Categorie
EUROPA & MONDO

Esteri, 100 GIORNI DI NATO, 100 GIORNI DI VIRUS. LA MACEDONIA DEL NORD E I BALCANI ALLA PROVA DELL’UNIONE EUROPEA.

Cento giorni fa, al nascere della crisi internazionale per la pandemia, la Macedonia del Nord è diventata ufficialmente il trentesimo membro della NATO dopo aver depositato il suo “strumento di adesione” presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

Il 17 marzo, il Senato spagnolo aveva ratificato il protocollo di adesione della Macedonia del Nord, diventando il ventinovesimo e ultimo stato membro della NATO a farlo. La stragrande maggioranza delle Nazioni che fanno parte dell’Alleanza ha sostenuto per molti anni l’importanza dell’adesione della Macedonia alla NATO e oggi l’adesione della Macedonia del Nord è semplicemente “un successo dell’Alleanza”.

La Macedonia del Nord, sotto la guida Stevo Pendarovski quinto presidente della Repubblica e grande sostenitore dell’adesione, è ora la quarta nazione dei Balcani occidentali a far parte della NATO (Albania, Croazia e Montenegro l’hanno preceduta), una regione che conserva significative differenze etniche, religiose e culturali, insieme a vecchie rivendicazioni storiche, e che ha beneficiato notevolmente della stabilità che la NATO ha generato sin dai tempi bui seguite alla disgregazione della Jugoslavia di Tito.

In questi cento giorni a Skopje non si è parlato molto di NATO ma di come reagire al virus proveniente dalla Cina. Oggi per i macedoni si deve superare la crisi sanitaria poi ci si concentrerà sul traguardo raggiunto e sui suoi costi.

In particolare, al 3 luglio il governo del piccolo stato balcanico con circa due milioni di abitanti (la metà di Roma) ha riferito di oltre 6700 casi confermati di COVID-19 all’interno dei suoi confini e che si erano, purtroppo, verificati oltre 320 decessi. Numeri che rientrano nelle medie balcaniche e mostrano una buona capacità del paese a contrastare la pandemia.  

Sempre alla fine di marzo, c’era stato anche il via libera dei ministri UE all’avvio dei negoziati d’adesione all’Unione per l’Albania e la Macedonia del Nord.

L’accordo unanime tra i ventisette membri UE è stato annunciato dopo una riunione in videoconferenza. I ministri con delega agli Affari europei hanno dato il loro benestare a Tirana e Skopje senza tuttavia fissare date per l’apertura delle trattative. Una decisione storica che arriva dopo tre rinvii in due anni e sorpassando le perplessità di Francia e Olanda. Comunque è opinione comune che i colloqui debbano durare diversi anni.

La possibile adesione all’UE dell’Albania e della Macedonia settentrionale (due paesi di estrema importanza geostrategica ed economica per l’Italia) ha grandi implicazioni per tutti i Balcani occidentali. Non solo la ormai possibile adesione di due dei paesi della regione apre la strada ad altri paesi, ma le condizioni che l’UE ha stabilito per l’adesione stessa, influenzeranno notevolmente le relazioni tra i paesi dei Balcani occidentali. La Commissione europea ha chiarito che i potenziali “Stati Membri” devono avere “buone relazioni di vicinato” perché “l’UE non può e non importerà controversie bilaterali e l’instabilità che possono comportare”.

Ciò significa che gli stati che vogliono aderire all’unione dovranno prima aver risolto le loro controversie bilaterali. Come noto a tutti nei Balcani occidentali la maggior parte delle controversie sono causate da disaccordi sui confini, uno “strascico storico” della disgregazione dell’ex Jugoslavia, fase in cui le demarcazioni dei confini stessi non sono sempre state definite con precisione. Trovare una soluzione rappresenterà una grande sfida per i paesi dei Balcani occidentali e l’UE. Nella maggior parte dei casi, la controversia è una questione vitale per la sopravvivenza di uno stato e include problemi di sicurezza nazionali e internazionali.

Tuttavia, l’inclusione dei paesi dei Balcani occidentali nella politica d’allargamento dell’UE ha dato ai governi l’incentivo a risolvere tali controversie. La prospettiva dell’adesione all’UE ha svolto un ruolo importante nel risolvere i conflitti etnici e le sfide bilaterali nella regione dal 2001. Un esempio di ciò è proprio la conclusione della disputa di lunga durata tra la Grecia e la Macedonia settentrionale sul nome di quest’ultima. La prospettiva dell’adesione all’UE ha dato al governo della Macedonia settentrionale l’incentivo a cambiare il nome del paese dalla Macedonia alla Macedonia del Nord e migliorare in maniera definitiva le relazioni con la Grecia. Non solo, ma al fine di qualificarsi per l’adesione all’UE, i paesi devono attuare riforme in materia di governance, economia e stato di diritto al fine di soddisfare gli standard dell’UE.

Anche se l’influenza dell’UE nella regione è aumentata nel tempo, alcune controversie saranno difficili da risolvere anche con l’aiuto dell’UE. Ciò è evidente nel caso della disputa Serbia-Kosovo. Entrambi i paesi aspirano ad aderire all’UE – Kosovo come potenziale candidato e la Serbia già come paese candidato.

Ciò che ha particolarmente indebolito l’influenza dell’UE nella regione è, comunque, il mancato convinto impegno dell’UE per un ulteriore allargamento. In particolare, l’oggi superato veto della Francia nell’ottobre 2019 di avviare i colloqui di adesione con l’Albania e la Macedonia del Nord ha creato dubbi tra i paesi dei Balcani occidentali in merito al loro futuro come Stato membro dell’UE. L’invito della Francia a riformare la politica di allargamento dell’UE ha comportato un rallentamento dell’integrazione, riducendo ancora di più le aspettative dei governi della regione nel prossimo futuro. Questa percepita mancanza d’impegno da parte dell’UE probabilmente avrà anche un impatto sulla risoluzione dei problemi bilaterali perché l’incentivo per i governi a farlo può scemare anche sotto la spinta delle potenze che si oppongono all’allargamento.

Infatti, se la mancanza d’impegno dell’UE potrebbe essere percepito come “meno probabile possibile adesione” e i paesi cercheranno partenariati altrove (ad esempio con la Russia o la Cina). 

La Russia e l’UE, in particolare, sono state in competizione per anni sull’influenza nei Balcani occidentali. Sin dalle guerre jugoslave negli anni ’90, la regione è stata un punto di dibattito quando si accennava” di allargamento UE / NATO e relazioni transatlantiche. Storicamente, la regione dei Balcani occidentali è ben al di là della considerata “sfera d’influenza” della Russia nell’Europa orientale. In termini economici, geografici e sociali, la regione ha sempre gravitato più verso l’Occidente che verso la Russia. Pertanto, l’unica opzione della Russia è stata quella di minare l’UE (così come la NATO) utilizzando le vulnerabilità della regione nei loro confronti. Pertanto, la Russia non vuole necessariamente portare la regione nella propria orbita, ma vuole piuttosto che la sua influenza eserciti una leva sull’UE.

Dal punto di vista della Russia, se l’UE può intromettersi nel “cortile” della Russia (ad esempio Ucraina, Georgia, ecc.), la Russia, dopo aver “subito” l’ingresso della Macedonia del Nord nella NATO, cercherà di contrastare l’allargamento anche all’UE e lo può fare facendo leva su vecchie controversie alimentate dal nazionalismo e la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche. Più in generale, la Russia potrebbe utilizzare coercizione, cooptazione e sovversione per raggiungere i propri obiettivi.

In contrario, l’interesse della Cina per la regione non è tanto politico, ma più geo-economico. Aumentando la sua influenza, la Cina sta tentando di utilizzare i Balcani occidentali come gateway e piattaforma commerciale di transito verso l’Europa occidentale, che è la regione cui sono veramente interessati. I tassi di disoccupazione medi nei Balcani sono circa del 20% e l’economia ha un disperato bisogno d’investimenti. La Cina ha colto quest’opportunità investendo denaro nella regione per guadagnare rapidamente influenza. Pechino ha garantito degli investimenti fornendo prestiti e, di conseguenza, creando una dipendenza a lungo termine. La maggiore presenza della Cina nella regione è, quindi, il risultato diretto di un vuoto di potere diplomatico/economico creato dalla stessa UE.

La mancanza d’impegno europeo nei confronti della regione ha permesso a Pechino di trasformare i Balcani occidentali, come indicato poco prima, da un’area di non interesse relativo in una delle sue importanti aree di gravitazione economica e questo è avvenuto in pochissimo tempo. Se l’UE non accresce il proprio impegno nei confronti della regione, darà alla Cina e/o alla Russia la possibilità di divenire attori importanti per il futuro dei Balcani. Si può sperare che l’avvio del processo di adesione dell’Albania e della Macedonia del Nord all’UE abbia inviato un chiaro messaggio a tutti i governi dell’area sul “nuovo impegno” dell’UE nella regione.

Con l’inizio del semestre di presidenza della Germania dell’Unione Europea è d’obbligo, in conclusione, citare la cancelliera tedesca Angela Merkel: “Ci sarà solo un’Europa veramente unita con la partecipazione degli stati dei Balcani occidentali”.

Generale Giuseppe Morabito

Categorie
EUROPA & MONDO

Esteri,Crisi Nato nel futuro post-pandemia: minaccia cinese crescente, pressione sulle forze Usa ed europei naïf e scrocconi

L’Alleanza è a un punto di svolta tra credibilità politica e incapacità militare. Il mondo sta cambiando rapidamente, e il messaggio che sta arrivando sia agli avversari che ai partner della Nato, è che gli alleati sono semplicemente troppo divisi, troppo deboli e convinti che i valori democratici da soli possano sostituire il potere militare.

Il mondo sta per entrare in un periodo di “geopolitica instabile” post-virus di Wuhan, ed è necessario considerare come l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (Nato) si adatterà per affrontare sia la dilagante incertezza riguardo la leadership degli Stati Uniti, sia la crescente minaccia proveniente dalla politica estera del regime cinese.

Per comprendere appieno la portata della situazione è necessario analizzare le sfide interne ed esterne che la Nato ha dovuto affrontare negli ultimi tre anni e mezzo, coincidenti con la presidenza Trump, e la sempre crescente concorrenza strategica di Pechino.

Il presidente Trump ha minacciato di considerare un parziale ritiro degli Stati Uniti dalla Nato a meno che i Paesi alleati non siano disposti ad aumentare le proprie spese per la difesa. Negli ultimi giorni, ha manifestato l’intenzione di procedere ad una significativa riduzione (30 per cento circa) delle truppe Usa dalla Germania, anche se finora questo piano è solo programmato, non è ancora certo che verrà attuato.

Nonostante la retorica di Trump, tuttavia, è degno di nota il fatto che l’impegno generale della difesa degli Stati Uniti verso l’Europa ha avuto un incremento solo durante la sua amministrazione. Seguendo questa linea la strategia di difesa nazionale del 2018 prevedeva il rafforzamento delle alleanze tra le principali priorità statunitensi.

Con l’escalation della tensione con la Cina la Nato si è ancora una volta dimostrata cruciale per gli interessi strategici e i valori democratici degli Stati Uniti.

Bisogna tenere in considerazione che mentre la Russia, sempre più attiva, rimarrà probabilmente la principale “occupazione di sicurezza” della Nato, la rivalità globale molto più ampia tra Cina e Stati Uniti potrebbe essere al centro degli equilibri geostrategici.

Mentre la pandemia “spazzava” il globo, la Cina ha sfruttato la distrazione da Covid-19 per intraprendere un’azione aggressiva con base soft e real power.

Le crescenti tensioni al confine tra militari cinesi e indiani; le notevoli e non previste problematiche a Hong Kong; un aumento dell’attività militare nelle vicinanze di Taiwan e le numerose navi da guerra che gli Stati Uniti hanno inviato per scoraggiare le operazioni di Pechino nel Mar Cinese Meridionale, sono la prova delle sfide alla sicurezza poste da Repubblica Popolare.

I membri europei della Nato, dal canto loro, stanno affrontando sfide sulla sicurezza sempre più difficili, dovute all’ascesa globale della Cina. Numerosi sono gli interessi cinesi in Europa, che determinano la crescente dipendenza economica di quest’ultima da Pechino.

Nel quadro generale vi sono le richieste per consentire a Huawei di accedere alle reti 5G del continente; la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento, esposte dalla pandemia di Covid-19 nei confronti della Cina: è evidente, o dovrebbe esserlo, che Pechino sta creando seri rischi per i paesi membri della Nato.

Una potenziale alleanza strategica navale sino-russa nel teatro europeo potrebbe essere un ulteriore motivo di preoccupazione.

La Nato potrebbe contrastare efficacemente l’aggressione cinese, tenendo però presenti dei punti fermi:

– È improbabile che la Nato intervenga se non ritiene che i propri valori e interessi siano in pericolo, situazione che con la Cina non sarebbe da escludere a priori, considerando i suoi movimenti nei mari della Cina orientale e meridionale.

– Tutte le decisioni della Nato vengono prese attraverso il consenso comune, una condizione inevitabile che potrebbe rivelarsi un ostacolo all’intervento, perché non tutti gli alleati hanno le medesime percezioni e priorità.  Tuttavia, come dimostrato dall’esempio della Libia, i membri potrebbero consentire che un Paese membro intervenga.

– La Nato tradizionalmente cerca il sostegno di stati e organizzazioni regionali prima di avviare un’operazione di gestione delle crisi, il che significa che una richiesta di assistenza da parte dei partner della Nato nell’area Asia-Pacifico è un fattore importante.

– La decisione di intervenire si baserebbe sulla capacità di organizzare un’operazione militare efficace. Sarebbe utile aumentare la presenza marittima dei singoli alleati nella regione Asia-Pacifico, consentendo l’interoperabilità con molte nazioni partner ufficiali della Nato.

– Come prassi, la Nato chiede che le sia riconosciuta la legittimità internazionale, in particolare un mandato delle Nazioni Unite per l’intervento in una crisi. Tuttavia, l’autorizzazione di intervento sarebbe improbabile a causa del veto di Pechino.

In questi giorni si sta sviluppando all’interno della Nato una discussione politica matura sulla Cina. Lo sconvolgimento globale causato dal Covid-19 non farà che accrescere i problemi, atteso che sarà difficile orientare l’opinione pubblica a maggiori spese militari a detrimento, forse, di quelle sanitarie.

A Bruxelles si comincia a ventilare la possibilità di un nuovo concetto strategico entro il 2030. Ciò perché, considerato quanto suddetto, la Nato deve essere in grado organizzarsi per dissuadere un potenziale avversario in una guerra mondiale di alto livello. Sarebbe opportuno iniziare a pensare di sostenere gli alleati in prima linea nel sud dell’Europa, affrontando le conseguenze di un crollo potenzialmente catastrofico in Medio Oriente e Nord Africa (MENA region). Nonostante i significativi ma modesti progressi nella difesa aerea e missilistica integrata, e dichiarati miglioramenti della capacità di deterrenza convenzionale dell’Alleanza durante la riunione dei ministri della difesa della scorsa settimana, l’Alleanza è a un punto di svolta tra credibilità politica e incapacità militare. La causa della crisi, perché è quello che sta rapidamente diventando, è duplice: una crescente pressione sulle forze statunitensi in tutto il mondo e un rifiuto degli europei di assumersi la maggior parte dell’onere per la propria difesa.

Dovrebbe da subito essere chiaro che la Nato è essenzialmente un’organizzazione europea, per gli europei, sostenuta da americani e canadesi, non un’organizzazione americana per gli europei, occasionalmente sostenuta da europei.

Sulla scia della fine della Guerra Fredda il centro di gravità dell’Alleanza si era spostato verso il dialogo, ora, forse deve riorientarsi verso la difesa militare.

Il mondo sta cambiando rapidamente, e il messaggio che sta arrivando sia agli avversari che ai partner della Nato, è che gli alleati sono semplicemente troppo divisi, troppo deboli e convinti che i valori democratici da soli possano sostituire il potere militare.

Troppi leader politici occidentali sembrano incapaci di capire la portata della minaccia emergente e le sue implicazioni per l’area euro-atlantica. Peggio ancora, la tendenza politica in molti Paesi alleati, Italia compresa, è quella di mantenere la difesa fuori dall’agenda politica. L’ascesa militare della Cina, il pericoloso mix di instabilità economica e politica in Russia, l’avanzamento di una nuova era di tecnologie militari, il cambiamento demografico, il fondamentalismo e stati “fragili” in tutta la MENA, e gli Stati Uniti sotto la crescente pressione interna ed esterna, suggeriscono che la Nato ha bisogno di adattarsi al nuovo mondo che sta prendendo forma intorno a lei.

Poi, c’è la “madre di tutte le domande”, visto il virus di Wuhan e la certezza che la strategia militare Nato del 2019 è stata gravemente compromessa dalla crisi, o almeno lo sarà. L’Alleanza (o meglio le sue nazioni) può continuare a riconoscere solo la minaccia che può permettersi politicamente, ed evitare tutte le sfide fondamentali senza cercare di affrontarle?

( Articolo di Generale Giuseppe Morabito da Atlantico Quotidiano del 26 giugno 2020 )

Categorie
EUROPA & MONDO

ESTERI, INIZIA L’ESTATE MA IN SERBIA NON CAMBIA NULLA. CONFERMATO A GRANDE MAGGIORANZA IL GOVERNO DEL PRESIDENTE VUCIC. PIU’ DEL 60% DEGLI ELETTORI A SUO FAVORE.

Ieri, 21 giugno e primo giorno dell’estate poco più di 6,5 milioni di cittadini serbi, aventi diritto, sono stati chiamati al voto nonostante i timori dovuti alla pandemia da Covid 19.

I seggi elettorali sono stati aperti dalle 7 alle 20 e gli elettori hanno scelto tra più di 20 liste elettorali per rassegnare i 250 posti nel parlamento.

In particolare, 21 liste di candidati sono state presentate agli elettori, quattro appartenenti alla minoranza etnica del paese, due dell’attuale coalizione progressista-socialista al governo e il resto proviene da piccoli partiti di opposizione.

Sono stati allestiti 8.253 seggi elettorali, oltre 140 per la comunità serba in Kossovo, (la Serbia ancora non riconosce l’indipendenza di tale territorio) e 42 per gli elettori all’estero.

Come nelle attese e senza sorpresa, a conferma dei sondaggi, il vincitore è stato il Partito progressista serbo (SNS) già al governo. Quindi, l’SNS guidato dal presidente Aleksandar Vucic continuerà nella guida del paese per i prossimi anni.

Dai primi dati degli scrutini appare chiaro che l’SNS ha superato il 60 % dei consensi e si sta attestando su circa i favori dei due terzi della popolazione votante.

Una schiacciante vittoria di Vucic e dei suoi sostenitori.

I partiti di opposizione riuniti nell’Alleanza per la Serbia avevano da qualche tempo annunciato il boicottaggio delle elezioni nonostante alcuni tentativi, poi falliti, di dialogo tra il partito al governo e l’opposizione stessa.

Gran parte dell’opposizione serba aveva, infatti, lasciato il parlamento nel gennaio del 2019 e, probabilmente quanto ha capito che la sconfitta fosse certa, ha boicottato anche i sondaggi. Primo tra chi è sfuggito al confronto il più grande gruppo di opposizione Alleanza per la Serbia. L’opposizione ha preso questa decisione sostenendo che le elezioni non sarebbero state né libere né democratiche.

Su questo specifico punto, il Presidente del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa, Anders Knape, aveva confermato la sua fiducia nelle autorità governative serbe e nella possibilità di organizzare elezioni democratiche nonostante l’attuale pandemia.

Confido nella capacità della Serbia di implementare buone prassi nei giorni che precedono la data delle elezioni e di assicurare che il voto sia organizzato nel pieno rispetto delle norme internazionali per elezioni libere ed eque, anche in questi tempi difficili“, ha affermato ribadendo che nel contesto della crisi attuale, il Congresso non potrà inviare una delegazione di osservatori, ma continuerà il dialogo e la cooperazione con le autorità serbe per l’attuazione dei principi europei di autonomia territoriale e democrazia.

Atteso quindi che, a parere di chi scrive, non partecipare alle elezioni è sempre un errore e si passa facilmente dalla parte del torto, l’unico grande cambiamento è stato l’abbassamento della soglia per entrare in parlamento dal 5 al 3 %, il che ha aumentato le possibilità che i piccoli partiti ottengano alcuni seggi nell’assemblea. Al momento non è possibile quantificare questo dato.

Le elezioni erano inizialmente previste per il 26 aprile ma sono state rinviate quando è stata dichiarata l’emergenza, lo scorso 15 marzo, a causa della pandemia proveniente dalla Cina. Quanto precede anche perché’, la Serbia ha, purtroppo, ancora una media di circa 50 nuovi casi di infetti da Covid 19 al giorno ed è il paese con il più alto numero di persone colpite dal virus di tutta la ex Jugoslavia. Nonostante questo dato è impressione comune in ambito internazionale che il governo uscente e nuovamente in carica si sia comportato in maniera pronta ed efficace in questo frangente.

Agli elettori è stato consigliato di partecipare alle urne con maschere, anche fornite nei seggi e di mantenere le distanze di sicurezza.

A inizio giugno si è insediato in Kossovo il nuovo governo del Presidente Hoti che ha indicato le principali priorità del suo programma, la ripresa del dialogo con Belgrado. La normalizzazione delle relazioni con la Serbia è necessaria, atteso che, da più di un anno, c’è un congelamento dei rapporti tra Serbia e Kossovo, a causa della decisione di Pristina d’imporre dei dazi doganali del cento per cento, sia alle merci serbe, sia a quelle in entrata dalla Bosnia Erzegovina, altro Stato dell’area balcanica che non riconosce il Kossovo.

Hoti ha subito rimosso i dazi e, conseguentemente, a Belgrado il presidente serbo Aleksandar Vucic ha affermato che l’eliminazione delle barriere commerciali ha, in sostanza, spianato la strada al progresso nelle relazioni diplomatiche. “Credo anche che possano esserci buoni rapporti commerciali tra albanesi e serbi“, ha detto, riferendosi agli albanesi che sono in maggioranza in Kosovo. La grande conferma di Vucic deve, quindi, essere vista come positiva per lo sviluppo della democrazia e delle pacifiche relazioni in quella martoriata area dei vicini Balcani.

Buona notizia sia per l’Unione Europea sia per la NATO che hanno grandi interessi per la stabilità dell’area, anche se c’è da aspettarsi qualche “ideologica” e non razionale presa di posizione.

Generale Giuseppe Morabito

Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation

Categorie
EUROPA & MONDO

Esteri. Gli stereotipi europei e il G7 che non deve arretrare…

“ll dilagante scetticismo sull’UE deve fermarsi per un momento. Viene finalmente ripreso il grande progetto che è stato una forte ambizione e speranza. Dalle rovine e dal sangue di due guerre mondiali è nata un’intesa regionale che rimane unica al mondo. Come tutto è imperfetta, ma proviamo a immaginare dove saremmo senza il trattato di Roma del 1957?”

Questa dichiarazione dell’Ambasciatore Minuto Rizzo, Presidente della NATO Defence College Foundation deve far riflettere.

Come attualissimo è quanto scritto nel 2013 dalla filosofa Chiara Botticci: “Il mito politico dell’Europa è più che una narrazione storica. L’Europa, come qualsiasi altra struttura politica sovranazionale, dipende da un eccesso di attaccamento emotivo: richiede storie condivise che hanno il potere di provincializzare le identità nazionali e galvanizzare nuove forme di fedeltà e azione politica”.

La pandemia da “Virus di Wuhan” ha messo in evidenza con forza la complessità di questa situazione.

Nelle settimane passate, quando i ministri delle finanze europei hanno approvato l’assistenza di emergenza sotto forma di prestiti, attraverso il meccanismo europeo di stabilità (MES), le reazioni politiche sono state differenti, soprattutto in Italia. Allo stesso modo, le richieste italiane di condivisione del debito sono state accolte con ostilità da molti paesi del nord Europa compresa la Germania. Queste reazioni hanno profonde radici culturali.

Ad aprile, per esempio, i lettori del tabloid più venduto della Germania, il Bild, si sono svegliati con un titolo sorprendente: “Ciao, Italia! Ci rivedremo presto. Per un espresso o un bicchiere di rosso. In vacanza o nella pizzeria locale”. Espresso, vino, pizza: questa presunta “dichiarazione di solidarietà” aveva poco da dire sull’Italia e molto sulle prospettive tedesche. I commentatori italiani hanno replicato prontamente, con un misto d’indignazione e stupore. Alcuni quotidiani vicini alle idee del governo italiano hanno pubblicato articoli cercando di far passare un messaggio positivo e di nascondere le responsabilità politiche e gli obblighi morali della Germania.

Tutti gli interlocutori hanno seguito uno “canovaccio” prevedibile. Il fascino tedesco per l’Italia è più antico del Viaggio italiano di Goethe (1816/17) e si è progressivamente consolidato!

Allo stesso modo, molti italiani hanno cercato in Germania un “alter ego” necessario al proprio senso d’identità nazionale. Colore, passione e transitorietà a sud delle Alpi, competenza, produttività e noia a nord: identità così speculari hanno giocato un ruolo cruciale dal diciannovesimo secolo.

Ippolito Nievo, nelle “Confessioni d’un italiano (1858)”, ha paragonato il Bel Paese alla bellezza effimera di una lunga serata estiva.

L’Italia, osserva Nievo, può essere compresa solo da un italiano, ma può essere amata solo da uno straniero, e in particolare da quei settentrionali, che apprezzano anche il fascino cupo di una brughiera torbida. La mente umana, secondo il Nievo, può imparare ad ammirare i grandi successi del Nord, ma il cuore umano desidererà sempre il Sud”. Nel 1958, Ennio Flaiano visitò Amsterdam e notò che l’Italia, per gli olandesi, non significava altro che tessuti e panna montata.

Identità e cliché stereotipati non hanno perso il loro fascino nel XXI secolo. Il lettore tedesco medio, d’altra parte, guarda l’Italia della narrativa poliziesca di Andrea Camilleri o a qualche “balla auto-dissacrante” tipo le scritture acchiappa soldi sulla malavita napoletana che parlano di famiglia, amore e criminalità organizzata.

La crisi del debito greco avrebbe dovuto insegnare agli europei che la collaborazione internazionale richiede comprensione e rispetto reciproco.

La crisi del coronavirus mostra che non abbiamo ancora imparato la lezione.

Nessuno dovrebbe cercare di distogliere i nord europei e i tedeschi in particolare, dal loro amore per la pizza, la passione e il prosecco. E nessuno dovrebbe parlare degli italiani solamente per il loro fascino che provano per la disciplina nordica.

Per essere chiari: l’efficacia di queste narrazioni secolari, su entrambi i lati delle Alpi, è presente lo scetticismo cui fa riferimento Minuto Rizzo.

Non è quindi un caso che i tedeschi non si fidino degli italiani economicamente parlando e che gli italiani non si fidino dei tedeschi come capaci di avere comprensione dei loro problemi. Finché ogni paese considera l’altro come una proiezione dei propri desideri e difetti, non ci sarà una narrazione condivisa. Ci vuole unità.

Di queste ore la notizia che il “no” della cancelliera tedesca ha influito e, di fatto, il presidente degli Stati Uniti è stato costretto a rinviare il G7 anche perché sarebbe impossibile tenere un G7 senza il paese leader nell’Unione Europea in questo periodo in cui di “unione” ce n’è poca….

Il Presidente Trump ha appena dichiarato che posticiperà il vertice dei sette grandi, che voleva tenere a fine giugno alla Casa Bianca, dopo che la cancelliera tedesca aveva declinato il suo invito a partecipare di persona a causa dei rischi da Virus di Wuhan. Trump intenderebbe organizzare il vertice a settembre.

L’altro elemento che mette in evidenza la strategia USA è l’invito della Russia: Trump conferma di fatto di tenere un canale privilegiato con Mosca, anche nel momento di massimo confronto geopolitica con la Cina comunista anche se in Europa molti pensano che l’attuale approccio di Putin rende difficile ogni suo tentativo di dialogo e di avvicinamento atteso che la Russia è sospesa dal G7 ormai dal 2014.

L’esclusione, che tecnicamente è una sospensione, è uno degli elementi centrali delle decisioni occidentali. Il presidente USA ha poi spiegato di voler invitare anche altri paesi come la Corea del Sud, l’Australia e l’India.

Il G7, quest’anno a guida Usa, doveva tenersi in videoconferenza alla fine di giugno. Il no di Merkel ha poi cambiato il quadro, un no nel quale chi conosce i meccanismi della diplomazia può intravedere un aumento della distanza fra Trump e l’Europa a guida Merkel. Washington vorrebbe superare l’attuale “arretramento” a una possibile “nuova guerra fredda”.

L’Italia deve vedere in questa partecipazione “allargata” una possibilità di uscire dall’anonimato in politica estera che caratterizza questo momento.

Deve sfruttare la sua vocazione europea e i buoni rapporti con Berlino e cercare un’identità superando le contrapposizioni Sud –Nord e tentare di non essere estromessa dal G7 per “inesistenza internazionale”.

Chi ci rappresenta deve sempre ricordare che nel 1957 l’Europa scelse di esistere “unita” firmando in Campidoglio i Trattati di Roma che istituirono la Cee (Comunità Economica Europea) e la Ceea (Comunità europea dell’energia atomica, nota come Euratom).

Il quadro storico entro cui s’inserirono i Trattati era il secondo dopoguerra (ritorno alla pace dopo le dittature e le tragedie del secondo conflitto mondiale, nascita delle democrazie parlamentari in Germania e Italia, ricostruzione economica e sociale) e la “guerra fredda”, con il continente diviso dalla Cortina di ferro.

Ora bisogna guardare avanti e non arretrare troppo.

L’oggi novantenne Clint Eastwood ha detto in un suo famosissimo film: “A volte per tirare un colpo vincente bisogna arretrare, ma se arretri troppo non combatti più.”

L’Europa unita merita di meglio.

Generale Giuseppe Morabito

Categorie
EUROPA & MONDO

Esteri, La Nato e il virus di Wuhan

Anche nel 2020 il ruolo principale della NATO rimane quello di garantire la libertà e la sicurezza dei Paesi membri.

Questo è un concetto che si presta a differenti declinazioni strategiche perché il ruolo della NATO è costantemente oggetto di dibattito e differenti visioni. Soprattutto è dibattuto come far percepire tale missione alle audience nazionali dei paesi membri e a quelle “esterne”.

Le correnti principali sono due: la prima vorrebbe l’Alleanza come attore di hard security con un’Organizzazione in grado di risolvere in maniera eccellente le crisi con l’uso della forza per mezzo della sua non pareggiabile struttura militare.La seconda intende presentare l’Alleanza come un’Organizzazione che può fornire sicurezza nel mondo senza l’utilizzo della propria forza militare ma per mezzo della componente politico-diplomatica e la forza della “dissuasione” e/o “deterrenza”.

Il Presidente Trump ha dato una “scossa” all’Alleanza nell’ultimo Summit, chiedendo un cambiamento sostanziale (maggiori spese per la difesa) ma in risposta gli alleati – soprattutto europei – negano la natura, la portata e la velocità del cambiamento strategico.

Il COVID-19 potrebbe essere il punto di svolta per definire un nuovo equilibrio globale che è sempre più precario. Si può supporre che mentre il COVID-19 accelererà senza dubbio il cambiamento, è poco probabile che trasformi radicalmente la natura del cambiamento stesso. In effetti, se le conseguenze strategiche del COVID-19 sono simili alle pandemie del passato, mai così “forti” da porre fine alla minaccia di un conflitto, potrebbe comunque aumentare il livello di minaccia.  

I governi e l’opinione pubblica europea sono fermi su una certezza decennale: non ritengono che possa scoppiare  una grande guerra nell’immediato futuro, anzi escludono l’ipotesi di un conflitto globale in futuro!

Il Virus di Wuhan potrebbe allontanare ulteriormente la percezione europea dalla realtà, creando una profonda divergenza tra chi si concentra sulla sicurezza sanitaria e chi invece ritiene che sia centrale il concetto della difesa nazionale e della democrazia.  

Sulla sicurezza sanitaria è intervenuto il segretario generale dell’alleanza, Jens Stoltenberg, mettendo a disposizione il coordinamento logistico nei rifornimenti di materiali medicali. Il programma scientifico della NATO ha inoltre finanziato un progetto di diagnostica anticorpale rapida, proposto dall’ISS e promosso dalla Farnesina. Ma sul piano della difesa nazionale e della democrazia, sembra che pochi governi europei comprendano la situazione e siano in linea con gli americani.

Nella maggior parte dei casi non prendono in considerazione uno scenario del genere. Contro questa visione, numerosi affermati analisti intravedono il pericolo che l’Alleanza debba in un prossimo futuro affrontare una crisi multi-teatro simultanea nel Mar Cinese (Taiwan o Hong Kong), nel Medio Oriente (Siria e Turchia) e nel Nord Africa (Libia), nonché sui fianchi orientali e settentrionali dell’Alleanza attraverso lo spettro convenzionale e nucleare e lo spettro analogico e digitale.

Dal punto di vista strategico una delle conseguenze negative, derivante dalla pandemia potrebbe essere, per la NATO, che i paesi europei decidessero di sospendere la modernizzazione dello strumento di difesa nazionale per concentrarsi sulla sicurezza sanitaria.

Questo metterebbe la presidenza USA davanti alla scelta: continuare a difendere l’Europa compensando le sue debolezze militari, rendendo così le proprie forze armate relativamente più deboli in altre aree del mondo, o abbandonare l’Europa e l’idea di Transatlantic Link per gravitare in aree di maggiore interesse economico USA quali il Pacifico.Partendo dal presupposto che Pechino e Mosca non sono capitali di paesi da additare ad esempio di “Democrazia”, essi potrebbero sfruttare la possibile “debolezza” sociale e politica americana conseguente dal Virus per esercitare pressioni sia sugli Stati Uniti stessi sia sui loro alleati, politicamente ed economicamente più deboli, aumentando in maniera esponenziale la loro attività di soft power.

È probabile che i già insufficienti (a parere di Trump) investimenti nel settore della difesa europea diminuiranno ulteriormente dopo la crisi da virus, ma, contemporaneamente, la portata in numero e impegno di forze delle possibili missioni NATO potrebbe accrescersi.

Nel contempo è indubbio, poi, che l’ascesa militare della Cina aggraverà il sovraccarico di risposta militare americano, ma senza un aumento della spesa militare le capacità militari europee non saranno in grado pareggiare l’impatto delle nuove tecnologie nello spazio di battaglia, come l’intelligenza artificiale, i super computer, la minaccia spaziale in cui cerca di inserirsi anche l’Iran.

Chi conosce bene la NATO e i suoi meccanismi di funzionamento e attivazione sa che a Brussels inizia a serpeggiare il citato dilemma strategico, esemplificabile nel semplice assunto che le crisi non arriveranno in pacchetti singoli.

Il dilemma è come garantire alla NATO le capacità per fare azione di difesa e deterrenza sui suoi fianchi orientali e settentrionali e simultaneamente sostenere gli alleati sul suo fianco meridionale in caso che continui il caos in Medio Oriente e Nord Africa.

In questo quadro emerge con forza in queste ore la questione: come farà la NATO a gestire il suo ormai scomodo membro turco che cerca di espandere la sua influenza proprio in queste due aree?

La sola risposta è di ricercare un notevole miglioramento dell’interoperabilità delle forze armate europee (escludendo per il momento la Turchia) con le controparti statunitensi e strutturare consultazioni politiche molto più veloci tra USA e UE. 

Bisognerebbe ideare una “Forza Europea” con la capacità di assicurare difesa e deterrenza in caso di emergenza quando grande parte delle forze statunitensi sono impegnate in altre zone del mondo. La Forza Europea dovrebbe essere capace di una buona interoperabilità con la futura Forza Americana.

Non deve essere un’utopia pensare a un partenariato strategico NATO-UE in grado di proiettare potere e proteggere le persone spostando rapidamente, in emergenza, forze e risorse in Europa e nei dintorni per sostenere la dissuasione e strutturare una difesa. Tale dimensione del partenariato conterrebbe anche l’arroganza di Ankara.

La NATO è in definitiva un’assicurazione strategica contro la guerra in un mondo instabile in cui strategia, tecnologia, capacità e convenienza si combinano per alleati e avversari.

La NATO deve quindi essere un deterrente militare di alto livello ispirata al “Si vis pacem, para bellum”.

Soprattutto, gli europei dovrebbero entrare nell’ottica che nel prossimo decennio gli Stati Uniti saranno in grado di “garantire” la difesa dell’Europa solo se gli europei faranno molto di più per la propria difesa.

Virus di Wuhan o no tra poco sarà in gioco il futuro della NATO.

Se un giorno non tanto lontano non riusciremo a modernizzare la nostra Alleanza, la Cina comunista e, probabilmente, la Russia potrebbero trarne enormi vantaggi.

                                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                                                      Generale Giuseppe Morabito

Categorie
EUROPA & MONDO

Esteri, “La NATO: passato, presente e futuro” Intervista al Generale Morabito.

Riportiamo l’intervista della Dottoressa Emanuela Locci, Università di Torino, al Generale Giuseppe Morabito, membro del Direttorato della NATO Defense College Foundation.

Si sta riaprendo il dibattito e ancora una volta ci si interroga su cos’è la NATO, le sue origini e le sue finalità in materia di prevenzione e sicurezza militare. Il suo commento?

La NATO è l’Alleanza politico-militare istituita con il Trattato di Washington del 4 aprile 1949. Tengo a partire da questa definizione perché, oggi più che mai, nonostante “l’età”, 71 anni, dimostra di essere ancora uno straordinario produttore di sicurezza in molte aree di crisi. Le finalità dell’Alleanza sono oggi le stesse che hanno portato alla sua creazione: garantire la libertà e la sicurezza dei Paesi membri attraverso mezzi politici e militari.

Questo, al contrario di quello che pensano in molti, non fa della NATO uno strumento di guerra, tutt’altro, ciò che più la descrive è il concetto di difesa collettiva enunciato nell’art. 5 del Trattato.

Principio che è ancora alla base di tutte le missioni e le operazioni in atto. Nonostante le nuove adesioni, ultima la Nord Macedonia, e il dibattito su un nuovo concetto strategico, di cui da tempo di discute tra i Paesi membri, questo rimarrà sempre un punto centrale.

 Come descriverebbe il ruolo della NATO quale garante nell’attuale “tempo di pace”? 

Il ruolo principale della NATO è quello di garantire la libertà e la sicurezza dei Paesi membri. Questo come si può immaginare è un concetto che si presta a differenti declinazioni. Come sul concetto strategico, anche il ruolo della NATO è oggetto di dibattito e differenti visioni. Soprattutto è dibattuto come far percepire tale missione alle audience nazionali e a quelle “esterne”.

Le correnti principali sono due: la prima vorrebbe l’Alleanza come attore di hard security. Secondo alcuni esperti questa immagine produce risultati e mostrerebbe un’Organizzazione in grado di risolvere in maniera eccellente le crisi con l’uso della forza militare.

La seconda intende presentare l’Alleanza come un’Organizzazione che può fornire sicurezza nel mondo senza l’utilizzo della propria forza. Ciò è possibile attraverso una serie di partenariati da cui far scaturire un’immagine più amichevole.

Non dico che la NATO potrebbe trasformarsi in un consulente di sicurezza globale, ma è interessante capire che fornire una “consulenza” nelle operazioni è cosa ben diversa dall’esservi coinvolti. Finita la Guerra Fredda, tramontato il mondo bipolare e, successivamente quello unipolare a guida americana, il nuovo millennio ha portato con sé delle nuove minacce.

L’11 settembre, l’attacco di al-Qaeda alle Torri Gemelle, ha segnalato l’ingresso sulla scena mondiale dei cosiddetti non-state actors e delle minacce ibride. Per questi motivi è difficile definire “tempo di pace” il periodo in cui viviamo. Assistiamo a livello globale ad una serie di conflitti regionali, statali e inter-statali, per ora, a bassa intensità.

Il terrorismo continua a essere una fonte di inquietudine per la stabilità di alcune aree. Internet rappresenta un elemento chiave per il progresso di alcuni settori, ma allo stesso tempo può cadere vittima e essere utilizzato come strumento offensivo, da un vasto numero di attori.

Anche l’informazione è sotto attacco e con essa il cosiddetto “fronte interno” dell’Alleanza. Questo per chiarire che, a prescindere delle visioni sul ruolo della NATO oggi, la prerogativa principale dell’Organizzazione, qualunque sia il terreno di confronto, rimane sempre la stessa: garantire la libertà e la sicurezza e il benessere dei Paesi membri.

L’Alleanza è dotata di strumenti con cui è in grado di adattarsi costantemente alle nuove minacce, e continua a tenere sotto controllo l’evolversi degli scenari di sicurezza che oggi comprendono aspetti impensabili all’epoca della sua nascita.

Quale è il ruolo della NATO nelle catastrofi ed emergenze civili?

La NATO interpreta un ruolo centrale in numerose operazioni di gestione delle crisi, incluse le operazioni di emergenza civile. Lo fa attraverso l’applicazione dell’art. 5 del Trattato di Washington che è il principio operativo secondo cui si muove l’Alleanza, ma anche su mandato delle Nazioni Unite.

Per quanto riguarda le emergenze civili, il principale meccanismo di risposta è “l’ Euro-Atlantic Disaster Response Coordination Centre (EADRCC)”. Esso si occupa di fornire una risposta ad un’ampia gamma di emergenze civili nell’area euro-atlantica, coordinando e fornendo assistenza anche in caso di disastri naturali. Pochi sanno che questa è stata una delle voci principali per l’adattamento al nuovo contesto di sicurezza. La cooperazione tra la NATO ed i paesi partner nella pianificazione civile di emergenza include una serie di attività che vanno dalla formazione teorica, con corsi di aggiornamento, fino a quella pratica, che comprende, esercitazioni e corsi di addestramento che coinvolgono differenti apparati della sicurezza nazionale e regionale.

In quest’ultimo periodo abbiamo ascoltato più volte il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, sottolineare l’importanza dell’Alleanza anche su questo tipo di attività.

Con un richiamo ad un migliore e più efficiente coordinamento delle risorse ha dichiarato: “La NATO è stata creata per affrontare le crisi, quella del Coronavirus è una sfida contro un nemico invisibile e noi possiamo portare il nostro contributo”. Per questo motivo, dal 26 marzo 2020, l’EADRCC ha ricevuto diverse richieste di assistenza internazionale da parte dei Paesi membri e partner della NATO per contrastare la pandemia. Al fine di migliorare il coordinamento dell’Alleanza, Stoltenberg ha incaricato il Generale Wolters, di velocizzare e incrementare l’assistenza. Un impegno notevole che ha avuto applicazioni in diversi ambiti, dall’accelerazione dei voli umanitari alla costruzione di ospedali da campo, fino al trasporto di medicinali e pazienti in condizioni critiche. È difficile dire se in futuro ci sarà un impegno ancora maggiore in questo settore, anche se lo ritengo poco credibile al momento. La sfida più importante rimane quella di aumentare le misure di coordinamento, in particolare con l’Unione Europea attesa anche la quasi nulla capacità della struttura di difesa continentale.

 Quale è il futuro della NATO rispetto agli interessi strategici politico-economici dei suoi membri?

Capiremo una buona parte del futuro della NATO in autunno, con le elezioni del prossimo Presidente americano, sempre che il Coronavirus o Virus di Wuhan come lo considerano gli USA, non induca alla modifica della data. Negli ultimi tempi il Presidente Trump è sembrato più predisposto ad interloquire con la NATO rispetto al primo periodo del suo mandato, tuttavia non sappiamo come si comporterà in caso di riconferma. Tanto meno possiamo immaginare cosa farebbe un presidente dell’opposizione dopo i disastri strategici dei predecessori di Trump.  

A parte ciò, una visione delle intenzioni future dell’Alleanza è stata fornita dalla dichiarazione finale del vertice di Londra, in cui sono stati celebrati i settanta anni dalla firma del Trattato di Washington. Il famoso tema del burden sharing non sembra essere più una priorità, la spesa per la difesa non statunitense è cresciuta progressivamente negli ultimi anni, il che ha portato ad un incremento degli investimenti di 130 miliardi.

Le minacce individuate sono le stesse e sono: le azioni aggressive della Russia, il terrorismo, l’immigrazione e le minacce ibride. Oltre a tutto ciò, sono due i punti che ritengo interessanti e a cui dovremo guardare con maggiore attenzione: la competizione con la Cina e la sua crescente influenza globale e lo Spazio.

La NATO ha dichiarato di volersi impegnare a garantire la sicurezza delle comunicazioni dei suoi Membri, compreso il 5G, riconoscendo la necessità di affidarsi a sistemi sicuri e resilienti. Questo non può far pensare che, in futuro, potremmo vedere un coinvolgimento dell’Alleanza nei confronti di una contesa che per ora riguarda gli USA e il governo di Pechino.

La Cina Comunista rappresenta un rebus di difficile risoluzione anche guardando alle azioni che sta compiendo sia nel Mar Cinese Meridionale sia, ad esempio, nei confronti del governo democratico di Taiwan. Sempre legato alla Cina, ma anche alla Russia, c’è il tema dello Spazio. Nella dichiarazione finale di Londra, esso è indicato come dominio operativo anche per la NATO.  

Lo Spazio non è più, solo una questione di satelliti, coinvolge sistemi operativi cinetici, che operano sulla Terra e in orbita, interessi commerciali e risorse naturali.

Ultimamente anche l’Iran cerca anche lui di entrare nello “spazio” con il lancio di un satellite il primo giorno del Ramadan. Credo che assisteremo a sviluppi interessanti in questo settore con possibili scenari che vanno dal ritorno delle negoziazioni multilaterali fino al riarmo, che ha il sapore della Guerra Fredda. Ripeto Cina Comunista, Iran e Russia sono i tre “problemi” del futuro prossimo.

In ogni caso, oggi è ancora molto difficile stabilire cosa accadrà al Summit del 2021. Molto dipenderà da come il pianeta reagirà alla crisi del Coronavirus. Le priorità potrebbero essere ben altre rispetto a quelle che ho appena elencato.  Non escludo anche un problema interno data la crescente deriva antidemocratica in Turchia, e gli inaccettabili, per molti paesi dell’ Alleanza,  accordi economico-politici del suo governo attuale.

Ci sarà tempo per osservare e decidere, ma credo che la NATO non si farà trovare impreparata qualunque sarà lo scenario futuro.

Categorie
Curiosità

Bufale, complottisti e beoti

Da quando è iniziata l’epidemia di coronavirus le fertili menti dei produttori di bufale si sono scatenate trovando terreno fertile nella sempre più grande tribù dei beoti nostrani e più ridicole sono meglio funzionano e più rapidamente si diffondono nei meandri della rete.

Nell’ottobre del 2019, quasi tre mesi prima dell’inizio dell’epidemia di coronavirus a Wuhan, è stata annunciata ufficialmente l’esercitazione militare “Defender Europe 20” con la quale la NATO avrebbe voluto dimostrare la sua capacità di dispiegare una forza militare abbastanza grande da essere «credibile in combattimento».

“Defender Europe 20” avrebbe dovuto essere è il più grande dispiegamento di soldati americani in Europa dalla fine della Guerra Fredda con moltissime esercitazioni congiunte a cui dovevano partecipare 7mila soldati europei tra tedeschi, polacchi e dei paesi baltici, ma non italiani e 30mila militari americani (20 mila arrivati dagli Stati Uniti e 10 mila già presenti in Europa).

Per l’industria dei produttori di bufale questa invece avrebbe dovuto essere la preparazione di un attacco contro la Russia coperta (?) dall’epidemia di coronavirus e ipotizzano anche che i soldati “invasori” americani siano stati preventivamente vaccinati (magari esistesse veramente un vaccino) e, in contemporanea, attrezzati per diffondere il virus.

 

La rete è invasa da bufale diversificate per ogni palato atte a nutrire i beoti in crescita esponenziale, pronti a metabolizzare qualunque stronzata, preferendo quelle che, anche a colpo d’occhio, sembrano proprio stronzate.

Dopo il caso del libro della veggente  Sylvia Browne che avrebbe previsto l’epidemia di coronavirus già nel 1981 è circolato anche il racconto della veggente Sylvia Browne che avrebbe previsto l’epidemia nel 2013, prima della sua morte.

In rete circolano tutorial per la fabbricazione di maschere fai da te con la carta da forno.

C’è il video di Martina che si presenta come cardiologa di terapia intensiva a Milano che parla della gestione del coronavirus al Niguarda (smentita e denuncia dell’autrice).

C’è un articolo su una presunta ricercatrice cinese che rischierebbe il carcere per avere diffuso informazioni sulle prevenzione del contagio bevendo una limonata calda (peraltro questo è un modello usato anche per contrastare i tumori).

C’è un messaggio Whatsapp di fantomatici esperti che spiegano come scoprire se si è stati contagiati e come prevenire il contagio (trattenere il fiato per 10n secondi e bere tantissima acqua per veicolare il virus nello stomaco e impedirgli di arrivare ai polmoni).

Insomma ci sono  bufale per tutti i gusti, dalla riduzione delle pensioni del 50% in aprile allo studio che prevedeva la resistenza del virus nell’aria per 30 minuti, dall’informazione fuoriuscita dagli ospedali milanesi sull’uso della vitamina “c” con la Cebion (società che produce la vitamina citata nell’audio) che smentisce e passa alle vie legali.

La bufala più indigesta potrebbe essere quella di un utente Facebook dichiaratosi come Luca Franzese che ha pubblicato un video dove mostrava la sorella defunta sul letto accusando le istituzioni e dicendo che risultava positiva al virus.

Somma Lombardo 14 marzo 2020

Fabrizio Sbardella