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Cronaca

Boss scarcerati: il diritto alla sicurezza dei cittadini è meno rilevante del diritto alla salute dei detenuti?

 

Roma, 28 mag. 2020 – “Sulle scarcerazioni dei boss, è doveroso affermare preliminarmente, che anche i mafiosi, anche gli appartenenti alla camorra, alla ‘ndrangheta, ed altre organizzazioni criminali, posseggono dei diritti. Sono dei diritti fondamentali, i diritti fondamentali dell’uomo, che lo Stato è tenuto a riconoscere e a garantire a tutti gli esseri umani, compresi quei soggetti che si siano resi responsabili di gravi reati. Inoltre, il riconoscimento di questi diritti fondamentali, tra cui ad esempio il diritto alla vita e alla salute, non implica in linea teorica, alcuna conseguenza negativa nei riguardi del diritto alla sicurezza della cittadinanza. Se un detenuto viene trattato con umanità, se non viene privato della sua dignità, la sicurezza dei cittadini non subisce alcun tipo di riduzione.

Se un detenuto non è in buone condizioni di salute, e viene adeguatamente curato oppure, semplicemente, viene adeguatamente preservato da ulteriori complicazioni, la sicurezza dei cittadini non subisce alcun tipo di diminuzione.

Tra i diritti fondamentali del detenuto e il diritto alla sicurezza dei cittadini, quindi, sulla carta, non vi è alcun tipo di incompatibilità che possa generare delle conflittualità, né comunque può dirsi che il diritto alla sicurezza dei cittadini sia meno rilevante rispetto ai diritti dei detenuti, poiché come i diritti umani trovano collocazione nell’art. 2 Cost., anche il diritto alla sicurezza, inteso come diritto ad una esistenza protetta, potrebbe trovare collocazione sempre nello stesso art. 2 della Costituzione. Una eventuale situazione di conflittualità, con conseguente vittoria di un diritto sull’altro, potrebbe essere semmai generata da quelle che sono, poi, le concrete modalità di attuazione dei diritti in gioco. Ad esempio se per garantire il diritto alla salute dei detenuti, non si trova altro modo che mandare i delinquenti e persino i grandi boss, direttamente nelle loro rispettive abitazioni, a “patire” sul divano di casa, è naturale che sorga un conflitto enorme con il diritto alla sicurezza dei cittadini, specialmente per quei casi in cui vi siano ancora dei collegamenti stretti e attuali tra il detenuto e il mondo della criminalità”. Lo afferma in una nota Giuseppe Maria Meloni, portavoce di Piazza delle Carceri e della Sicurezza del cittadino.

 

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Sindacato

CARCERI, SAPPE DELUSO DALLE PAROLE DEL NEO CAPO DAP PETRALIA.

CARCERI, SAPPE DELUSO DALLE PAROLE DEL NEO CAPO DAP PETRALIA. “PERCEPISCE SOLDI COME CAPO POLIZIA PENITENZIARIA, NON CAPO DEI DETENUTI. DISERTEREMO INCONTRO DEL 29 MAGGIO. SUBITO POLIZIA PENITENZIARIA ALLE DIPENDENZE DEL MINISTERO DELL’INTERNO”

 

“Siamo rimasti sorpresi e stupiti dalle parole del nuovo Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (e Capo della Polizia Penitenziaria) Bernardo Petralia che, intervenendo oggi alla presentazione del rapporto dell’associazione dei detenuti Antigone sulle condizioni di detenzione, si è detto “ammirato” da Antigone – “una delle prime voce che intendo sentire” – e si è definito anche “Garante dei detenuti”. Forse a Petralia sfugge che lui è – o dovrebbe essere – il Capo della Polizia Penitenziaria, istituzione impegnata da sempre per le garanzie in carcere, e che per questo percepisce una cospicua indennità ad hoc alla quale dovrebbe per coerenza rinunciare. Petralia si tenga stretti Antigone e i detenuti: noi non saremo al video-incontro di presentazione già programmato per il 29 maggio. Noi ribadiamo che l’unica soluzione per garantire rispetto istituzionale al Corpo potrebbe essere quella di porre subito il Corpo di Polizia Penitenziaria, che è un Corpo di Polizia dello Stato, alle dipendenze del Ministero dell’Interno, visto che il nuovo Capo del Dipartimento Petralia sembra non saperlo….”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri.

“E’ bene che Petralia sappia che la Polizia Penitenziaria che lavora nelle carceri italiane, per adulti e minori, è formata da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante lavoro credono nella propria professione, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano ogni giorno”, prosegue. “Le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato. Il sistema penitenziario, per adulti e minori, si sta sgretolando ogni giorno di più, con gravi ripercussioni sull’operatività delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria, aggrediti, oltraggiati, contusi, derisi, feriti e umiliati dalle continue offese alle regole, all’ordine e alla sicurezza delle carceri da una considerevole fetta di quei detenuti di cui Petralia ha detto oggi di voler essere Garante”.

“Se per lui, come ha ancora detto oggi, c’è un “connubio per cui uno più uno fa cento”, per noi del SAPPE uno più uno fa due, come Stato e antiStato, come onestà e criminalità, come difensori dello Stato e delinquenza”, conclude Capece. “Noi all’incontro con Petralia del 29 maggio non andremo, ed anzi invitiamo il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte a predisporre ogni atto utile affinchè si possa passare il Corpo di Polizia Penitenziaria alle dipendenze del Ministero dell’Interno”

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Diritti civili

Decreto “Cura Italia” e emergenza coronavirus nelle carceri: deroghe alla disciplina della detenzione domiciliare ex legge 199/2010

a cura degli avvocati Francesco Bico e Gabriele Corinaldesi, professionisti di FDL Studio Legale e Tributario.

L’art. 123 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, noto come Decreto “Cura Italia”, al fine di far fronte all’emergenza Coronavirus dal punto di vista della tenuta del sistema carcerario, introduce una serie di deroghe, valide dal 17 marzo 2020 e sino al 30 giugno 2020, alla disciplina della detenzione domiciliare di cui alla Legge n. 199 del 26 novembre 2010.

Tale particolare tipologia di detenzione domiciliare, da non confondersi con quella disciplinata dall’art. 47-ter dell’Ordinamento Penitenziario, in breve consente l’espiazione della pena della reclusione non superiore a 18 mesi, anche se residuo di maggior pena, presso il domicilio, in funzione di un procedimento applicativo del beneficio estremamente accelerato (addirittura, da concedersi entro cinque giorni dalla richiesta) e di competenza del Magistrato di Sorveglianza, anziché del Tribunale di Sorveglianza. 

È bene specificare che il beneficio della detenzione domiciliare ex Legge n. 199/2010 non può essere concesso, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della Legge suddetta:

  • ai condannati per reati ostativi di cui all’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario;

  • ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza;

  • ai detenuti sottoposti al regime della sorveglianza particolare (salvo che sia stato

    accolto il loro reclamo ai sensi dell’art. 14-ter dell’Ordinamento Penitenziario);

  • “quando vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti ovvero quando non sussista l’idoneità e l’effettività del domicilio anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato”. 

Orbene, dalla lettura dell’art. 123 del Decreto Legge “Cura Italia”, si comprende che il Legislatore, per coloro che facciano istanza di applicazione del beneficio dal 17 marzo 2020 ed entro il 30 giugno 2020, ha ritenuto di soprassedere in parte a tale ultimo requisito e, specificamente, alla necessità che non vi sia la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga o possa commettere altri delitti, per quanto, lo si precisa, il comma 2 dell’art. 123 conceda al Magistrato di Sorveglianza la possibilità di negare il beneficio qualora “ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura”.

Viene, invece, mantenuta la necessità che il domicilio sia idoneo ed effettivo, ai sensi della lettera f) dell’art. 123 e viene imposto, in ogni caso, l’utilizzo del cd. braccialetto elettronico, fino a quando la pena da espiare sia inferiore ai sei mesi di reclusione.

A fronte di tale rilevante e contingente deroga, il Legislatore precisa, altresì, rispetto all’originaria formulazione dell’art. 1 della Legge n. 199/2010, che il beneficio, in questa situazione emergenziale, non potrà essere concesso:

• ai condannati per i reati di cui agli art. 572 e 612-bis c.p. (oltre che, ovviamente, per i reati ostativi ex art. 4-bis O.P.);

• a detenuti che nell’ultimo anno siano stati sanzionati per infrazioni disciplinari concernenti la partecipazione o promozione di disordini o a sommosse, fatti di evasione o la commissione di reati ai danni di compagni, operatori penitenziari o visitatori;

• a detenuti nei cui confronti sia stato redatto rapporto disciplinare per la partecipazione o il coinvolgimento nelle recenti sommosse avvenute nelle carceri italiane a far data dal 7 marzo 2020, proprio in relazione all’emergenza Coronavirus. 

Si tratta di una variazione derogatoria della disciplina della Legge 199/2010 indubbiamente rilevante, la quale, tuttavia, sembra omettere di considerare sia la difficile reperibilità di braccialetti elettronici per far fronte alle richieste che perverranno alle autorità competenti, sia il fatto che, ancor più importante, sono numerosissime le richieste di applicazione di misure alternative alla detenzione che giacciono inascoltate nelle cancellerie dei Magistrati e dei Tribunali di Sorveglianza italiani, le quali, se prese in considerazione in tempi più brevi, sarebbero certamente in grado di sopperire, almeno in parte, all’emergenza altrettanto rilevante del sovraffollamento delle carceri italiane.

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Cronaca

Le rivolte nelle carceri italiane per il coronavirus: necessaria amnistia per prevenire epidemia

Le rivolte nelle carceri italiane per il coronavirus: necessaria amnistia per prevenire epidemia. Incendi, evasioni e almeno 5 morti, dal Nord al Sud è caos nei penitenziari per le nuove misure restrittive anti-contagio

Da ieri in diverse carceri italiane vi sono sommosse causate dalle misure introdotte per il contagio da cornavirus che non hanno fatto infuriare i prigionieri. Da questa mattina è in corso una rivolta al carcere di San Vittore di Milano e una quindicina di detenuti sono saliti sul tetto. Sul posto sono arrivate le volanti di polizia. Dalla strada adiacente al carcere si vedono carta e stracci a cui è stato dato fuoco attaccati alle grate di una finestra e getti d’acqua per contenere le fiamme. Nel carcere di Foggia dove alcuni detenuti stanno riuscendo ad evadere venendo bloccati poco dopo all’esterno dell’istituto penitenziario dalle forze dell’ordine. A quanto si apprende i detenuti hanno divelto un cancello della ‘block house’, la zona che li separa dalla strada. Molti detenuti si stanno arrampicando sui cancelli del perimetro del carcere. Sul posto polizia, carabinieri e militari dell’esercito. Un tentativo di evasione è stato segnalato anche al carcere Ucciardone a Palermo. Alcuni detenuti per protesta hanno tentato di svellere la recinzione dell’istituto di pena per cercare di fuggire. Il carcere è circondato dai carabinieri e polizia in tenuta antisommossa. Anche le mura del carcere sono presidiate. La rivolta scoppiata a Modena nel carcere di Sant’Anna ha avuto un esito tragico: tre morti e diversi detenuti ricoverati con ferite. Sei sono considerati più gravi, portati nei pronto soccorsi cittadini e di questi quattro sono in prognosi riservata, terapia intensiva. In tutto sono 18 i pazienti trattati, in gran parte per intossicazione. Ferite lievi anche per tre guardie e sette sanitari. Per un’overdose da psicofarmaci hanno perso la vita anche due detenuti istituti penitenziari di Verona e Alessandria. I due avevano approfittato delle proteste nelle carceri, esplose in seguito alle nuove disposizioni per il coronavirus, per sottrarre psicofarmaci dall’infermeria. Lo riferisce il segretario del Sindacato di Polizia penitenziaria (Spp) Aldo Di Giacomo. Per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, data l’eccezionale emergenza che stiamo vivendo, sarebbe auspicabile che il nostro Parlamento emani provvedimenti di amnistia o di indulto. D’altro canto, persino nella Repubblica iraniana, in queste ore, è stata disposta la scarcerazione di 54.000 detenuti negativi al test coronavirus con pena residua da scontare non superiore a cinque anni. I provvedimenti di grazia sarebbero coerenti con l’emergenza  di cui peraltro non conosciamo ancora le vere dimensioni.