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ITALIA

Otto anni per arrivare a sentenza civile.

Governo. Giustizia: se otto anni vi sembrano pochi

Roma,12.06.2020. Otto anni per arrivare a sentenza civile.
E’ il risultato di una ricerca della Commissione europea per l’efficienza della Giustizia del Consiglio d’Europa (1).
In Germania i processi civili durano 2 anni e quattro mesi e in Spagna 2 anni e otto mesi.

Immaginate una impresa o un cittadino che si rivolge alla giustizia italiana per ottenere una sentenza dopo 8 anni. Follia è attendere questa infinità di tempo per avere una risposta ed è uno dei motivi principali per i quali le imprese straniere evitano di investire nel nostro Paese.

Cosa ha fatto questo governo?

Praticamente nulla, perchè si è limitato a proporre (proporre, si intende) piccole modifiche al Codice di Procedura Civile (2) attinenti al rito processuale.
Per la parte penale, il Governo, con l’abolizione della prescrizione, si è mosso in direzione opposta dilatando all’infinito i tempi processuali.

Il documento Colao, base della discussione nella riunione definita “Stati Generali”, dedica poco spazio alla giustizia, come se la questione non riguardasse le riforme strutturali che l’Ue ci chiede per accedere ai fondi comunitari.

Non si capisce perché la performance dei tribunali mostri un così alto grado di differenziazione. Le esperienze di alcuni tribunali dimostrano che, adottando nuovi principi organizzativi, è possibile migliorare anche a parità di altre condizioni di contorno.

Alcuni miti sono da sfatare (3), quali quelli relativi all’alto grado di litigiosità, alla minore spesa, alla mancanza di risorse umane, alla  questione meridionale e alla maggiore efficienza dei piccoli tribunali.

Nel 2015 fu elaborato un progetto (4) per migliorare la performance dei tribunali, relativamente all’arretrato, ma la situazione è rimasta sostanzialmente immutata.

Quando la giustizia impiega anni per emettere sentenze si trasforma in denegata giustizia. 
Non sembra abbia importanza per l’attuale governo e per il suo ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede (M5S).

ADUC – Associazione Diritti Utenti e Consumatori

 

 

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Consumatori

Pandemia e concerti. Per il diritto al rimborso: esposto a Commissione UE e Antitrust.

Continua a montare, sul web, la protesta per il mancato rimborso dei biglietti di concerti ed eventi culturali che non si sono tenuti a causa della pandemia: dai concerti di Paul McCartney a Lucca e Napoli al Firenze Rock con Vasco Rossi e Red Hot Chili Peppers, passando per le centinaia di concerti che la stagione estiva ha sempre offerto.

Il decreto Rilancio, ora in fase di conversione alla Camera dei deputati, punisce appassionati di musica e cultura vietando il rimborso dei biglietti per gli eventi che non si sono tenuti e non si terranno causa Covid: come per i viaggi (1) i malcapitati otterranno solo un voucher da utilizzare entro 18 mesi dall’emissione.

Poco importa che il nostro artista preferito nei prossimi 18 mesi non tenga un concerto in Italia, o lo tenga in luogo diverso o troppo distante da dove abitiamo, poco importa anche che – ad eccezione del nostro artista preferito – non ci interessino gli altri concerti organizzati da quell’organizzatore. In tutti questi casi perderemo i nostri soldi.

La legge peraltro è pure scritta male, manca una frase o – almeno – un verbo:
“A seguito dell’adozione delle misure di cui all’articolo 2, comma l, lettere b) e d), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 e comunque in ragione degli effetti derivanti dall’emergenza da Covid-19, a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto e fino al 30 settembre 2020, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1463 del codice civile, ricorre la sopravvenuta impossibilita’ della prestazione dovuta in relazione ai contratti di acquisto di titoli di accesso per spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, e di biglietti di ingresso ai musei e agli altri luoghi della cultura”

Quando ricorre la impossibilità sopravvenuta? Quando il concerto è saltato? Quando è stato rinviato a data certa? O a data da destinarsi? Quando è stato annullato?

Niente, non si capisce. Diamo per scontata l’opzione più logica: quando un evento non si è tenuto.
Quindi il voucher andrebbe emesso per tutti i concerti che non si sono tenuti, mentre organizzatori e canali di vendita li emettono solo per i concerti annullati. E chi ha comprato un biglietto per un concerto rinviato a data certa o a data da destinarsi non avrà nemmeno il voucher, dovrà attendere le decisioni (se e quando) degli organizzatori.

E’ il caso ad esempio del Firenze Rock, i cui organizzatori hanno annunciato ieri che il concerto dei  Red Hot Chili Peppers del 13 giugno 2020 si terrà il 16 giugno 2021, quindi gli acquirenti non hanno diritto (secondo gli organizzatori) nemmeno al voucher, il loro biglietto resta valido, poco importa se quel giorno non potranno o non vorranno partecipare al concerto. Stesso discorso per il concerto di vasco Rossi rinviato dal 10 giugno 2020 al 18 giugno 2021.

A nostro avviso si tratta dell’ennesima illegittimità, e chi fosse interessato ad avere comunque un voucher (sic!) deve ottenerlo. In tutto il resto d’Europa i biglietti per gli eventi saltati vengono rimborsati, solo l’Italia cerca di fare caso a parte violando le direttive europee in materia di clausole vessatorie (Direttiva 93/13/CEE) e di pratiche commerciali sleali (Direttiva 2005/29/CE).

I decreti Cura Italia e Rilancio introducono per legge una clausola vessatoria nei contratti che ha l’effetto di escludere i diritti del consumatore in caso di inadempimento totale o parziale, clausola nulla – secondo il nostro stesso codice del consumo – se a introdurla in un contratto è il professionista. Nulla anche se chi la introduce è lo Stato, per scaricare sul consumatore quegli interventi economici invocati dagli imprenditori per la pandemia anzichè provvedervi direttamente.

L’obbligo dei voucher è, ancora, una pratica commerciale aggressiva poichè chiaramente falsa il  comportamento economico del consumatore che, se lo avesse saputo prima, non avrebbe acquistato quei biglietti.

Il nostro codice del consumo, che recepisce la normativa europea, all’art. 25 specifica che per determinare se una pratica commerciale comporta coercizione del consumatore occorre prendere in considerazione, fra i diversi elementi l’ostacolo “non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto […]”.

L’obbligo di accettare i voucher è una coercizione in questo caso ancor più grave, poichè posta in atto dallo Stato in spregio a quegli stessi diritti – il diritto alla qualità dei servizi (ottenere il servizio per il quale ho pagato, e non un altro) e all’equità nei rapporti contrattuali, equità palesemente lesa nel caso dei voucher – che l’art. 2 comma 2 del codice del consumo definisce diritti fondamentali dei consumatori.

Il decreto rilancio è ancora in fase di conversione, quindi il legislatore è ancora in tempo per intervenire ed evitare l’ennesima patrimonialina che va a pescare nelle tasche dei consumatori.
La nostra richiesta al legislatore è di fare tesoro dei suggerimenti della Commissione Europea e dell’Antitrust per i voucher nel turismo rendendo il voucher alternativo al rimborso a discrezione del consumatore oppure – per lo meno – di stabilire che se non utilizzato entro 18 mesi deve essere restituito (possibilmente con gli interessi).

Temendo che i nostri appelli al legislatore cadano nel vuoto, abbiamo inviato una segnalazione all’Antitrust e abbiamo presentato una denuncia alla Commissione UE affinchè intervenga

Invitiamo i consumatori ai quali è stato negato il rimborso a presentare una segnalazione all’Antitrust (2) e a inviare una denuncia alla Commissione UE (3)

FONTE  https://www.aduc.it/comunicato/pandemia+concerti+diritto+al+rimborso+esposto_31276.php

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SPORT

ADUC, diverse le palestre o simili che hanno deciso di riaprire

Qui il comunicato online: https://www.aduc.it/comunicato/coronavirus+palestre+che+riaprono+rimborsi_31225.php
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Coronavirus e palestre che riaprono. Rimborsi, riduzioni e disdette per servizi inferiori e/o diversi

Firenze, 24 maggio 2020. Alla data del 25 maggio sono diverse le palestre o simili che hanno deciso di riaprire, anche quelle legate a grandi catene molto presenti sul territorio nazionale.
Le norme da rispettare per la riapertura sono stringenti e tutti i gestori di questi servizi si stanno attrezzando. Norme che, nella totalità dei casi, comportano la restrizione di diversi servizi fino all’annullamento di alcuni, orari di accesso e di permanenza limitati ad alcune fasce orarie e/o cadenza settimanale. Non potrebbe essere altrimenti visto che le strutture non sono state concepite per situazioni del genere.
Questo comporta sostanzialmente la modifica dei contratti che erano stati stabiliti coi singoli frequentatori. Modifica contrattuale a cui i sottoscrittori non devono sottostare se non per loro libera scelta. Purtroppo diversi gestori di palestre cercano di imporre le modifiche dando per scontato che siano parte del contratto. Ma non è così.

Premesso che il periodo in cui la palestra è stata chiusa deve essere integralmente rimborsato
Ecco i consigli su come fare

A – parlare con il gestore della palestra per fargli presente la propria indisponibilità ad accettare le modifiche imposte e quindi, a propria scelta:
1 – proporre una riduzione del prezzo stabilito (chiedendo – se non lo si è già fatto e ottenuto – anche il rimborso del periodo non utilizzato in cui la palestra è stata chiusa);
2 – far presente di non essere più interessati al loro servizio e chiedendo il rimborso di quanto già pagato (se si è pagato in anticipo) o l’annullamento delle successive rate (chiedendo – se non lo si è già fatto e ottenuto – anche il rimborso del periodo non utilizzato in cui la palestra è stata chiusa).

B – qualora il gestore non mostrasse disponibilità:
1 – inviare una raccomandata A/R o PEC di messa in mora (*) intimando la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1463 del codice civile;
2 – se entro 10 giorni non si ha alcuna risposta o si ha risposta negativa, occorrerà rivolgersi al giudice di pace (**);
2a – se i pagamenti sono stati fatti con l’intermediazione di una finanziaria si potrà chiedere la risoluzione del contratto di credito al consumo alla stessa finanziaria (sempre per raccomandata a/r o PEC *), intimando la risoluzione del contratto di finanziamento ai sensi dell’art. 125 quinques del Testo Unico Bancario e il rimborso delle rate pagate per servizi di cui non si è potuto usufruire. In mancanza di risposta o di risposta negativa, ci si potrà rivolgere all’Arbitro Bancario Finanziario (***).

Per casi specifici o particolarmente articolati Aduc ha un servizio di consulenza/assistenza online, per telefono o presso le proprie sedi: https://sosonline.aduc.it/info/consulenza.php

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ITALIA

Pandemia e riapertura. La cosa principale che non torna: la scuola

Sembra che da lunedì 18 maggio e, via via un po’ più in là, con differenziazioni anche tra regione e regione “si riapra”. Il numero e la differenza di provvedimenti sono così alti che speriamo sia dato mandato alle forze dell’ordine, che dovrebbe controllarne attuazione e punire i trasgressori, di essere comprensive se, per esempio, un trasgressore sarà colto sul fatto perché non era al corrente del comma 1, punto 7, virgola 4 del dpcm 5/2020 rivisto e rianimato dalla delibera regionale n.4567/2020 in applicazione del provvedimento amministrativo 657/2020 del Comune Pinco Pallo. E se questo trasgressore abbia invece dato fiducia al giornale locale che riprendeva una notizia data per certa da un tg della Rai, certezza che però poteva essere intuita come non tale solo da chi, avendo letto i dpcm 5/2020 ed ascoltata la conferenza stampa del premier Giuseppe Conte alle ore 23,35 su un canale Facebook che però si riusciva ad ascoltare solo se la
propria banda Internet era superiore ai 50 mega (cosa difficile a quell’ora perché la Rete è intasata da tutti quelli che vedono Netflix o uno dei tanti web porno)… da chi, addetto ai lavori, aveva una laurea in Giurisprudenza con tesi in diritto amministrativo ed esperienza pluriennale in alcuni studi di amministrativisti esperti di diritto regionale.
Insomma, auspichiamo tolleranza da parte delle autorità, onde evitare il massacro compiuto fino ad oggi, con multe mediamente di 400 euro per persone che a stento hanno avuto un introito tale nel giro di due mesi (con eccezione, ovviamente, di dipendenti pubblici, pensionati e dipendenti dei settori alimentari e beni di prima necessità).

Bene. Si riapre. Si potrà stare ad un metro di distanza, senza mascherina, se si lavora in fabbrica, ma non in un bar. Ci si potrà sfiorare, con mascherina come avviene da tre mesi, nei corridoi dei supermercati, ma non in un ristorante (anche perché è difficile mangiare con la mascherina). Si potrà andare dal parrucchiere ma non a scuola. Chissà se si conosce qualcuno che ci attrae fisicamente… che cosa occorrerà fare e chiedere prima di… fare una carezza.

A scuola, già. Perché non a scuola? Mistero. Certo i giovani devono sempre avere canali privilegiati di attenzione rispetto agli altri soggetti… ma quanti giovani sono stati contagiati e quanti sono morti? Non azzardiamo nessuna ipotesi, ma raccontiamo solo i fatti facendoci domande che chiunque potrebbe farsi anche tra quelli che disinfettano le scarpe prima di entrare in casa dopo essere andati a depositare la spazzatura nel cassonetto a 40 metri dal portone di casa propria.
Domande a cui chiediamo risposte da chi di dovere. Non altro.
A noi preme notare che una riapertura senza scuole è finta. E’ probabile che i nostri governanti non vedano l’ora che arrivi giugno così il problema scuola sarà naturalmente risolto dalle vacanze. Ma nel contempo ci rendiamo conto che, per esempio, parlando con mia figlia che è al primo anno delle superiori, dopo averle detto: “Sai, ho letto un’indagine che dice che solo il 9% degli studenti che fanno scuola a distanza riesce a stare attento durante tutta la lezione”; mi ha risposto così: “Mi sembra una percentuale molto alta”.
A questo aggiungiamo tutti quei genitori che, nonostante congedi parentali, bonus baby sitter e nonni più o meno presenti, non sanno come fare coi figlioli. A maggior ragione ora che le scuole stanno per finire e, se prima il 9% seguiva le lezioni, ora la percentuale sarà Zero. E questi figlioli, in vacanza (!), dovrebbero/potrebbero andare a giocare a pallone con la mascherina o andare nei centri estivi (chissà perché questi sì e le scuole no), forse al cinema (quelli all’aperto sono estinti da tempo) e tutto sottocasa, forse fra un po’ nella regione accanto.
C’è qualcosa che non ci torna. Se non che, probabilmente, l’importanza determinante della scuola nella nostra società c’è qualcuno che non l’ha considerata più di tanto. Oppure non ci torna che la sicurezza sanitaria che consente queste aperture non sia frutto di certezze, ma di pressioni di quella categoria e di quell’altra categoria. A proposito, qualcuno al governo sta seguendo come fanno in Germania?
Qualcuno ce lo dirà?

Vincenzo Donvito, presidente Aduc

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Comunicati

Coronavirus e caos notifica atti giudiziari. Ordine, contrordine, controcontrordin

Ci siamo occupati del problema delle notifiche giudiziarie sin dall’inizio dell’emergenza. La giustizia è uno dei settori che ha subito lo stop più lungo e, di fatto, rimarrà immobile fino a settembre. A questa situazione già di per sè di estrema gravità (non garantire effettivo rimedio giudiziale di un diritto equivale di fatto a negarlo) si aggiunge il caos sulle notifiche degli atti giudiziari che, dai primi di marzo in poi, sono state effettuate tutelando solo la conoscenza formale dell’atto e mai quella sostanziale.

Ricapitolando:
    • 6 marzo 2020 (1). Poste italiane si fa legislatore e annuncia che i recapiti a firma verranno consegnati citofonando al destinatario e lasciando il plico in cassetta, con il postino che firma al posto del destinatario;
    • 11 marzo 2020 (2). Poste italiane ci ripensa e annuncia sul proprio sito che il postino “fingerà” che in casa non ci sia nessuno e lascerà l’avviso di giacenza per gli atti giudiziari;
    • 17 marzo 2020 (3). interviene il Governo con il decreto Cura Italia, che autorizza i postini a consegnare gli atti giudiziari citofonando al destinatario, avvisandolo della consegna, firmando la cartolina di ritorno e lasciando il plico nella cassetta delle lettere;
    • 24 aprile 2020. Il decreto Cura Italia viene convertito in legge, e la disciplina sulle notifiche degli atti giudiziari cambia di nuovo: il postino potrà scegliere se notificare l’atto facendo firmare il destinatario oppure lasciare l’avviso, a seconda di come si sente quella mattina, se fuori piove o c’è il sole, se il destinatario gli sta simpatico o meno

Oggi, se mai fosse possibile ingarbugliare ancora di più la matassa, il Governo interviene di nuovo sulle notifiche, sconfessando il Parlamento e dandogli del cialtrone:
“L’introduzione di un doppio regime, alternativo e non vincolato, non pare compatibile con l’intento cautelativo e di tutela voluto dalla norma, cosicche il testo dell’articolo 108 va ricondotto alla formulazione anteriore alla modifica apportata, con l’emendamento richiamato, nel passaggio al Senato” […] “le modifiche apportate, in sede di conversione del decreto, all’articolo 108 dettano un processo non chiaro e con inesattezze tecniche gravi tali da rendere sostanzialmente non applicabile la norma”.
Parole riportate a pagina 435 della bozza in circolazione da ieri del (probabile) decreto Rilancio. Il Governo quindi abroga la norma convertita in legge e ripropone la formula contenuta nel decreto legge.

“Braccio di ferro fra esecutivo e Parlamento”, si potrebbe titolare ma a farne le spese sarà il cittadino, vaso di coccio fra i vasi di ferro. E ciò sia perchè nei prossimi anni tutte le notifiche fatte in questo sciagurato periodo saranno oggetto di impugnazione, e solo la Corte di Cassazione a Sezioni Unite dopo oscillanti interpretazioni dei giudici pronuncerà la parola definitiva nel 2032 o giù di lì; sia perchè – non contento – il Governo “cala l’asso”:
la bozza di norma prevede infatti che “sono fatti salvi i comportamenti tenuti dagli operatori postali prima della data di entrata in vigore della presente legge”.

Quindi, la norma è illegittima, sostanzialmente inapplicabile, gravemente inesatta dal punto di vista tecnico ma il postino che ha consegnato l’atto giudiziario a chi gli sta simpatico e ha lasciato l’avviso a chi gli sta antipatico è salvo, e la notifica pure.

Ora, passi l’emergenza sanitaria e la necessità di farvi fronte navigando a vista e spesso in modo confusionario, ma è arrivato il momento di mettere un punto a questa caotica bulimia legislativa.
La vicenda delle notifiche degli atti giudiziari è solo uno fra i tanti esempi di caos nel quale Governo e Parlamento stanno facendo sprofondare la vita dei cittadini nei mesi e negli anni che verranno.
A questo punto è indispensabile ripartire con norme chiare, semplici e di buon senso scritte da persone competenti. Se non ne siamo in grado, lasciamo tutto come era prima, è il male minore.

Emmanuela Bertucci, legale, consulente Aduc

 

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Consumatori

Fase2 e droghe illegali. Quelli che non devono riaprire…

Firenze, 4 maggio 2020. Un motivo conduttore all’unisono e nella testa, nell’udito e negli occhi di ognuno: riaprire. Via via che passano i Dpcm e le ordinanze, c’è sempre qualcuno che é stato dimenticato ed ecco la loro associazione che ce lo ricorda e più o meno tutti si pongono la domanda “ma perché non erano o non sono già aperti?”.
Stiamo ovviamente parlando delle attività legali. Ma la cosa è talmente parossistica che il Governo e non solo si è posto anche il problema delle attività illegali, il cosiddetto lavoro nero; e si fa sempre più strada (nelle dichiarazioni e nei dibattiti) una sorta di reddito d’emergenza, una “croce rossa” per evitare che oltre ai cadaveri di Covid si debba cominciare anche il conto di quelli per fame.
Ma c’è un mercato che non ha nessun bisogno di riaprire. Non ha mai chiuso. E’ quello delle droghe illegali. Consumate da vagonate di ragazzi e adulti, il loro business non ha bisogno di Dpcm o ordinanze. Anzi… meno ce ne sono o più ce ne sono… questo business è fiorente. Tutt’intorno il mondo soffre per mancanza di bar e ristoranti ed eventi culturali nella socialità, non il mondo delle droghe illegali. Ha un po’ sbandato all’inizio del confino, essenzialmente nelle vendite al dettaglio per strada, ma si è subito riorganizzato. Mentre alla fonte tutto è andato come doveva andare: la domanda all’ingrosso non si è fermata. Al dettaglio: per strada, coi rider insieme alla pizza o senza il camuffamento del cibo, online come e più di prima. Non c’è verso, la domanda è alta e, come non potrebbe essere altrimenti se non fosse stato consentito l’approvvigionamento alimentare durante il confino, il consumatore di queste sostanze ha sempre trovato un canale per
l’acquisto.
Ci sarà per gli spacciatori un reddito d’emergenza? Se sì, sicuramente non perché verranno riconosciuti come disoccupati delle canne o del buco o dello sniffo o della pasticca. Saranno finti disoccupati, perché questi spacciatori il lavoro lo hanno sempre avuto. E non possiamo escludere che l’esercito di questi lavoratori dello spaccio non abbia moltiplicato le reclute in questo periodo. Del resto, per arruolarsi in questo esercito non c’è mica bisogno di attestati, di documenti, di concorsi … sì, non si diventa subito arruolati, ma il meccanismo è sena burocrazia, tempi velocissimi, professionalità riconosciuta sul campo e magari solo con uno sguardo. Piuttosto che non mangiare, o non pagare l’affitto o il mutuo o le bollette, perché non arruolarsi senza che ci sia un’autorità che ti dica sì o no? La componente “delinquenziale” dentro ogni essere umano non è un aspetto secondario dello stesso, è connaturata a se stesso; a maggior ragione se alla
componente DNA si aggiunge la componente necessità.
Queste non sono nostre dissertazioni dettate dal fumo di qualche canna. No. Sono parole che seguono fatti, informazioni, numeri, storie, incontri, narrazioni, osservazioni. In una sola parola: quotidianità.
Di fronte a questo, il nostro legislatore, i nostri governanti a diversi livelli, che fanno? Meno di quello che facevano prima. Cioè dal nulla sono passati al nulla-nulla.
Noi abbiamo sollevato il problema e consigliato un percorso: legalizzazione. Oggi più che mai necessaria. Cioé: nuova legalità, diminuzione dell’illegalità, forze dell’ordine e autorità dedite a cose più importanti, servizio sanitari alleggeriti, nuovo business, nuovi lavori, nuova finanza, nuovi introiti fiscali (1)… tutte cose che, oggi più che mai in periodo di emergenza sanitaria ed economica ed istituzionale, sono utili e potrebbero rappresentare un valore aggiunto di grandi dimensioni (come sta accadendo in Canada e negli Stati Usa dove si è legalizzato).
Non siamo stupiti che la nostra proposta sia caduta nel vuoto. Siamo consapevoli in quel Paese viviamo e non siamo ideologici. Tutti, inclusi coloro che hanno pruriti mentali in materia, si devono però porre una domanda: ne vale la pena? E dovrebbero cercare di rispondere non nell’immediatezza, con le budella dei propri convincimenti, ma facendo dei conti, dei calcoli e, nella nuova economia e nel nuovo ordine che dobbiamo e stiamo costruendo con l’esperienza di questa emergenza sanitaria, guardando a domani, proprio facendo tesoro di quello che abbiamo evidenziato sulla indistruttibilità di questo business illegale (quindi nocivo).

Vincenzo Donvito, presidente Aduc

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In evidenza

Battiato. Povera Italia schiacciata dagli abusi del potere

La prevenzione non esiste, il paese è devastato dal dolore, e i governanti non riescono a trovare la bussola

 ” Nel fango affonda lo stivale dei maiali” dice Battiato in suo pezzo famoso, ” non cambierà” se noi non cambieremo, inutile attendere  che gli altri si decidano, fino a quando rimanderemo e faremo? Nel frattempo muore fisicamente a migliaia, economicamente per la stragrande maggioranza, ma sopratutto la speranza non so obiettivamente in quanti c’è per davvero,  a parte gli slogan che girano, detti per darci coraggio.

Le prove sono fatte per gli uomini ma gli uomini sono fatti per le prove?

 

Un esempio di quanto dico è lo sfogo e la denuncia dell’ADUC, una delle più prestigiose associazioni a tutela dei consumatori:

Governo. Coronavirus, l’incapacità e la gnagnera

Roma,02.05.2020. E’ stato un continuo rincorrere l’emergenza. Invece di prevenire, il Governo ha seguito l’evolversi della infezione.
Esempio: l’emergenza sanitaria è stata annunciata ufficialmente il 31 gennaio, il piano sanitario è stato secretato e le iniziative di confinamento e chiusura sono arrivate settimane dopo. 

A seguito, è arrivata la gnagnera degli imprenditori che lamentavano la crisi ma che non proponevano soluzioni se non quella di aprire, aprire.

C’è anche la gnanera di chi vede limitare i propri diritti costituzionali alla libera circolazione.

Vediamo la situazione ad oggi.

1. Sono stati effettuati i tamponi in  modo diffuso? No.
2. Sono state effettuate le indagini sierologiche in modo diffuso? No.
3. Sono attive le applicazioni (app) per la mappatura? No.
4. Sono state effettuate indagini statistiche sulla presenza del Coronavirus? No.

Allora come si fa a sostenere che bisognava aprire se non
si ha il quadro della situazione?

Passiamo agli imprenditori.
1. I lavoratori erano dotati di attrezzature mediche di protezione? No.
2. Gli imprenditori del settore turistico hanno proposto qualcosa, oltre alla richiesta di contributi? Per esempio, ospitare negli alberghi, a spese dello Stato, i familiari delle persone in quarantena. Ricordiamo che l’Imperial College, il 18 marzo scorso, aveva valutato in 6 milioni gli infettati da Coronavirus. Il sistema della ristorazione poteva fornire vitto, a spese dello Stato, a chi era in quarantena, a chi era ospitato negli alberghi e ai pensionati, 8 milioni dei quali sotto i mille euro di reddito. Inoltre, il sistema dei trasporti pubblici poteva essere integrato da quello dei bus turistici, a carico dello Stato, sia a livello nazionale che locale.

Limitazione dei diritti.

L’articolo 16 della Costituzione recita:
“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”.

I motivi di sanità ci sono, la legge c’è e il Dpcm (Decreto presidente Consiglio dei Ministri) è atto amministrativo conseguente alla legge approvata dal Parlamento.
Dunque, dove è la violazione della Costituzione?

A nessuno piace essere limitato nelle proprie attività o libertà, ma siamo in emergenza sanitaria.
Bisognava, e bisogna, governare le emergenze, anche senza gnagnera, Primo Mastrantoni, segretario Aduc

Leopardi ha scritto L’infinito mentre era in coda alle Poste.
(Tristemietitore, Twitter)

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Consumatori

Coronavirus e noleggio auto a lungo termine: non è possibile la sospensione dei canoni

Si deve continuare a pagare il canone di noleggio di un autovettura anche se non è possibile utilizzarla a causa delle restrizioni alla circolazione imposte per contenere la diffusione del Coronavirus?
Innanzitutto, va precisato che il contratto di noleggio è quel particolare tipo di negozio giuridico per effetto del quale un soggetto, a fronte dell’utilizzo di un determinato bene mobile, di proprietà dell’altra parte contrattuale, si impegna al pagamento di una somma di denaro, detto canone.

Trattasi di una fattispecie molto diffusa nella prassi commerciale, ma per la cui disciplina ci si deve riferire necessariamente alle norme sulla locazione contenute agli artt. 1571 e ss. c.c., in quanto il termine “noleggio” è un termine atecnico, che non si ritrova tra le diverse figure contrattuali previste dal codice.

Applicando la disciplina sulla locazione, può intanto dirsi che il contratto di noleggio è quel contratto in forza del quale una parte (definita noleggiatore) si obbliga a far godere ad un’altra parte (definita noleggiante) una cosa mobile per un determinato periodo di tempo verso un determinato corrispettivo. Il contratto di noleggio, dunque, non può che assimilarsi ad una locazione di beni mobili e di tale fattispecie ne assorbe tutti i tratti essenziali.

In particolare, è dall’esame di tale disciplina che vanno individuate le obbligazioni che sorgono in capo alle parti di questo contratto e così, ex art. art. 1575 del c.c., il noleggiatore  ha l’obbligo per legge di: 1) consegnare al noleggiante il bene (l’autovettura), che ne costituisce l’oggetto, in buono stato di manutenzione; 2) mantenere anche successivamente il bene noleggiato in buono stato, affinché possa servire all’uso convenuto; 3) garantire il pacifico godimento all’uso del bene.
Nella situazione attuale, caratterizzata da un “fermo forzoso” del mezzo preso a noleggio, dovuto alle restrizioni alla libertà di circolazione e movimento, la parte locatrice (il noleggiante), di fatto, non è venuta meno ad alcuno degli obblighi suddetti, in quanto continua a garantirti il pacifico godimento del bene, così come il suo mantenimento in stato tale da servire all’uso convenuto.

E’ evidente quindi che la parte conduttrice, non avendo perso il possesso del bene e continuando a poterne godere in qualunque momento non può, purtroppo, ritenersi legittimata a sospendere il pagamento del canone pattuito (neppure temporaneamente), rischiando in tal modo di porsi nella posizione di parte inadempiente, con tutte le conseguenze che da tale inadempimento ne possono derivare, per legge e per contratto.
Alcune società di noleggio per far fronte a situazioni di questo tipo,  consentono il c.d. riadeguamento, ossia l’aggiornamento in più o in meno del pacchetto chilometrico a propria disposizione, ovviamente con relativo conguaglio.

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Cronaca

La coltivazione domestica di cannabis non è più reato. O forse sì

Firenze, 29 Aprile 2020. Sono state finalmente depositate le motivazioni della sentenza n. 12348/2020 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (udienza del 19.12.2019) con la quale si è avuto il coraggio, dopo decenni di incertezze, tentennamenti, contrasti giurisprudenziali, vuoti normativi, inettitudine del legislatore, di alzare – anche se con il contagocce – l’asticella delle libertà in questa delicata materia.

Libertà si fa per dire, perché restano in vigore e sono sempre dietro l’angolo tutte le sanzioni amministrative previste dell’art. 75 DPR 309/90 per chi, avendo coltivato per uso personale, viene poi colto in possesso della sostanza. Della pronuncia ne avevamo già dato notizia (https://droghe.aduc.it/notizia/cannabis+coltivazione+domestica+non+reato_136546.php), adesso ci sono le motivazioni complete, che chiariscono alcuni punti, ma mettendo paletti rigorosissimi alla nuova area di irrilevanza penale del fatto. In sostanza, i giudici si sono ancora una volta fatti carico, a causa dell’incapacità del Parlamento di operare scelte chiare su diritti e libertà degli individui, di un ruolo di vera e propria supplenza legislativa, andando a delineare, con quella che in materia costituzionale si chiamerebbe sentenza additiva, i confini del penalmente irrilevante. Ma facciamo un passo indietro e vediamo, molto sinteticamente, come si è arrivati a questo risultato. Fino ad oggi, la giurisprudenza maggioritaria, anche con due pronunce gemelle a Sezioni Unite (Di Salvia e Valletta del 2006) e in linea con quanto già precedentemente affermato dalla Corte Costituzionale, aveva stabilito che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso esclusivamente personale, con l’unico limite del reato impossibile per inidoneità della condotta di cui all’art. 49 c.p., ravvisabile nelle ipotesi in cui le piante coltivate non consentano di ricavare sostanza stupefacente in grado di produrre alcun effetto drogante, da accertare caso per caso e comunque non esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione delle piante. La Corte Costituzionale dal canto suo se ne era elegantemente lavata le mani ritenendo non irragionevole una previsione legislativa che assuma una presunzione di pericolo della condotta di coltivazione, circoscrivendo il trattamento più favorevole riservato all’uso personale di cui all’art. 75 DPR 309/90 (sanzioni amministrative) alla sole condotte di detenzione, cessione, importazione, esportazione etc., ma non a quella di coltivazione. Tra gli argomenti più utilizzati per sostenere la maggior pericolosità della condotta della coltivazione rispetto a tutte le altre condotte, ma con effetti a volte paradossali e contraddittori, vi era quello della “potenziale idoneità della coltivazione ad incrementare il mercato degli stupefacenti”. Le ultime Sezioni Unite intervengono in questo quadro frammentato ribadendo a chiare lettere, da un lato: • la correttezza della distinzione tra coltivazione/produzione e tutte le altre condotte e legittima l’anticipazione della soglia di tutela rappresentata dalla punibilità di ogni forma di coltivazione per la più spiccata pericolosità della coltivazione rispetto alla maggior parte delle altre condotte indicate dall’art. 73 DPR 309/90 perché destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi di stupefacente sul mercato; • l’indicazione della salute come unico bene giuridico tutelato dalle norme in questione (e non più la sicurezza, l’ordine pubblico, la salvaguardia delle giovani generazioni!) • che il reato di coltivazione è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficiente la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente. Nulla, dunque, sembrerebbe cambiato rispetto al passato, senonché, ad un certo punto della motivazione, si apre del tutto inaspettatamente uno spiraglio e viene introdotta una nuova distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica di minime dimensioni, arrivando a ritenere quest’ultima intrinsecamente non idonea a ledere o a mettere in pericolo il bene giuridico salute – e quindi penalmente irrilevante – quando per: • la minima dimensione della coltivazione; • il suo svolgimento in forma domestica e non industriale; • le rudimentali tecniche utilizzate; • lo scarso numero di piante; • il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile; • la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, essa appare destinata in via esclusiva all’uso personale del coltivatore. Nulla di più ci dicono le Sezioni Unite e, a ben vedere, non poteva essere diversamente, nell’inerzia di un legislatore immobile. Se pure si tratta di una pronuncia tanto attesa per molti piccoli aspiranti coltivatori domestici, essa, a ben vedere, non riuscirà, per la mancata indicazione di criteri univoci ed oggettivi, a mettere fine a quell’incertezza applicativa che si riscontra quotidianamente nella prassi giudiziaria e di polizia, quando si tratta di distinguere tra uso personale e destinazione a terzi. L’ennesima sconfitta per il principio di certezza del diritto, caposaldo di ogni convivenza civile ed ordinata.

Adriano Saldarelli, legale, consulente Aduc

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Coronavirus e notifiche giudiziarie.

Coronavirus e notifiche giudiziarie. Per Antitrust andare alla posta non espone i cittadini a rischi per la salute

Firenze, 24 Aprile 2020. Abbiamo ricevuto diverse segnalazioni relative al fatto che Poste italiane – durante l’emergenza coronavirus – ha violato la norme (ordinarie e straordinarie “Covid” contenute nel decreto legge Cura Italia) in materia di consegna della posta a firma e di notifica degli atti giudiziari.

Anzichè consegnare la posta, molti postini si limitano a lasciare avvisi di giacenza costringendo i destinatari ad “assembrarsi” davanti ai pochi uffici postali aperti per ritirare la propria raccomandata/pacco/atto giudiziario così esponendo sé e gli altri (operatori degli uffici postali compresi) al rischio di contagio oppure a rinunciare al ritiro immediato posticipandolo a tempi migliori. Nel frattempo però, la notifica sarà ritenuta formalmente effettuata per compiuta giacenza dopo 10 giorni, con gravi conseguenze sia sostanziali che processuali sull’esercizio dei propri diritti.

Abbiamo denunciato l’accaduto (1) ad Agcom e Antitrust (2) chiedendo l’assunzione di provvedimenti urgenti.

Oggi abbiamo ricevuto la prima risposta: secondo l’Antitrust (3) non è necessario adottare misure urgenti poiché non vi sarebbero “evidenze in ordine all’imminenza di un danno grave e irreparabile per il consumatore, in considerazione dell’entrata in vigore dell’art. 108 del d.1. n. 18 del 17 marzo 2020 (c.d. Cura-Italia)”.

Delle due l’una: o l’Antitrust ha fatto finta di non capire (abbiamo denunciato esattamente la violazione dell’art. 108 del Cura Italia) oppure rinnega esplicitamente le norme sul contenimento e i diritti dei cittadini.

Siamo da quasi due mesi barricati in casa proprio per evitare danni gravi e irreparabili alla salute di tutti noi. O no?

Per l’Antitrust va bene che i postini continuino a lasciare gli avvisi in cassetta scrivendo che in casa non c’è nessuno, quando in periodo di confinamento siamo tutti a casa. Poco importa se domani i tribunali saranno intasati dai contenziosi in materia di notifiche fatte non a norma di legge.
#andràtuttobene?

1 – https://salute.aduc.it/coronavirus/comunicato/coronavirus+poste+italiane+illegittimi+avvisi_30944.php
2 – https://salute.aduc.it/generale/files/file/newsletter/2020/Esposto%20AGCM%20Poste.pdf
3 – https://www.aduc.it/generale/files/allegati/PS11563%20ADUC.pdf

Emmanuela Bertucci, legale, consulente Aduc