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Lavoro

Sanitari già positivi al COVID si vedono rifiutare gli esami diagnostici nonostante le prescrizioni dell’INAIL

Sanitari già positivi al COVID si vedono rifiutare gli esami diagnostici nonostante le prescrizioni dell’INAIL. Accade in Provincia di Lecce

Fiumi di parole scritte sul bilanciamento tra Privacy e diritto alla salute durante questa pandemia ha portato alla conclusione che se l’art. 32 della Costituzione prevede la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, in presenza di un pericolo per la stessa, fa conseguire l’esigenza di tutela della collettività anche a discapito della libertà dell’individuo e del diritto alla riservatezza dei dati personali, che, non essendo diritti assoluti, devono necessariamente bilanciarsi con altri interessi pubblici. Il diritto alla privacy ed alla riservatezza, è noto, non trova una espressa tutela nella Carta Fondamentale e quindi soccombe innanzi alla preminenza del diritto fondamentale della salute della intera collettività, che ha rango costituzionale.E così, il Governo, attraverso l’art. 14, comma 2 del D.L. 14/2020, ha previsto che il diritto alla riservatezza dei dati personali non può prevalere sullo svolgimento delle attività sanitarie e non disposte per far fronte all’emergenza sanitaria anche allo scopo di contenere la pandemia. Paradossalmente, nel caso portato all’attenzione dello “Sportello dei Diritti” per il tramite dell’avvocatessa Emanuela Toscano e qui di seguito risaltato, conviene tutelare la privacy per vedersi garantito il diritto alla salute!! Difatti sanitari appartenenti all’Asl LE, che hanno contratto il virus COVID-19 proprio nell’intento di salvare vite umane, si vedono oggi negare il diritto ad eseguire esami diagnostici, nonostante l’accertamento dell’intervenuta negatività attraverso tre tamponi risultati negativi. Nella fattispecie sono stati respinti da un noto centro diagnostico del leccese perché “ex COVID”! Nel fatto, sanitari rientrati regolarmente in servizio presso le strutture sanitarie in cui espletavano il loro operato hanno, attraverso l’INAIL, ottenuto una specifica esenzione ticket di breve durata (31/05/2020) al fine di effettuare esami diagnostici consigliati dai propri medici curanti e scongiurare eventuali postumi di qualunque genere dopo l’infezione di COVID-19. Stante l’inoperatività asl al momento, i sanitari, per il tramite CUP hanno prenotato radiografie, tac, ecc presso un noto centro diagnostico convenzionato con Asl. Purtroppo, prima dell’esecuzione dell’esame diagnostico è stato sottoposto a ciascun “paziente” un questionario in cui veniva richiesta esplicitamente la posizione rispetto ad eventuale e (anche) passata positività. Perciò, all’ammissione di essere stati “ex COVID” i sanitari si sono visti negare il diritto ad eseguire il test diagnostico…in buona sostanza si sono visti negare il diritto alla salute!!..A questo punto la domanda è: per quanto perdurrà l’increscioso pregiudizio? Il diritto alla salute viene solo tutelato a coloro i quali ad oggi hanno avuto la fortuna di non incrociare COVID-19 sulla loro strada? Se per qualunque altra eventuale patologia o controllo questi sanitari o qualunque altro ex positivo necessita di assistenza, come e dove potrà diagnosticare e/o accertare eventuali altre patologie? Per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, si pone quasi un paradosso: forse è  il caso che il Governo provveda a tutelare la privacy degli ex positivi.

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Cronaca

Mobbing: l’Inail deve indennizzare la malattia conseguente alle condotte mobbizzanti.

Mobbing: l’Inail deve indennizzare la malattia conseguente alle condotte mobbizzanti. Per la Cassazione la tutela previdenziale è estesa a ogni forma di tecnopatia di natura fisica o psichica che possa ritenersi conseguenza dell’attività svolta

Dalla Cassazione, sezione lavoro, arriva in data odierna un importante arresto giurisprudenziale in materia di danni da mobbing contro i quali, lo “Sportello dei Diritti”, da anni combatte per i lavoratori. Secondo la Suprema Corte, infatti, l’Inail deve indennizzare anche la malattia conseguente al mobbing. Per i giudici di legittimità, infatti, con l’ordinanza 8948/20 del 14 maggio, la protezione assicurativa è estesa a ogni forma di tecnopatia di natura fisica o psichica che possa ritenersi conseguenza dell’attività svolta. Nella fattispecie, è stato accolto il ricorso di un lavoratore nei confronti dell’Inail dopo che la corte d’appello di Perugia aveva respinto la sua domanda finalizzata a ottenere il riconoscimento della natura professionale della malattia da cui era affetto, poiché causata dalla condotta vessatoria tenuta nei suoi confronti dal datore di lavoro. Per i giudici di Piazza Cavour, sbaglia la corte territoriale a non ritenere tutelabile nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria gestita dell’Inail la malattia derivante non direttamente dalle lavorazioni elencate nell’articolo 1 del d.p.r. numero 1124/1965, bensì da situazioni di costrittività organizzativa, come il mobbing. Nel ricorso il lavoratore ha sostenuto che la Corte d’Appello avrebbe sbagliato nel non riconoscere l’indennizzabilità delle malattie psicofisiche derivanti dalla costrittività organizzativa.  E così i Giudici di Piazza Cavour, nell’accogliere la doglianza, hanno ricordato che in materia di assicurazione sociale rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il rischio specifico improprio, ossia non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa. Con la conseguenza che non può essere seguita la tesi espressa dalla sentenza impugnata secondo cui sarebbe da escludere che l’assicurazione obbligatoria copra patologie non correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle. La Suprema Corte ha affermato che nell’ambito del sistema del testo unico, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica. Pertanto, conclude il supremo collegio, “ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’Inail, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia”. Per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, da sempre impegnato in prima linea nella lotta alle vessazioni sul luogo di lavoro, si tratta di una significativa garanzia che si aggiunge nella difficile battaglia della tutela dei dipendenti dalle condotte datoriali eccedenti la normale dialettica sui posti di lavoro.