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ANCORA UNA VOLTA, SONO I PIU’ DEBOLI A D ESSERE ABBANDONATI: I GIOVANI AVVOCATI PROBABILMENTE ESCLUSI DEL BONUS

Il 16 aprile, il web inizia a “scaldarsi”: moltissimi Colleghi, i vincitori della corsa al click day il primo aprile, iniziano a ricevere la missiva di Cassa Forense che avvisava dell’ammissione al bonus dei “famosi” 600 Euro previsti per il mese di marzo. Tale somma è stata effettivamente erogata con valuta il giorno successivo. Meraviglioso il nome datogli: reddito di ultima istanza. Nel frattempo, tutti i giovani avvocati, iscritti alla Cassa nel 2019 o nel 2020, aventi i requisiti richiesti per accedervi (l’aver percepito, nell’anno di imposta 2018, un reddito complessivo non superiore a 35 mila euro ed essere regolarmente iscritti alla Cassa), si trovano in una situazione ben diversa. Ebbene, quella che è forse la fascia più debole dell’Avvocatura, rimane esclusa. Questo accade solo agli avvocati: Inarcassa (per gli ingegneri e gli architetti) ha erogato il bonus indipendentemente dall’anno di iscrizione. Cassa Forense, invece, sospende l’erogazione di tale somma, nell’attesa di una “interpretazione autentica” da parte del Ministro Catalfo. E’ bene precisare che la previsione nulla diceva circa l’anno di iscrizione alla Cassa. Mentre si parla di aumentare il bonus per il mese di aprile, da 600 ad 800 Euro, non sarebbe il caso di occuparsi di chi, del tutto ingiustamente, ne è rimasto e ne rimarrà escluso? Perché se l’interpretazione di cui sopra dovesse arrivare dopo il 30 aprile, le somme a disposizione, già di per sé insufficienti per aiutare tutta la platea dei richiedenti, saranno esauriti. E i giovani avvocati hanno dovuto, ancora una volta, tutelarsi da soli, per vedersi riconoscere una somma simbolica che, per i più, è divenuta una questione di principio, più che di denaro. Ed eccoci, allora, venerdì sera, riuniti, vicini, ma lontani: non solo io, ma anche i Colleghi Mario Nobile di Foggia, Federica Marino di Napoli e Stefania Giannico di Taranto, ha anche espresso le nostre perplessità in diretta su IusLaw Web Radio, la “radio degli avvocati”, a discutere su come fare a “farci sentire”. Così decidiamo di lanciare un’ora di tweetbombing diretta a @CatalfoNunzia, @ocforganismo, @CNF_it, al fine di ottenere almeno una risposta sensata a questa ennesima ingiustizia. Perché la Cassa la paghiamo, ed è un grande esborso di denaro, dopo i soldi spesi per l’iscrizione all’Albo, per il Giuramento, e chi più ne ha più ne metta. E decidiamo il contenuto del messaggio, lanciando #600europertutti. Con il prezioso aiuto di MGA, inizia alle ore 15 di ieri il tweetbombing: non siamo molti, è stato tutto organizzato all’ultimo momento, ma chi se lo poteva aspettare? Abbiamo unito le forze ed abbiamo agito, e tantissimi altrettanto giovani Colleghi ci hanno aiutati. Non saremo arrivati nei trend topics, ma oggi la nostra voce è giunta agli onori della stampa nazionale: “Repubblica” e “Nuovo Quotidiano di Puglia” hanno parlato di noi. Adesso non può essere per noi una fase di soli oneri, ma anche di effettiva tutela. Ci faranno almeno “iniziare” la Professione o dovremmo aspettarci un’interpretazione autentica ex post, in senso restrittivo, in totale spregio del principio di uguaglianza? Attendiamo, forse scorati ma determinati, una risposta in merito.

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Cronaca

La mancata tutela dei diritti dell’Avvocato, è mancata tutela dei diritti dei cittadini

Il ruolo dell’avvocato è quello di tutelare i diritti altrui, in virtù del diritto di difesa costituzionalmente sancito. Ma una cosa non ci si chiede: chi tutela gli avvocati? La Cassa Forense che pretende fior di soldi all’anno? L’assicurazione obbligatoria? No. L’avvocato si tutela da solo, in tutto e per tutto.

Dopo non poche discussioni, è stato aperto un varco per riconoscere l’indennità degli ormai “famosi” 600 Euro, anche ai Professionisti iscritti alle Casse private, la cui attività, ricordiamolo, è stata bloccata. Procediamo adesso con ordine.

Dalle ore 12:00 del primo aprile è stato possibile effettuare la richiesta anche per gli avvocati alla loro Cassa. Come per il sito dell’INPS, il sistema era in tilt, come facilmente si poteva immaginare. Questo perché le domande sarebbero state esaminate e poi, teoricamente liquidate, in ordine cronologico: ergo “chi compila ed invia prima, prima riceve l’aiuto”.

Principio palesemente illogico, rappresentante un vulnus del principio di uguaglianza sostanziale, scolpito in seno all’art. 2, comma 2 della Carta Costituzionale. Per assurdo, dunque, chi per pura fortuna fosse riuscito ad inviare la domanda alle 12:01, pur avendo un reddito inferiore ai 50.000,00 Euro, sarà automaticamente preferito a chi percepisce  un fatturato al di sotto dei 35.000,00 Euro o molto meno, che è riuscito ad accedere soltanto alle ore 18:00.

E a giudicare dai numeri di chi ha effettuato la richiesta de qua, l’Avvocatura non appare così ricca, anzi.

Il successivo 9 aprile, l’ennesimo decreto legge statuiva che, ai fini del riconoscimento dell’indennità, i professionisti iscritti alle Casse private non avrebbero dovuto essere titolari di trattamenti pensionistici ed essere iscritti alla Cassa in via esclusiva. 

Dal giorno dopo si sarebbe dovuta rendere, pertanto, una ulteriore dichiarazione integrativa. Da un giorno all’altro, sorgevano nuove domande, e la più frequente era per molti sostanzialmente questa: “Ma io che prima del 2012 ero iscritto alla gestione separata INPS [poiché non vi era l’obbligo di iscrizione alla Cassa Forense, N.d.A.] rientro o meno?”.

Doveva ritenersi quasi implicito che chi fosse titolare di altri benefici non potesse cumularli all’indennità “fino ad esaurimento scorte”, ma lo si è specificato più di 10 giorni dopo (sic!).

Il 10 aprile, sebbene non cambiasse la posizione “assicurata” con la corsa alle richieste, il sito della Cassa era nuovamente in tilt: per i più usciva una schermata di errore. Era, dunque, impossibile capire se la domanda fosse stata inoltrata o meno. Anche il call center della Cassa era in tilt.

Ed era proprio il 10 aprile il giorno in cui sembrava che le prime indennità, per il mese di marzo, sarebbero state erogate.

Il medesimo decreto, poi, prevede testualmente un prolungamento della sospensione dei termini processuali, che inizialmente dovevano ricominciare il 13 aprile, al giorno 11 maggio.  

Avvocati e, ovviamente, i loro clienti, hanno visto rinviare le udienze a data da destinarsi o al prossimo anno. Se, poi, i termini ricominceranno a decorrere da metà maggio, appare chiaro che, sebbene gli Studi possano restare aperti, i Professionisti non avranno la possibilità di lavorare normalmente.

E ciò si traduce nel fatto che i cittadini non avranno la possibilità di tutelare i propri diritti ancora per lungo tempo. E chissà quanti rinvii seguiranno, perché nel frattempo si sarà creato un vero e proprio “ingorgo” di cause ancora pendenti. La Giustizia allungata è, di fatto, Giustizia negata.

E per gli avvocati la Cassa Forense è “andata in aiuto” sospendendo tutti i pagamenti in scadenza non fino al 31 ottobre (data naturale delle scadenze), ma sino al 31 dicembre. Ergo, a dicembre gli avvocati potranno pagare tutto in un’unica tranche, dopo non aver potuto lavorare.

E queste decisioni giungono da una classe politica i cui maggiori rappresentanti sono proprio avvocati.

Continuerà, dunque, il dibattito sul trattamento previdenziale e sulla gestione della Cassa Forense e l’avvocatura forse si compatterà, ma chi ne farà le spese saranno gli utenti della giustizia, imputati, detenuti, vittime, persone offese e danneggiate, che vedono il loro unico strumento di difesa nell’avvocato svilito e sbeffeggiato sia dallo Stato, sia dalle Istituzioni che dovrebbero tutelarlo.   

 

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CONDOMINIO: LE IMMISSIONI DI ODORI POSSONO COSTITUIRE REATO

LE DENUNCE POTREBBERO MOLTIPLICARSI A CAUSA DELLA QUARANTENA DA COVID-19.

Vivere in quella particolare forma di comunione qual è il condominio, spesso, non è facile. Sicuramente ognuno deve limitare le proprie libertà per non calpestare quelle altrui. Trattasi di una regola, ancor prima che giuridica, di buona educazione.

Non viviamo, tuttavia, in un mondo idilliaco: nel caso in cui rumori, odori, o, più in generale, le “immissioni” così come descritte dall’art. 844 del Codice Civile superino la normale tollerabilità, potrebbe sussistere in capo a chi le pone in essere, il reato di cui all’art. 674 del Codice Penale, secondo il quale “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro”.

Intendo concentrarmi sulla questione degli odori, particolarmente sentita da chi spesso incontro.

Orbene, l’art. 844 c.c. elenca il divieto generale di non produrre propagazioni di ogni tipo che non possano essere “normalmente tutelate”: e sebbene l’articolo parli di immissioni tra fondi, il divieto è analogicamente applicabile anche in caso di materia condominiale.

Ma cosa si intende per “normale tollerabilità”? Poniamo il caso che il vicino non si limiti a fare il barbeque una tantum, ma che gli odori derivanti dalla sua cucina si propaghino nel Vostro appartamento in continuazione. Pensate che non vogliate più aprire le finestre, perché, qualora lo facciate, vi trovereste l’appartamento completamente intriso degli odori provenienti dal vicino.

Questo caso supera la normale tollerabilità, il giudizio sulla quale è rimesso al Giudice, in base agli elementi di prova che vengono portati a supporto della propria tesi. Infatti, conferma la Suprema Corte, che è il Giudice che, secondo le regole generali può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, anche senza la necessità di effettuare una perizia: fondamentali possono essere le dichiarazioni testimoniali di coloro che siano in grado di riferire caratteristiche ed effetti delle immissioni e, ovviamente, “quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive […] , ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dai dichiaranti medesimi” (così, Cassazione Penale, sent. n. 971/2015).

La questione è stata sottoposta alla corte di Cassazione più volte e per vari motivi. In particolare, secondo la pronuncia della Cassazione Penale n. 34896/2011 “in tema di getto pericoloso di cose, l’evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori è apprezzabile a prescindere dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c..”.

Ecco che, in tali casi, si hanno le “molestie olfattive”.

Sulle immissioni di odori, in particolare, è intervenuta la III Sezione Penale con sentenza n. 14467/2017, la quale ha riconosciuto sussistente la fattispecie di cui all’art. 674 c.p. anche nel caso di emissioni di odori provenienti dalla cucina di un’abitazione privata, superanti la normale tollerabilità, criterio cui è sempre necessario rifarsi, in assenza di apposita normativa nella materia oggetto dell’immissione.

Ecco il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte: “In tema di getto pericoloso di cose, la contravvenzione prevista dall’art. 674 cod. pen. è configurabile, qualunque sia il soggetto emittente, anche nel caso di emissioni moleste “olfattive” che superino il limite della normale tollerabilità ex art.844 cod. civ.”.

Orbene, credo che tali situazioni siano di particolare attualità, specie in questo periodo di quarantena: la maggior parte di chi è abituato a partire la mattina e tornare a casa la sera si trova, per le note restrizioni volute per contrastare il diffondersi del c.d. coronavirus, a restare a casa.

Credo che, anche alla luce della contingenza in cui si vive, il problema sarà particolarmente sentito da chi non è assolutamente abituato a ritrovarsi durante il giorno con emissioni di carattere olfattivo (e non solo!).

L’invito è quello di tentare di rispettarci l’un l’altro, poiché si “convive forzosamente”.

E attenzione all’importanza, dal punto di vista delle conseguenze penali, di tali comportamenti.

Avv. Alessandra Zorzi

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Cronaca

Falsi farmaci anti-covid, operazione NAS

Nell’ambito dell’attuale emergenza sanitaria connessa alla diffusione epidemia di “Coronavirus covid-19” il Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, attraverso i dipendenti NAS, sta svolgendo controlli ispettivi e repressivi sulla regolarità delle attività distributive di prodotti medicinali e sanitari nonché all’accertamento di pratiche commerciali illegali o fraudolente, anche su canali on-line.

 Carabinieri 2

Proprio internet è diventato, contestualmente all’attuale fase di contenimento sociale, un’importante fonte di approvvigionamento di articoli, tra i quali si possono trovare prodotti con claims accattivanti asseritamente in grado di prevenire e curare patologie polmonari, in particolare, quelle causate dal COVID-19. L’estensione dei controlli dei NAS alla vigilanza on-line ha permesso di individuare siti web ed inserzioni promozionali su social forum e piattaforme di vendita on-line utilizzati per promuovere e offrire in vendita farmaci falsamente vantanti proprietà anti covid-19 e kit diagnostici privi di validità o non utilizzabili in autodiagnosi.

Il Reparto Operativo del Comando CC per la Tutela della Salute, nell’ambito di attività info-investigativa condotta sul “web” per il contrasto al cybercrime farmaceutico, ha dato esecuzione ad un provvedimento d’inibizione all’accesso (oscuramento), emesso dalla Direzione Generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico del Ministero della Salute nei confronti di un sito web collocato su server estero, sul quale venivano effettuate la pubblicità e l’offerta in vendita, anche in lingua italiana, di medicinali soggetti a prescrizione medica obbligatoria.

Gli accertamenti condotti dal citato Reparto hanno consentito di documentare telematicamente pratiche fraudolente come la messa in vendita di un medicinale antivirale a base di umifenovir, pubblicizzato “per la prevenzione e il trattamento negli adulti e nei bambini covid-19 (sars-cov-2)”, per il quale l’Agenzia Italiana del Farmaco ha già precisato l’assenza di autorizzazione per l’uso in Europa ed U.S.A., nonché la mancanza di evidenze scientifiche di efficacia nel trattamento o prevenzione della malattia da covid-19.

Inoltre, sul medesimo sito oscurato, erano offerti in vendita una serie di farmaci contenenti principi attivi ad azione dopante a base di “EPO-CERA”, meldonio e clembuterolo, inseriti tra le sostanze proibite in uso sportivo e privi di autorizzazione, tutti destinati ad alimentare il mercato illegale del doping sportivo e nelle palestre.

Il NAS di Torino ha ottenuto dalla Procura della Repubblica di Torino il decreto di sequestro preventivo con oscuramento di un sito riconducibile all’offerta in vendita di prodotti vantanti azione terapeutica e medicinale nei confronti dell’infezione virale COVID, configurando l’ipotesi delittuosa di tentata frode in commercio e vendita di medicinali pericolosi per la salute. Analoga richiesta di provvedimento è stata promossa per una serie di annunci pubblicitari, inseriti in una nota piattaforma di commercio on-line, di un farmaco asseritamente dichiarato anti-virale, risultato privo di Autorizzazione all’Immissione di Commercio.

I NAS di Bari e di Napoli nonché la Sezione Analisi del Reparto Operativo dei NAS hanno individuato vari siti web che offrono in vendita kit diagnostici in vitro destinati alla verifica ematica del titolo anticorpale dei virus COVID-19. Tali tipologie di prodotti non sono allo stato considerati come prove alternative per la determinazione dell’infezione, il cui riferimento rimane l’analisi molecolare effettuata sui tamponi rino-faringei. È in atto un monitoraggio sulle finalità d’impiego e sulle restrizioni d’uso di tali dispositivi, preclusi ad un utilizzo non professionale.