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Busto Arsizio

Busto Arsizio: mascherine da corona virus, ma chi ha controllato che andassero agli aventi diritto?

Siamo contrari alle polemiche in questo momento difficile per tutti, ma non ai momenti di riflessione costruttiva, soprattutto per rispetto a quelle categorie a rischio, gli anziani per primi, i medici, gli infermieri, gli agenti delle forze dell’ordine, ma anche gli addetti ai supermercati, gli uomini e le donne che più semplicemente fanno le pulizie, coloro che, insomma, sono costretti ad andare a lavorare. Con ancora centinaia di morti in giro, pare però che dovremmo essere entrati nella fase due del corona virus e, poiché la regola d’oro è quella di rassicurare più che assicurare, il Comune di Busto Arsizio ha, giustamente, nei giorni scorsi, distribuito circa 21.000 mascherine a disposizione dei cittadini. L’operazione è avvenuta attraverso 24 farmacie e 4 parafarmacie, mettendo a disposizione 680 mascherine per farmacia. Alcune telefonate di cittadini ci hanno spinto ad un’analisi: 1) 84.000 abitanti, 21.000 mascherine, quindi non bastavano per tutti, dato di fatto pare 2 mascherine a testa; 2) si è ritenuto di farle distribuire alle farmacie con la motivazione che sono i farmacisti le persone più adatte per aprire le confezioni e per dividere e maneggiare il contenuto; 3) non ci sono problemi per la sicurezza, visto il numero delle farmacie sparse per la città e che sono già attrezzate per la sicurezza nella distribuzione; 4) l’Amministrazione Comunale ha ritenuto che, in via prioritaria, debbano usufruirne le persone, come da Ordinanza Regionale, ritenute più a rischio, gli anziani dovrebbero restarsene a casa, peccato che gli anziani siano in giro, basta guardare una fila davanti ad un supermercato per rendersi conto di quanti anziani ci sono, qualcuno lo ha fatto, troppi; 5) detta da una Pubblica Amministrazione Italiana, che “non è il momento di farsi frenare dalla burocrazia” ma di essere rapidi nelle decisioni, anche se di solito la notte porta consiglio e rapidi nella consegna, quale, visto che gli interessati sono andati a ritirarsele; 6) non è stata imposta nessuna regola, solo quella di usare il “buon senso” e di evitare di prendere le mascherine se se ne hanno già.; 6) un paio di numeri telefonici, del Centro Operativo Comunale e dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico per chi non potesse ritirarle di persona. Quindi, riassumendo, niente burocrazia, niente controlli nel ritiro di persona, ma tutta l‘operazione mascherine basata sul “essere altruisti” nel senso che chi prende una mascherina senza averne bisogno la sottrae a chi non ne ha. A conti fatti 680 mascherine per 28 farmacie e para farmacie fanno 19.040 mascherine. 21.000 mascherine circa, inviate da Regione Lombardia, meno 19.040 fanno 1960 mascherine che, presumiamo, siano quelle a disposizione dei due centri telefonici. Tutto dovrebbe tornare, ma ci fanno riflettere le telefonate di alcuni cittadini, naturalmente male informati e, probabilmente in mala fede, che segnalano il fatto di gente che è andata di farmacia in farmacia, pare a fare incetta di mascherine e di altri che si sono sentiti dire, dopo poche ore, che le mascherine regionali erano finite, ce ne erano a disposizione solo di uguali, a 2 euro l’una. Quindi nessun controllo sul come e sul quanto e sul perché, in questo clima di vogliamoci tutti bene e “siate altruisti”, dopo che abbiamo ammazzato qualche migliaio di vecchietti. In una cosa ci è dato sperare, nel crollo della burocrazia che non controlla più i cittadini, ma nemmeno se stessa, o sbaglio?

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Cronaca

Il bambino cade nel parco giochi e si fa male? Il Comune deve risarcirlo sempre se il danno era “inevitabile”.

Il bambino cade nel parco giochi e si fa male? Il Comune deve risarcirlo sempre se il danno era “inevitabile”. Non occorre la dimostrazione dell’insidia dello scivolo ossia che sia un pericolo non visibile e prevedibile. L’ente locale deve provare che l’evento era evitabile con l’ordinaria diligenza Non sempre i parchi giochi comunali sono “sicuri”, nel vero senso della parola. Accade sovente, infatti, che i bambini si facciano male non a causa di loro gesti, ma per fatti dipendenti dai giochi ivi installati. In questi casi e quindi quando i danni riportati siano dipendenti da questi manufatti, il proprietario o gestore del parco giochi, che sia il Comune o qualsiasi altro soggetto custode, deve rispondere sempre dei danni patiti dai fanciulli. A precisare questo principio, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è stata l’ordinanza n. 7578 della Corte di cassazione, pubblicata il 27 marzo 2020 dalla terza sezione civile, secondo cui non è necessario che sia provata l’insidia dello scivolo, ossia che vi sia un pericolo non visibile e prevedibile. Ma è l’ente locale che deve dimostrare che il danno era evitabile secondo le regole dell’ordinaria diligenza. Nella fattispecie, infatti, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso dei genitori di un ragazzino che quando aveva nove anni, cadendo dallo scivolo, si era provocato la frattura dell’omero – per quanto evidenziato da mamma e papà – a causa di un difetto di una pedana. Per gli ermellini dev’essere cassata la sentenza della Corte d’Appello di Milano perché ha errato nel ritenere il Comune non responsabile. Ricordano a tal proposito i giudici di Piazza Cavour che la responsabilità da cose in custodia non richiede che quest’ultima costituisca un’insidia, ossia un pericolo non visibile e prevedibile, attenendo semmai questo aspetto alla evitabilità del danno da parte del danneggiato. Invero, la responsabilità da cose in custodia presuppone soltanto che il danno sia avvenuto per il dinamismo di una cosa che era soggetta al controllo del convenuto, spettando a quest’ultimo la prova che il danno era evitabile dal danneggiato usando l’ordinaria diligenza, ossia la prova che la cosa presentasse una insidia visibile ed evitabile dal danneggiato.

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Cronaca

Busto Arsizio – Quartiere Sant’Anna il mistero del Teleriscaldamento

Non è la prima volta che veniamo chiamati ad interessarci del Villaggio Sant’Anna, quartiere di Busto Arsizio, a causa del teleriscaldamento di quartiere passato da erogazione di un servizio a supercondominio, con tutti gli annessi e connessi che questo comporterebbe. Oltretutto apprendiamo dall’avvocato Stefano Gobbi, sentito per l’occasione, che si è ricorsi al Tribunale per la vicenda riguardante il teleriscaldamento del quartiere aprendo, quindi, un procedimento dopo il fallimento della mediazione proposta dall’avvocato stesso. I problemi sarebbero diversi: elevati costi sia nei consumi che nella gestione, inadempimenti vari, problemi di termoregolazione, istituzione degli ispettori termici. La madre di tutte le guerre, però, riguarda l’esistenza di un supercondominio creato a quanto pare solo  per la gestione del teleriscaldamento. Per la cronaca un supercondominio è l’insieme di più edifici, condominiali e di servizio, riuniti in un unico comprensorio più ampio e, al quartiere di Sant’Anna, ci sono una trentina di edifici, tra condomini e altro ma separati da strade comunali, ovvero non condominiali che formano, così, proprietà a sé stanti. La cosa lascia parecchio perplessi perché, a quanto ci è dato capire, avrebbe dovuto essere Aler la proprietaria del teleriscaldamento, come era in origine. Infatti, si iniziò a costruire il quartiere negli anni ‘60 e chi gestiva la centrale termica, era l’Istituto Case Popolari, che, in seguito, si chiamerà INA Casa, fino ad arrivare poi all’ALER – Azienda Lombarda Edilizia Residenziale. Per alcuni questa storia del supercondominio sarebbe infatti il sistema escogitato da Aler per liberarsi della centrale termica e della rete del teleriscaldamento a spese dei condomini. Ma la legge permette di fare questo, cioè far passare l’erogazione di un servizio per un supercondominio? La nuova normativa in vigore dal 17 giugno 2013 si è ben guardata dal definire esattamente il supercondominio ma parla, rinviando comunque alle norme sul condominio, quello normale non super , di più unità immobiliari o più edifici,  ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici che abbiano parti in comune. Arriva poi un parere della Corte di Cassazione, dove per costituire un supercondominio, parrebbe non essere necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, essendo sufficiente che i singoli edifici, abbiano, materialmente, in comune alcuni impianti o servizi. Questa tendenza a favorire più la parte gestionale che quella dei diritti reali di proprietà, all’ apparenza giusta per dirimere le annose vicende di lite condominiali, si ritorcerebbe contro coloro che vogliono, nei casi di incertezza, chiedere di risolvere spesso complesse vicende giudiziarie che finiscono poi solo in Cassazione. Troppo spesso, in caso di ricorsi, ci si limita a prendere atto della volontà di un’assemblea, più o meno convinta, su quello che sta approvando e facendo, senza guardare alla base, se esista o meno il condominio e se vengono tutelati i diritti dei condomini o altri. Poi qualcuno, esperto della materia e abituato a disquisire sull’argomento, vi dirà che queste nostre osservazioni non hanno fondatezza giuridica. Sarà, ma la realtà è questa, supportata poi dalle stesse istituzioni, sindaci e uffici tecnici in testa e nei casi più complessi Provincia e Regione, che non hanno nessun interesse a far scoppiare il bubbone. Massima incertezza quindi in materia di supercondomini in quanto si è approfittato a larghe mani dell’istituzione dei supercondomini come la medicina per risolvere tante questioni, tra cui realtà immobiliari e non che nulla hanno a che vedere con i supercondomini. Da tempo e in diverse circostanze abbiamo portato queste questioni all’attenzione pubblica. La casistica è veramente ampia e la materia complessa così che ci sembra siano favoriti coloro che, fatta la legge trovato l’inganno, ne approfittano. Si chiude un occhio, anzi tutti e due su speculazioni e abusi edilizi e di altro genere, che dovrebbero essere denunciati e non sanati, facendoli passare per supercondomini. Non sarà certo il caso del Villaggio Sant’Anna e del suo supercondominio, con codice fiscale che, ci dicono, dovrebbe essere quello di Aler Busto Arsizio, ma, in attesa che si pronunci il Tribunale, permetteteci non il sospetto, che è parola grossa ed offensiva, ma almeno il dubbio.

Gianni Armiraglio