloni mes

         Matteo, Giorgia o Giuseppe ? Tutti e nessuno.

Andiamo per ordine – Premettendo che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha mal utilizzato lo strumento mediatico pubblico, in quanto pagato da tutti usufruendone per un proprio interesse personale, non si trova corretto pertanto attaccare senza diritto di replica. La sua voce rauca,  con molta probabilità è indice di consapevolezza d’essere in difetto. Proprio li che invoca alla concordia nazionale ma poi attacca le opposizioni. Questo atteggiamento rischia di mettere in difficoltà il nostro paese nonché di credibilità nella persone che “dovrebbe” rappresentarlo al meglio – Il suo messaggio alla nazione è stato della serie, se io dovessi fallire il negoziato europeo sui coronbond, la colpa sarà di chi non è al governo – Imbarazzante !

Quando nasce il MES

Da qui nasce la disinformazione in rete – Il MES non esiste dal 2008, non è stato approvato da Berlusconi e non è additabile l’Italia dato che la Signora Germania si è resa complice di taroccare i conti e sempre cercato di mettere sotto scacco il ns paese. Quindi veniamo a noi.

Si mettono le basi nel 2008. Poi con la nuova crisi economica, che ha colpito l’Europa nel 2010, che già allora stava soffrendo l’agitazione finanziaria arrivata dagli Stati Uniti, a causa della crisi dei mutui subprime del 2008-2009″. Esordisce così la sezione del sito ufficiale del Mes dedicata alla sua storia – Pertanto fin qui di certo non si posso additare Berlusconi, Salvini e la Meloni che tra l’altro quest’ultima era assente al moment del votoUna crisi Europea era in qualche modo da affrontare.

Nel 2011 è verissimo che il Governo Berlusconi abbia tracciato gli ulteriori passaggi del MES, ma un conto è redigere un qualcosa, diverso è approvarlo. Di fatto il Cavaliere è venuto poi fuori che venne silurato appositamente per i soli interessi dell’Europa e così lo prese in mano Mario Monti subentrato a Berlusconi.

Iniziate a capire la sottigliezza ? – Far andare l’attezione su uno, distraendo sulle vere colpe e responsabilità – Di fatto, lo stesso Giulio Tremonti ha sempre precisato che non avrebbe firmato quel documento.

Tremonti mes

 

Cosa succede dopo

Dal 2017 l’Europa ha aperto all’ipotesi di rivedere il trattato istitutivo ed è proprio questa eventualità che ha spianato la strada a un profondo dibattito in Italia. La riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità ha richiesto ovviamente l’approvazione dei governi oltre che la ratifica parlamentare di ciascuno Stato.

Le condizioni più caratteristiche della riforma del MES sono state le seguenti le seguenti:

  • non essere in procedura d’infrazione;
  • vantare un deficit inferiore al 3% da almeno due anni;
  • avere un rapporto debito/PIL sotto il 60% (o, almeno, aver sperimentato una riduzione di quest’ultimo di almeno 1/20 negli ultimi due anni, insieme ad un’altra serie di paletti non facilmente giudicabili a livello oggettivo.
  • Dopo l’Eurogruppo del 17 marzo 2020, svoltosi nel mezzo dell’emergenza coronavirus, la riforma del MES è stata ufficialmente rimandata per dare priorità alla lotta alla pandemia.

Il rapporto dell’Eurogruppo cosa dice

Il rapporto che l’onorevole Meloni ha mostrato pubblicamente, porta il benestare del Ministro Gualtieri e dove si evince chiaramente che se il testo venisse approvato dal Consiglio Europeo, il MES sarà attivo entro le 2 settimane successive.

In conclusione chi ha ragione

Il MES è attivo – NO.

Il MES potrà essere attivato – SI – Al primo problema con lo spreed, in assenza di strumenti come ad esempio gli Eurobond, stando alle carte di Giuseppe Conte ed il suo Ministro, nel totale silenzio il MES potrà essere attivato pertanto ora al Presidente del Consiglio non rimane altro che recarsi al Consiglio Europeo declinando e dimostrando ad alta voce dissenso, nonostante il suo Ministro Gualtieri del PD abbia asserito con un bel OK di gradimento.

Ci sono colpe del M5S

E’ una domanda che spesso l’utenza in rete si pone. Difficile additare una colpa, laddove ci fosse – Un movimento che non si definisce da sempre partito, che pubblicizza di non diventarlo mai (diventandolo), che doveva aprire il Palazzo come una scatoletta di tonno, che ha perso gran parte dell’elettorato e di mal gestione amministrativa dei comuni da loro gestiti, che non si sarebbe mai alleata con il Partito di Bibbiano (ora ci governano); come possiamo indicare sul niente, una colpa, su chi non fa niente ?

 

MES – VARESE PRESS : Vedi anche [ Clicca Qui ]

 

Fabio Sanfilippo

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ITALIA

Atena Startup Battle, spostato al 1° ottobre l’evento finale della competizione tra le più innovative start up italiane

La situazione italiana di forte emergenza ha portato allo spostamento al 1° ottobre 2020 dell’evento finale Atena Startup Battle, la competizione tra le più innovative startup italiane, ideata da TMP Group. Spostata anche la chiusura della call al 1° settembre per raccogliere le candidature delle start up. Diventa infine gratuita l’iscrizione delle start up alla competizione.

Atena Startup Battle, in partnership con tre importanti realtà del mondo FinTech e innovazione – lo Studio Gattai, Minoli, Agostinelli & Partners, Two Hundred e Talent Garden – punta a far emergere le giovani startup del territorio per dar loro la possibilità di presentare e concretizzare progetti innovativi.

L’evento finale, che si terrà sempre al Talent Garden Calabiana di Milano, offrirà infatti l’occasione, a 20 startup selezionate, di sfidarsi a suon di “pitch” per presentare il proprio progetto e aggiudicarsi il premio finale del valore di 50mila euro in servizi di consulenza in ambito legale, di comunicazione, networking digitale, e di investimenti in equity crowdfunding.
L’emergenza corona virus ha anche anticipato la fine del roadshow di presentazione che ha toccato alcune tra le più importanti città italiane, dando a tutte le startup intervenute l’opportunità di conoscere la battle, condividere la propria idea imprenditoriale e formarsi.

Sarà però possibile seguire in streaming la tappa dell’8 aprile, aperta a tutti, dove chi si registrerà qui https://www.eventbrite.it/e/biglietti-roadshow-atena-startup-battle-webinar-edition-101182792456 potrà farsi conoscere e scoprire di più su come candidarsi.

Davide Maestri, Chief Marketing Officer TMP Group: “In un momento così difficile per il nostro Paese abbiamo deciso di non fermarci, mantenendo tutte le risorse necessarie per premiare le start up, e anzi, promuovendone il coinvolgimento dando loro la possibilità di partecipare alla competizione gratuitamente. Siamo sicuri che questa fase della storia possa rappresentare anche un’occasione di grande fervore per chi ha idee e le vuole condividere: noi crediamo fermamente che si debba incentivare ancora di più lo sviluppo dell’ecosistema startup e innovazione in Italia per permettere al nostro Paese di ripartire con ancora più slancio.”.

Per partecipare alla Battle: sarà possibile candidare la propria Startup sul portale Atena Startup Battle www.atenastartupbattle.it entro il 1° settembre 2020. Sul sito sono disponibili il regolamento della competizione e il programma completo dell’evento. 

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ECONOMIA

Bcc, 10 milioni di euro di pronta liquidità a imprese, artigiani, commercianti e partite Iva

Fronteggiare tempestivamente il fabbisogno di liquidità delle imprese e collaborare a garantirne la continuità produttiva. Con questi due obiettivi primari, la Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate mette a disposizione un primo plafond di 10 milioni di euro per prestiti a tassi e condizioni agevolate per le aziende socie e clienti.
«E se ce ne sarà bisogno siamo pronti ad aumentare lo stanziamento, perché l’impatto del danno del Coronavirus sull’economia dipende strettamente dalla quantità  di soldi che verranno destinati per il sostegno dell’economia reale -dice Roberto Scazzosi, presidente della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate-. La crisi che stiamo vivendo ha colpito contemporaneamente sia la domanda sia l’offerta di beni e servizi: le nostre imprese soffrono e ormai tutti, anche le famiglie, hanno chiaro che stiamo vivendo una fase di emergenza economica. Il nostro ruolo di banca locale ci impone di attuare iniziative di concreto sostegno al territorio, oltre naturalmente a favorire tutte le procedure e le misure stabilite dai decreti del governo, come la moratoria sui mutui».

I finanziamenti a breve termine verranno erogati come mutui chirografarisenza spese di istruttoria, a tassi e condizioni agevolate, per un importo singolo massimo di 250mila euro, con una durata fino a 18 mesi (inclusi i primi 6, se richiesti, di pre ammortamento). 
«Per richiedere il prestito vanno presentate l’autocertificazione di aver subito danni derivanti dall’emergenza sanitaria e il prospetto delle spese da sostenere -spiega Carlo Crugnola, direttore generale della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate-. Per i finanziamenti fino a 50mila euro abbiamo istituito un iter di delibera istantanea, mentre gli importi più alti dovranno prevedere spese giustificate per il 70% del totale richiesto. Inoltre, oltre alle spese di istruttoria sono state azzerate quelle di incasso della rata».
«Come sempre, e non solo nei momenti di difficoltà, abbiamo facilmente creato la rete nel nostro territorio per supportare la nostra azione di iniezione di liquidità -chiosa il presidente della Bcc, Roberto Scazzosi-. In particolare, per agevolare l’accesso al credito abbiamo raggiunto intese con i vari Confidi del territorio».

«Da questa crisi se ne esce solo facendo rete e cooperando, ognuno per il suo ruolo, per sostenere e far ripartire l’economia -commenta Andrea Bianchi, direttore di Confidi Systema!-. Per questo abbiamo deciso di supportare le misure adottate dalla Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate. Per noi questo territorio è importante, nel 2019 abbiamo avuto una crescita del 20% dei finanziamenti garantiti, aiutando oltre 130 imprese, soprattutto Pmi, nel 94% dei casi con fatturato inferiore a 5 milioni di euro. Insieme vogliamo rivolgere il nostro supporto oggi proprio a queste realtà per garantire loro un nuovo futuro domani».

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ECONOMIA

Avremo una nuova grande recessione

Governi ed Istituzioni europee hanno deciso strategie diverse rispetto al 2008

In Italia sarà profonda almeno quanto quella del 2008, se non peggiore

Ormai è chiaro che l’impatto sarà fortissimo. A differenza di dieci anni fa, però, governi e istituzioni europee hanno cambiato strategia e questo, sperano molti, aiuterà a limitare gli effetti peggiori di questa nuova grande crisi economica.

E’ di pochi giorni fa la notizia che le agenzie di rating hanno condannato l’Italia: sarà recessione. Al di là del fatto che fare previsioni al momento non è semplice, senza sapere quanto durerà la pandemia, soprattutto alla luce del fatto che ci troviamo di fronte ad una situazione mai vissuta prima, sembrerebbe che la situazione a cui si prepara ad anadare incontro il nostro Paese non sia delle migliori. Ma anche se se ne parla molto sappiamo veramente cos’è una recessione e cosa comporta per la nazione colpita? – Cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando.

Questa volta sembra che le cose andranno diversamente. Le autorità europee e i governi degli stati membri si sono accordati per spendere tutto quello che sarà necessario per fronteggiare la crisi. La Banca Centrale Europea si è impegnata a finanziare le banche e ad acquistare titoli di stato per evitare una nuova stretta creditizia, mentre i governi hanno varato piani economici per sostenere imprese e lavoratori.

 presidente conte

Le stime

Presto per dirlo, ma l’ Istat pubblicherà i dati sull’economia nel primo trimestre 2020 soltanto ad aprile, mentre il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, per ora si è limitato a dire che il governo si aspetta «una contrazione rilevante del PIL» (fonti anonime del ministero hanno parlato di ipotesi di studio vicine al 3 %).

Nel frattempo banche e centri studi privati hanno già pubblicato le loro ipotesi sul futuro. Secondo UBS e Morgan Stanley ipotizzano un calo tra il 5 e il 6 per cento del PIL, Fitch è più ottimista e ipotizza un calo di poco più del 3 per cento. I più pessimisti di tutti sono gli italiani di Ref Ricerche, che ipotizzano un calo fino all’8 per cento e Goldman Sachs, che nel suo ultimo rapporto stima per l’Italia una recessione superiore a 11 punti percentuali (e un calo del 9 per cento complessivo per l’economia europea). In generale, le stime ipotizzano che l’Italia sarà tra i paesi europei più colpiti dalla recessione, poco più della Germania e della Francia. In ogni caso, tutta Europa e gli Stati Uniti entreranno in recessione nel corso del 2020.

Le stime sul PIL

C’è da precisare che le stime vanno sempre trattate con estrema attenzione. Il calcolo non è una scienza, ma l’arte di saper ponderare al meglio gli avvenimenti, dato che è pieno di varibili ancora sconosciute.

 

Per esempio: quanto ancora dureranno le misure di quarantena, quando saranno riaperti i confini, quanto sarà duro il colpo per l’economia cinese e quanto lo sarà per quella americana.

La crisi, in pratica

E’ la misura di quaranta che sta fermando il nostro paese, con a capo un governo apparentemente insicuro nonché interedetto e tardivo nel prendere decisioni.

Siamo in recessione. Questo è ormai chiaro – Nessuno sa esattamente quanta parte dell’economia italiana si sia fermata, e non sappiamo nemmeno quante persone vanno ancora fisicamente al lavoro ogni giorno (una considerazione importante non soltanto dal punto di vista economico ma anche per la salute pubblica, visto che i luoghi di lavoro sono, insieme agli ospedali e ai supermercati, gli ultimi luoghi di aggregazione in cui il virus può ancora diffondersi liberamente).

In tutto, secondo le principali stime, a marzo l’attività economica in Italia si è ridotta del 20, forse del 30 per cento. Dopo l’annuncio di venerdì, il governo e Confindustria hanno fornito cifre ancora più impressionanti: circa il 70 % dell’economia italiana potrebbe essersi fermato. Anche se le misure intraprese dal governo probabilmente limiteranno i licenziamenti e i fallimenti, l’impatto su milioni di lavoratori precari o in nero sarà enorme e si stima che la disoccupazione tornerà presto a superare il 10 %.

La risposta delle istituzioni

Il governo italiano e le autorità europee stanno cercando di attenuare l’impatto della crisi; fortunatamente, per il momento non sembra che ci troveremo ad affrontare di nuovo una situazione simile a quella della grande crisi del 2008-2012. All’epoca la recessione fu accompagnata da una severissima “stretta creditizia”: le banche non prestavano più soldi alle imprese e gli investitori si rifiutavano di acquistare titoli di stato italiani, poiché dubitavano della capacità dell’Italia di rimborsare i debiti contratti. In risposta i governi tagliarono le spese e alzarono le tasse, rendendo ancora più difficile la vita delle persone (la manovra economica del 2012, approvata dal governo Monti, prevedeva oltre 30 miliardi di euro tra tagli alla spesa e aumenti di imposte).

Questa volta sembra che le cose andranno diversamente. Le autorità europee e i governi degli stati membri si sono accordati per spendere tutto quello che sarà necessario per fronteggiare la crisi. La Banca Centrale Europea si è impegnata a finanziare le banche e ad acquistare titoli di stato per evitare una nuova stretta creditizia, mentre i governi hanno varato piani economici per sostenere imprese e lavoratori.

Fabio Sanfilippo