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Alessandra Zorzi e tanti neo avvocati prenderanno 600 euro

La vittoria dei giovani di cui abbiamo parlato  https://www.varesepress.info/primo-piano/giovani-avvocati-probabilmente-esclusi-dal-bonus.html

Alessandra Zorzi, aveva inizialmente posto il problema con una lettera aperta che abbiamo pubblicato nella interezza vista l’importanza del tema e di cui ricordiamo un  passaggio chiave: 

 

avv zorzi vinto

Mentre si parla di aumentare il bonus per il mese di aprile, da 600 ad 800 Euro, non sarebbe il caso di occuparsi di chi, del tutto ingiustamente, ne è rimasto e ne rimarrà escluso? Perché se l’interpretazione di cui sopra dovesse arrivare dopo il 30 aprile, le somme a disposizione, già di per sé insufficienti per aiutare tutta la platea dei richiedenti, saranno esauriti. E i giovani avvocati hanno dovuto, ancora una volta, tutelarsi da soli, per vedersi riconoscere una somma simbolica che, per i più, è divenuta una questione di principio, più che di denaro (Alessandra Zorzi)

 

 

per noi è una grande soddisfazione riuscire a dare una mano ai giovani.

GIUSEPPE CRISEO

EDITORE GIORNALE

VARESE PRESS

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CONDOMINIO: LE IMMISSIONI DI ODORI POSSONO COSTITUIRE REATO

LE DENUNCE POTREBBERO MOLTIPLICARSI A CAUSA DELLA QUARANTENA DA COVID-19.

Vivere in quella particolare forma di comunione qual è il condominio, spesso, non è facile. Sicuramente ognuno deve limitare le proprie libertà per non calpestare quelle altrui. Trattasi di una regola, ancor prima che giuridica, di buona educazione.

Non viviamo, tuttavia, in un mondo idilliaco: nel caso in cui rumori, odori, o, più in generale, le “immissioni” così come descritte dall’art. 844 del Codice Civile superino la normale tollerabilità, potrebbe sussistere in capo a chi le pone in essere, il reato di cui all’art. 674 del Codice Penale, secondo il quale “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro”.

Intendo concentrarmi sulla questione degli odori, particolarmente sentita da chi spesso incontro.

Orbene, l’art. 844 c.c. elenca il divieto generale di non produrre propagazioni di ogni tipo che non possano essere “normalmente tutelate”: e sebbene l’articolo parli di immissioni tra fondi, il divieto è analogicamente applicabile anche in caso di materia condominiale.

Ma cosa si intende per “normale tollerabilità”? Poniamo il caso che il vicino non si limiti a fare il barbeque una tantum, ma che gli odori derivanti dalla sua cucina si propaghino nel Vostro appartamento in continuazione. Pensate che non vogliate più aprire le finestre, perché, qualora lo facciate, vi trovereste l’appartamento completamente intriso degli odori provenienti dal vicino.

Questo caso supera la normale tollerabilità, il giudizio sulla quale è rimesso al Giudice, in base agli elementi di prova che vengono portati a supporto della propria tesi. Infatti, conferma la Suprema Corte, che è il Giudice che, secondo le regole generali può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, anche senza la necessità di effettuare una perizia: fondamentali possono essere le dichiarazioni testimoniali di coloro che siano in grado di riferire caratteristiche ed effetti delle immissioni e, ovviamente, “quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive […] , ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dai dichiaranti medesimi” (così, Cassazione Penale, sent. n. 971/2015).

La questione è stata sottoposta alla corte di Cassazione più volte e per vari motivi. In particolare, secondo la pronuncia della Cassazione Penale n. 34896/2011 “in tema di getto pericoloso di cose, l’evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori è apprezzabile a prescindere dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c..”.

Ecco che, in tali casi, si hanno le “molestie olfattive”.

Sulle immissioni di odori, in particolare, è intervenuta la III Sezione Penale con sentenza n. 14467/2017, la quale ha riconosciuto sussistente la fattispecie di cui all’art. 674 c.p. anche nel caso di emissioni di odori provenienti dalla cucina di un’abitazione privata, superanti la normale tollerabilità, criterio cui è sempre necessario rifarsi, in assenza di apposita normativa nella materia oggetto dell’immissione.

Ecco il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte: “In tema di getto pericoloso di cose, la contravvenzione prevista dall’art. 674 cod. pen. è configurabile, qualunque sia il soggetto emittente, anche nel caso di emissioni moleste “olfattive” che superino il limite della normale tollerabilità ex art.844 cod. civ.”.

Orbene, credo che tali situazioni siano di particolare attualità, specie in questo periodo di quarantena: la maggior parte di chi è abituato a partire la mattina e tornare a casa la sera si trova, per le note restrizioni volute per contrastare il diffondersi del c.d. coronavirus, a restare a casa.

Credo che, anche alla luce della contingenza in cui si vive, il problema sarà particolarmente sentito da chi non è assolutamente abituato a ritrovarsi durante il giorno con emissioni di carattere olfattivo (e non solo!).

L’invito è quello di tentare di rispettarci l’un l’altro, poiché si “convive forzosamente”.

E attenzione all’importanza, dal punto di vista delle conseguenze penali, di tali comportamenti.

Avv. Alessandra Zorzi

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Coronavirus/A.Zorzi denuncia le difficoltà degli avvocati per avere le 600 euro

Video-intervista con l’avv. Alessandra Zorzi giovanissima e impegnatissima nel sociale e nelle battaglie per la sua generazione, come dimostrano i dati del suo precedente articolo,https://www.varesepress.info/in-evidenza/decreto-catalfo-le-perplessita-degli-avvocati.html, che ha fatto discutere ed è stato molto condiviso nel suo settore.

 

Oggi invece, ci parla delle peripezie per avere le 600 euro promesse dal Governo, i requisiti richiesti si parla di 35000 euro di reddito e le altre anomalie.

Cassa Forese è però in tilt a causa delle tantissime richieste, un problema comune ad altri siti importanti dal punto di vista istituzionale.

200 milioni di euro per la categoria: tra il 1995 e il 2017, rileva il Censis, il numero di iscritti all’Ordine degli avvocati è cresciuto di circa 160 mila unità, raggiungendo i 234 mila professionisti, un incremento pari al 192%: ovvero quattro avvocati ogni mille abitanti, contro uno solo ogni mille del 1990.

La libera professione, di cui parla la giovane avvocatessa non è semplice, per i costi, la burocrazia e gli enti coinvolti.

Ci saranno avvocati che rientrano nei parametri previsti ma non riusciranno ad averli, mentro ” lo stato deve rimuovere quelle situazioni di diversità” per dare gli stessi diritti senza fare fare distinzioni incostituzionali.

L’Italia si dice spesso, non è un paese per giovani, come accade in altri settori in cui c’è la fuga verso altri paesi in cui i guadagni  e gli stipendi sono molto più alti.

Queste decisioni prese in maniera superficiale, non solo in questi momenti in cui c’è l’emergenza, dimostrano quanto siamo indietro e quanto manchi lo staff che possa supportare i governi con numeri precisi.

Senza i dati non si possono fare scelte oculate, ma se aggiungiamo poi la scarsità delle risorse soggette al rigore dei paesi del nord europa, si capisce quanto sia difficile operare anche nelle libere professioni, che non hanno paracaduti sociali, nè cassa integrazione e anche questo contributo provvisorio, incerto e mal concepito, finirà per creare altre polemiche se non ricorsi e scontri politici.

 

 

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Decreto Catalfo , le perplessità degli avvocati

Le novità, i decreti, le circolari non sono una novità e anche in periodi critici sotto il profilo sanitario e politico non si fanno eccezioni, portando sempre sconforto e dubbi interpretativi come ci fanno presente anche gli avvocati che ci scrivono e di cui riportiamo un esempio.

IL DECRETO CATALFO

ALCUNE CONSIDERAZIONI E POSSIBILI PROBLEMATICHE

Avv. Alessandra Alice Zorzi – Foro di Padova

In attesa della pubblicazione del Decreto in Gazzetta Ufficiale, dobbiamo ammettere che si è aperto un varco per far rientrare negli aiuti economici a causa dell’emergenza COVID-19 anche le partite IVA che versano contributi alle Casse private, tra i quali, gli Avvocati.

L’indennità prevista per il mese di marzo 2020, pari ad euro 600, spetterà, dunque, ai colleghi aventi i seguenti requisiti: 1) essere in regola con i pagamenti verso la Cassa; 2a) aver percepito, nell’anno di imposta 2018, un reddito complessivo non superiore a 35 mila euro; 2b) nel caso in cui il reddito complessivo percepito nel 2018 sia tra i 35 mila ed i 50 mila euro, aver cessato, ridotto o sospeso l’attività di almeno il 33% nel primo trimestre 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, sempre a causa del virus COVID-19.

Cassa Forense, inoltre, ha sancito che delibererà circa le richieste pervenute in ordine cronologico, dal momento in cui sul sito sarà pubblicato l’apposito modulo nel sito.

Primo problema: moltissimi avvocati non sono in regola con i pagamenti, per il semplice motivo che la Cassa è “un tantino” esosa, e determinati contributi minimi sono uguali per tutti, indipendentemente dal fatturato. Quindi, la platea dei beneficiari si vedrà già ridotta in modo significativo.

Secondo problema: l’emergenza è scattata, per la Giustizia, nel mese di marzo. Moltissimi avvocati, nel primo trimestre 2019, possono avere ricevuto pagamenti che, nella maggior parte dei casi, erano relativi a precedenti procedimenti già in essere. Pertanto, il parametro della riduzione dell’attività del 33% con riferimento al primo trimestre 2020 rispetto ai primi 3 mesi del 2019, non è assolutamente adeguato.

Solo ora ci si trova davanti alla sospensione delle attività giudiziarie con udienze rinviate, termini per deposito atti sospesi, comportanti una oggettiva impossibilità di svolgere il proprio lavoro e, dunque, di ricevere il pagamento delle proprie spettanze, a causa del COVID-19.

Altro annoso problema riguarda la platea degli – ingiustamente – esclusi dalla possibilità di ricevere l’indennità: i giovani avvocati, iscritti dall’anno 2019 o dall’anno corrente, alla Cassa Forense.

Quando si è praticanti, non c’è possibilità di pagare la Cassa con varie scadenze mensili. Inoltre, in quell’annoso periodo, molto spesso non si riceve nulla o gran poco: la Cassa è un “lusso” che per i più è inarrivabile.

Quando si diventa, finalmente, un “Azzeccagarbugli” di diritto, ecco che scatta l’obbligo all’iscrizione: ed i contributi minimi, ripeto, rappresentano cifre importanti per chi è agli inizi. In ogni caso, ecco che costoro sono esclusi, in regola o meno con i pagamenti, da tali aiuti, in modo del tutto illogico e, in sostanza, addirittura discriminatorio.

Quanto poi, al criterio cronologico, che si traduce praticamente in “chi compila ed invia prima, prima riceve l’aiuto”, non solo appare insensato, ma idoneo a mandare letteralmente in tilt il sistema, che verrà quasi sicuramente bloccato da tutte le richieste che perverranno. E con buona pace di chi, magari in situazione di reale maggiore difficoltà, non potrà essere pronto per il click nei tempi record di una finale olimpica dei cento metri.

In questa situazione, che speriamo non si ripeta, 600 euro possono essere per molti un respiro vitale; per poter “andare avanti” con la propria professione e non solo.

Ora, una domanda sorge spontanea: in un momento di così grave incertezza, e alla luce delle risposte date dal Presidente di Cassa Forense le quali hanno sollevato non poche critiche da parte degli avvocati: può ancora sembrare corretto continuare una gestione delle risorse in questo modo?

Sicuramente, un eventuale cambiamento comporterebbe delle conseguenze inimmaginabili: epocali si potrebbe dire. Le casse separate hanno funzionato in ben altri momenti storici, specialmente quando gli avvocati non erano il numero attuale. C’è chi sostiene che il versamento dei contributi all’INPS non possa che essere l’unico modo per una vera tutela per tutti i professionisti, poiché l’INPS, ente pubblico, non dichiara profitti e si fonda su un patto di solidarietà fra generazioni, senza scopo di lucro. La Cassa deve invece rispondere a diverse dinamiche per il proprio funzionamento. Del resto, come ci è stato detto: “la Cassa non è lo Stato.” Ma in situazioni drammatiche, anche se imprevedibili (o proprio perché imprevedibili), chi dovrebbe tutelare i propri iscritti?

Iil dibattito su una eventuale centralizzazione dei contributi previdenziali è solo agli inizi. Già in anni passati si erano levate voci diverse. E’ verosimile che oggi le sentiremo ancora di più.

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ECONOMIA

Emergenza Covid19. Sospensione delle Attività commerciali e industriali. Questioni pratiche di coordinamento tra i DPCM e le ordinanze regionali

A cura Avv. Francesco Pezone www.pmlaw.it

1. Come noto, il DPCM 11 Marzo 2020 ha sospeso le attività di commercio al dettaglio, le attività di ristorazione, le attività inerenti i servizi alla persona, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità specificamente individuate nonché le edicole, i tabaccai, le farmacie e le parafarmacie.

Successivamente, il DPCM 22 marzo 2020 ha sospeso tutte le attività produttive industriali e commerciali, ad eccezione di quelle indicate nell’Allegato 1 fermo restando, per le attività di commercio al dettaglio, quanto disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020 e dall’ordinanza del Ministro della salute del 20 marzo 2020.

Per le attività espressamente autorizzate dal DPCM non è necessario, dunque, compiere nessun adempimento formale per continuare la produzione. Le attività non ricomprese nell’elenco devono, invece, dare tempestiva comunicazione in Prefettura della prosecuzione della produzione nei casi previsti per legge.

Senza volere esaminare le altre disposizioni ivi contenute, la principale distinzione tra il DPCM del 11 Marzo 2020 e il DPCM del 22 Marzo 2020 riguarda i destinatari. Nel primo caso, i destinatari del provvedimento sono le attività di commercio al dettaglio e di prestazione di servizi. Nel secondo caso, i destinatari del provvedimento sembrerebbero essere le (sole) attività produttive.

Ulteriore (e non secondaria) differenza tra i due DPCM riguarda la modalità di individuazione delle attività consentite (pardon, non sospese). Nel primo caso la lista contiene una elencazione descrittiva, sebbene esaustiva, mentre nel secondo caso il Legislatore si è affidato a una categorizzazione effettuata in base ai cc.dd. Codici ATECO. La distinzione non è di poco conto, posto che le attività di commercio al dettaglio utilizzano (come le attività produttive) i cc.dd. codici ATECO (vedi infra) e posto che, in alcuni casi, i codici delle une coincidono con i codici delle altre.

In sede di denuncia per l’inizio attività di un’impresa vanno indicate, tuttavia, le attività effettivamente esercitate. C’è, quindi, una prevalenza della sostanza rispetto alla forma e le aziende possono produrre beni o servizi diversi da quelli indicati nel codice ATECO scelto, vuoi in maniera prevalente o secondaria, vuoi in maniera parziale o sussidiaria.

2. La prima questione interpretativa che hanno dovuto affrontare gli operatori, in questo senso, è stata quella di capire se le imprese di servizi alla persona o di commercio al dettaglio debbano sospendere l’attività se il loro codice ATECO non è inserito nel DPCM 22 marzo 2020. La risposta è negativa. La normativa di riferimento sarà esclusivamente il DPCM 11 marzo 2020, perchè le disposizioni di cui al DPCM 22 marzo 2020 si applicano alle sole attività produttive.

2.1 Dubbi interpretativi si pongono, ancora, rispetto all’utilizzo dei codici ATECO nel caso in cui l’attività produttiva effettivamente svolta dall’azienda differisca dal codice ATECO attribuito in sede di iscrizione alla CC.I.AA. In questo caso dovrebbe, conservativamente, prevalere la sostanza rispetto alla forma e l’azienda dovrà proseguire solo l’attività produttiva non sospesa, interrompendo temporaneamente le altre linee produttive, salvo quanto disposto dall’art. 1, lett. d), e), g) e h) del DPCM 22 marzo 2020 e previa comunicazione al Prefetto territorialmente competente. A nostro parere, e in via cautelativa/prudenziale, la sospensione (ovvero la comunicazione al Prefetto) si rende necessaria anche ove ci sia dicotomia tra il codice ATECO attribuito alla azienda (che riguardi una attività consentita) e l’attività produttiva effettivamente svolta (invece vietata).

3. La pubblicazione del DPCM 22 marzo 2020, successivo sia alla Ordinanza Regione Lombardia n. 514 del 21/03/2020, sia al Decreto Regione Piemonte n. 34 del 21/03/2020 ha creato, infine, problemi di conflitto e coordinamento tra norme antinomiche.

Tale problematica di coordinamento è stata risolta nella giornata di ieri, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge n. 19 del 25 Marzo 2020. Nello specifico il Decreto disciplina le procedure per l’adozione delle misure urgenti per contrastare la diffusione del coronavirus, prevedendo che siano introdotte con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute o dei Presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino una o alcune specifiche regioni, ovvero del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale.

È previsto inoltre che, per specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario, i Presidenti delle Regioni possono emanare ordinanze contenenti ulteriori restrizioni, esclusivamente negli ambiti di propria competenza e senza incisione sulle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale. Le ordinanze (regionali) ancora vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge continuano ad applicarsi nel limite di ulteriori dieci giorni.

Alla luce delle novità anzidette quando la norma regionale venga emessa in conseguenza di specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario e non incida sulle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale, essa prevarrà sulla norma statale precedente, nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e con efficacia limitata fino a tale momento.

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Cronaca

Camera Penale di Brescia, intervento su avv. Brescia

Pubblichiamo per dovere di cronaca il comunicato della Camera Penale di Brescia nel quale si stigmatizza il comportamento di un legale che ha inviato uno dei vocali WhatsApp di cui si parla nel nostro articolo che potete leggere cliccando sotto

https://varesepress.info/in-evidenza/basta-audio-e-consigli-strampalati-che-girano-in-rete.html

screen shot avv brescia

 

 

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Curiosità

Il casco del trasportato su un ciclomotore deve essere a norma

Il casco del trasportato su un ciclomotore deve essere a norma La Corte di Cassazione si è pronunciata su una questione apparentemente banale, ma che può riguardare tutti. Nella fattispecie, la passeggera trasportata, a bordo di un motociclo, a seguito di uno sbandamento da parte del conducente, urtava con il volto il casco del guidatore stesso, provocandosi lesioni abbastanza gravi anche ai denti al punto di dover ricorrere a protesi dentarie e trattamenti odontoiatrici. Ovviamente la trasportata si rivolgeva al Giudice di Pace per ottenere il risarcimento, ma otteneva solo il 50% del danno, in quanto il casco indossato non era a norma, trattandosi del cosiddetto modello a scodella. Il Giudice, considerando che l’uso di un casco corretto avrebbe evitato il danno, ha quindi ridotto l’importo del risarcimento. Sul punto, il Tribunale chiamato a decidere in sede di appello, confermava la pronuncia. La passeggera si rivolgeva pertanto alla Cassazione. La suprema Corte, dopo un’attenta analisi delle normative vigenti in materia di utilizzo dei caschi, ha puntualizzato che “la legge 29 luglio 2010 n. 120, all’articolo 28, con decorrenza dal 12 ottobre 2010, ha reso illegittimo l’utilizzo del casco con omologazione DGM (cd a scodella) anche per i ciclomotori, mentre per gli altri veicoli (motocicli) la sospensione delle omologazioni era già intervenuta con D.M. 28 luglio 2000”. Oltretutto nel caso di specie, anche se era trascorso un notevole lasso di tempo dal fatto, il divieto di utilizzo del cd casco a scodella (DGM) era assai precedente alla data di verificazione del sinistro. Avv. Gianni Dell’Aiuto Rubrica legale e risposte ai quesiti dei lettori