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Diritti civili

Decreto “Cura Italia” e emergenza coronavirus nelle carceri: deroghe alla disciplina della detenzione domiciliare ex legge 199/2010

a cura degli avvocati Francesco Bico e Gabriele Corinaldesi, professionisti di FDL Studio Legale e Tributario.

L’art. 123 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, noto come Decreto “Cura Italia”, al fine di far fronte all’emergenza Coronavirus dal punto di vista della tenuta del sistema carcerario, introduce una serie di deroghe, valide dal 17 marzo 2020 e sino al 30 giugno 2020, alla disciplina della detenzione domiciliare di cui alla Legge n. 199 del 26 novembre 2010.

Tale particolare tipologia di detenzione domiciliare, da non confondersi con quella disciplinata dall’art. 47-ter dell’Ordinamento Penitenziario, in breve consente l’espiazione della pena della reclusione non superiore a 18 mesi, anche se residuo di maggior pena, presso il domicilio, in funzione di un procedimento applicativo del beneficio estremamente accelerato (addirittura, da concedersi entro cinque giorni dalla richiesta) e di competenza del Magistrato di Sorveglianza, anziché del Tribunale di Sorveglianza. 

È bene specificare che il beneficio della detenzione domiciliare ex Legge n. 199/2010 non può essere concesso, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della Legge suddetta:

  • ai condannati per reati ostativi di cui all’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario;

  • ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza;

  • ai detenuti sottoposti al regime della sorveglianza particolare (salvo che sia stato

    accolto il loro reclamo ai sensi dell’art. 14-ter dell’Ordinamento Penitenziario);

  • “quando vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti ovvero quando non sussista l’idoneità e l’effettività del domicilio anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato”. 

Orbene, dalla lettura dell’art. 123 del Decreto Legge “Cura Italia”, si comprende che il Legislatore, per coloro che facciano istanza di applicazione del beneficio dal 17 marzo 2020 ed entro il 30 giugno 2020, ha ritenuto di soprassedere in parte a tale ultimo requisito e, specificamente, alla necessità che non vi sia la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga o possa commettere altri delitti, per quanto, lo si precisa, il comma 2 dell’art. 123 conceda al Magistrato di Sorveglianza la possibilità di negare il beneficio qualora “ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura”.

Viene, invece, mantenuta la necessità che il domicilio sia idoneo ed effettivo, ai sensi della lettera f) dell’art. 123 e viene imposto, in ogni caso, l’utilizzo del cd. braccialetto elettronico, fino a quando la pena da espiare sia inferiore ai sei mesi di reclusione.

A fronte di tale rilevante e contingente deroga, il Legislatore precisa, altresì, rispetto all’originaria formulazione dell’art. 1 della Legge n. 199/2010, che il beneficio, in questa situazione emergenziale, non potrà essere concesso:

• ai condannati per i reati di cui agli art. 572 e 612-bis c.p. (oltre che, ovviamente, per i reati ostativi ex art. 4-bis O.P.);

• a detenuti che nell’ultimo anno siano stati sanzionati per infrazioni disciplinari concernenti la partecipazione o promozione di disordini o a sommosse, fatti di evasione o la commissione di reati ai danni di compagni, operatori penitenziari o visitatori;

• a detenuti nei cui confronti sia stato redatto rapporto disciplinare per la partecipazione o il coinvolgimento nelle recenti sommosse avvenute nelle carceri italiane a far data dal 7 marzo 2020, proprio in relazione all’emergenza Coronavirus. 

Si tratta di una variazione derogatoria della disciplina della Legge 199/2010 indubbiamente rilevante, la quale, tuttavia, sembra omettere di considerare sia la difficile reperibilità di braccialetti elettronici per far fronte alle richieste che perverranno alle autorità competenti, sia il fatto che, ancor più importante, sono numerosissime le richieste di applicazione di misure alternative alla detenzione che giacciono inascoltate nelle cancellerie dei Magistrati e dei Tribunali di Sorveglianza italiani, le quali, se prese in considerazione in tempi più brevi, sarebbero certamente in grado di sopperire, almeno in parte, all’emergenza altrettanto rilevante del sovraffollamento delle carceri italiane.