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EDITORIALI

Roma, due minorenni morti per metadone

EDITORIALE

AVV.Gianni Dell’Aiuto

I DUE MINORENNI MORTI PER METADONE RISVOLTI GIURIDICI E CONTESTI SOCIALI ALLARMANTI

La morte dei due adolescenti per droga a Terni, ha aperto pesanti interrogativi e pone questioni giuridiche non semplici da risolvere, che confliggono, con quello che istintivamente è il
pensiero di molti. La notizia è nota: due ragazzi, di 15 e 16 anni, sono morti nel proprio letto dopo aver assunto sostanza stupefacente, verosimilmente metadone ceduto loro da un tossicodipendente
quarantenne in cura presso un centro di disintossicazione, secondo quanto avrebbe dichiarato dallo stesso.
Il metadone è un oppioide sintetico, utilizzata come analgesico nelle cure palliative e per ridurre l’assuefazione nella terapia sostitutiva della dipendenza. E’ stato inserito dall’OMS nella
lista dei farmici essenziali, per gli effetti positivi nella cura delle dipendenze, ma resta sostanza drogante.
Le indagini sono ancora in corso e la Procura di Terni ha disposto esami tossicologici e l’autopsia sui due giovanissimi per ricostruire quanto accaduto. Nella casa del fermato è stata
sequestrata un’altra bottiglietta che parrebbe essere ancora metadone. Non sarebbe neppure stata la prima volta che quest’ultimo cedeva ai due giovani il metadone consegnatogli dal Sert.
Il reato ascrivibile potrebbe essere lo spaccio nel primo episodio ma per quest’ultimo, tuttavia le tragiche conseguenze portano all’ipotesi di omicidio come conseguenza di altro reato,
contemplata dall’articolo 586 del Codice Penale che, considerata la gravità del fatto prevede addirittura un aumento della pena minima di ventuno anni per omicidio.
Impossibile, in questo momento, avanzare ipotesi che non muovano dai titoli dei giornali, ma quello che emerge è un quadro inquietante se davvero venisse confermato che la bottiglietta di un farmaco, che doveva servire a disintossicare, è stata venduta a quindici euro a due giovani che, probabilmente, non avevano la consapevolezza delle possibili conseguenze del loro comportamento.
Vengono alla mente scene viste anche in alcuni programmi televisivi che dimostrano come i minorenni possano procurarsi con estrema facilità alcoolici e sigarette grazie ai documenti di chi li procura per loro. Le dichiarazioni degli inquirenti sono significative: si è parlato di una responsabilità collettiva, sottolineando come non si sia fatto abbastanza per arginare il problema.
Una dirigente della locale ASL ha parlato di un aumento delle famiglie di adolescenti con problematiche composite, legate spesso all’assunzione combinata di alcolici, droghe di vario genere, comprese le sintetiche, farmaci, ma anche con altre dipendenze gravi come quelle da Internet e videogiochi. Un quadro allarmante con segnalazioni persino tredicenni, che si barricano in camera e non escono neppure per mangiare, che la mattina non vanno a scuola dopo essere stati
tutta la notte al computer. Quanto alle droghe si sono rivolte alla stessa ASL famiglie con figladolescenti per assunzioni di cannabis e cocaina, magari associate a problemi di alcol. Anche tra gli adolescenti il tasso di poliassuntori è alto.
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Cronaca

Roma, UNICREDIT: Sanzione per data breach

EDITORIALE

Gianni Dell’Aiuto
Il Garante per la Protezione dei dati personali (conosciuto anche come Garante Privacy) ha sanzionato Unicredit per 600.000 euro a causa dei data breach subiti dalla banca tra tra Aprile 2016
e Ottobre 2018, accertando che l'accesso non autorizzato ai dati dei clienti sia dipeso anche da falle nel sistema di gestione e protezione dati dell'istituto di credito.
La sanzione è dovuta da due accessi abusivi e in momenti distinti. Il primo nell'autunno 2016 e riguardò oltre 400.000 clienti Unicredit. Il comunicato ufficiale della banca sottolineò che non
erano stati acquisiti dati quali le password per accedere ai conti dei clienti o codici per transazioni non autorizzate.
Ciò che UNICREDIT informava potesse essere accaduto, era l’accesso ad alcuni dati anagrafici e ai codici IBAN.
Nel secondo accesso abusivo, nell'Ottobre 2018, erano stata registrata un’intrusione che avrebbe esposto "solo" nome e cognome, codice fiscale, codice identificativo del cliente e il codice per
l’accesso  ai servizi di banca multicanale. Oltre settecentomila i clienti interessati. Oltre seimila clienti vennero inoltre bloccati perché avrebbero subito il furto del PIN. In una prima fase la banca
aveva deciso di contattare soltanto questi clienti con le comunicazioni, ma il Garante aveva ingiunto di contattare tutti i 730.000 correntisti. Dopo questa attività imposta dal Garante, ecco arrivata la sanzione.
Il garante ha accertato le modalità di accesso abusivo; in particolare gli accessi vennero effettuati mediante account di dipendenti di un partner commerciale della banca, quindi un esterno. I dati
sottratti hanno rivelato informazioni sui clienti. Tra gli altri, in particolare iban, eventuali prestiti, dati anagrafici e di contatto e estremi del datore di lavoro. Una miniera d’oro per i ladri di dati.
Alla luce di tutto ciò, il Garante ha emesso la sanzione applicando il GDPR. l’ ammontare della sanzione dipende da fattori quali il numero rilevante di persone coinvolte ma anche del fatto che la banca, a seguito del data breach, ha adottato misure volte a rafforzare la sicurezza dei sistemi informatici.
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Cronaca

Roma, UNICREDIT: Sanzione per data breach

EDITORIALE

Gianni Dell’Aiuto
Il Garante per la Protezione dei dati personali (conosciuto anche come Garante Privacy) ha sanzionato Unicredit per 600.000 euro a causa dei data breach subiti dalla banca tra tra Aprile 2016
e Ottobre 2018, accertando che l'accesso non autorizzato ai dati dei clienti sia dipeso anche da falle nel sistema di gestione e protezione dati dell'istituto di credito.
La sanzione è dovuta da due accessi abusivi e in momenti distinti. Il primo nell'autunno 2016 e riguardò oltre 400.000 clienti Unicredit. Il comunicato ufficiale della banca sottolineò che non
erano stati acquisiti dati quali le password per accedere ai conti dei clienti o codici per transazioni non autorizzate.
Ciò che UNICREDIT informava potesse essere accaduto, era l’accesso ad alcuni dati anagrafici e ai codici IBAN.
Nel secondo accesso abusivo, nell'Ottobre 2018, erano stata registrata un’intrusione che avrebbe esposto "solo" nome e cognome, codice fiscale, codice identificativo del cliente e il codice per
l’accesso  ai servizi di banca multicanale. Oltre settecentomila i clienti interessati. Oltre seimila clienti vennero inoltre bloccati perché avrebbero subito il furto del PIN. In una prima fase la banca
aveva deciso di contattare soltanto questi clienti con le comunicazioni, ma il Garante aveva ingiunto di contattare tutti i 730.000 correntisti. Dopo questa attività imposta dal Garante, ecco arrivata la sanzione.
Il garante ha accertato le modalità di accesso abusivo; in particolare gli accessi vennero effettuati mediante account di dipendenti di un partner commerciale della banca, quindi un esterno. I dati
sottratti hanno rivelato informazioni sui clienti. Tra gli altri, in particolare iban, eventuali prestiti, dati anagrafici e di contatto e estremi del datore di lavoro. Una miniera d’oro per i ladri di dati.
Alla luce di tutto ciò, il Garante ha emesso la sanzione applicando il GDPR. l’ ammontare della sanzione dipende da fattori quali il numero rilevante di persone coinvolte ma anche del fatto che la banca, a seguito del data breach, ha adottato misure volte a rafforzare la sicurezza dei sistemi informatici.
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Cronaca

Roma. Giochi di facce…

Editoriale

Avvocato Gianni Dell’Aiuto

 

Giochi di facce su Facebook mentre i big di internet bloccano i software di il riconoscimento

Proprio in questi giorni su Facebook spopola un nuovo gioco che trasforma i nostri volti da uomo a
donna e viceversa. Divertente, ma abbiamo pensato alle implicazioni?
Le tecniche di riconoscimento facciale sono al centro del dibattito da anni: San Francisco le aveva
addirittura messe al bando. E' una delle tecnologie più usate e divisive in quanto tocca temi etici e
politici molto delicati quali la sicurezza e la sorveglianza di massa, oltre che forme di profilazione
razziale, il diritto alla privacy e così via.
E’ stata messa in dubbio anche l'efficacia degli algoritmi alla base del loro funzionamento da
quando alcuni studi hanno dimostrato come i margini di errore siano ancora troppo alto.
Le proteste conseguenti all'uccisione di George Floyd a Minneapolis hanno visto questa tecnologia,
messa sotto accusa dai manifestanti come forma di sorveglianza troppo invasiva e base di una
possibile profilazione razziale. E in questo difficile momento di tensione, giungono le decisioni di
IBM, Amazon e Microsoft che non forniranno più il software e i servizi di riconoscimento facciale
al Governo e alle forze dell'ordine. L’amministratore delegato di IMB, è molto diretto: "Ibm si
oppone fermamente e non perdonerà l’uso di alcuna tecnologia di riconoscimento facciale,
comprese quelle offerte da altri fornitori, per la sorveglianza di massa, la profilazione razziale, le
violazioni dei diritti umani e delle libertà o a qualsiasi fine che non sia coerente con i nostri valori
e principi di fiducia e trasparenza".
Quasi contemporaneamente Amazon, annunciava il divieto di utilizzo le sue tecnologie di
riconoscimento facciale da parte della polizia per un anno. “Esortiamo i governi a varare leggi più
severe sull’uso etico di queste tecnologie di riconoscimento facciale”, ed era stato sollevato il
problema dell'assenza di una normativa chiara che ponesse limiti e margini all'uso tenendo di conto
dei diritti costituzionali e delle normative privacy.
Microsoft, ha sospeso la vendita di software per il riconoscimento facciale alla polizia USA,
dichiarando che cesserà le vendite ”fino a quando non avremo una legge nazionale basata sui
diritti umani che governerà questa tecnologia”. Questa decisione giunge dopo una richiesta
proveniente dal Massachusetts Institute of Technology, che ha dimostrato come il software
Microsoft utilizzi criteri discriminatori in termini etnici e di genere.
L'Unione Europea si è più volte espressa con preoccupazione rispetto a questo tipo di tecnologia, e
ad inizio anno era prospettata l'ipotesi di proibire l'uso di sistemi di riconoscimento facciale per un
periodo di tempo tra i 3 e i 5 anni. Il ban alla fine non è stato varato, ma si sta cercando di stabilire
norme e limiti al punto che il Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDPB) sta decidendo se
dichiarare illegale la Clearview AI sul territorio europeo.
E intanto gli utenti ocntinuano a giocare sui social con le loro foto e a modificarlo ad uso e consumo
di chi ne farà l’uso che vuole.
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Cronaca

Roma, Quando di hacker fanno del bene: guerra ai pedofili

 EDITORIALE

AVV. GIANNI DELL’AIUTO

D istinguiamo gli hacker in due categorie: da una parte quelli che, senza scrupoloalcuno e con il più assoluto disprezzo per gli altri, usano la rete per commettere reati, rubare dati, indenta, commettere truffe e quant’altro; dall’altro quelli che si dichiarano hack-tivisti e che riescono a fare anche attività utili.
E’ il caso di Lulzsec Italia e Anonymous che ha dichiarato guerra ai pedofili. Lo scorso dieci aprile, hanno lanciato un video in cui, senza mezzi termini, dichiaravano ai pedofili che “Se non possiamo difendere le vittime di questi reati, state pur certi che le vendicheremo: stiamo venendo a prendervi». E lo hanno fatto. E’ infatti iniziata l’operazione Revenge Gram con la quale, grazie anche alle segnalazioni ricevute, avrebbero recuperato dati e chat per poi mettere in rete i risultati di una capillare attività di Investigazioni e indagini per identificare chiunque commerci e scambi materiale pornografico con soggetti minori e bambini. I dati individuati sono stati resi pubblici e adesso screen, nomi, cognomi, telefoni, città e professioni sono a disposizione di chiunque si connetta voglia visitare l’account Twitter del gruppo.
Un bel colpo e, di sicuro un notevole supporto per le forze dell’ordine che si trovano già pronti gli elementi necessari a colpire questi comportamenti in rete. Probabilmente l’attività degli hack-tivisti è iniziata prima dell’emergenza Covid 19 visti alcuni risultati, ma non è ipotesi improbabile che, in questo periodo, con l’aumento di connessioni anche per la scuola, e l’aumento del tempo trascorso online specialmente dai più giovani, gli hacker “buoni”, abbiano avuto anche loro un incremento di lavoro.
Probabilmente a chi vede adesso il suo nome e cognome online, insieme a chat dal contenuto inequivocabile, sorgeranno altri tipi di preoccupazioni. Già nel 2013 Anonymous aveva svolto questa attività, ma sembra che in molti non abbiano imparato la lezione. E viene da dubitare che le persone coinvolte in questa vicenda potranno lamentarsi della pubblicazione dei loro dati. Presumibilmente assisteremo ad una serie di giustificazioni che inizieranno dal furto di identità per finire all’hackeraggio del proprio account; spetterà verosimilmente ai giudici vagliarle.

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Cronaca

Roma, Sicurezza o Privacy? Il difficile compromesso

EDITORIALE

Avv. Gianni Dell’Aiuto
 
Si sta discutendo in questi giorni della possibilità di utilizzare una App  per il monitoraggio Covid-19 e, il dibattito, ruota intorno alle perplessità che una simile soluzione vada a
confliggere con la privacy delle persone e, ovviamente, rilancia il problema della protezione dei dati personali, ponendosi in contrasto con il GDPR, il regolamento Europeo
per la protezione dei dati.
In linea generale, le norme sulla protezione dati non impediscono, previo un provvedimento ad hoc del governo, alle autorità sanitarie, di raccogliere informazioni su
più ampia scala, ad esempio nel caso del sistema di protezione dei dati utilizzando le App.
Ovvio necessario un intervento del Garante Privacy che emani linee guida per operare un difficile bilanciamento tra le esigenze di soluzioni per una situazione eccezionale e i diritti
dei singoli.
Fin dalla fase di raccolta delle informazioni che dovrà essere in ogni caso preceduta un’accurata valutazione di quali dati raccogliere, come conservarli e, fondamentale, a chi
comunicarli. Si tratta della valutazione d’impatto che deve essere sempre effettuata prima di avviare la raccolta ed elaborazione di tali dati e deve essere incorporata sin dalla
progettazione di una App. I requisiti inoltre da tenere presente sono quelli previsti dal GDPR.
Tra questi ricordiamo quelli della minimizzazione dei dati da raccogliere, la trasparenza per i cittadini e, come ribadito, la volontarietà (almeno al momento), nell’installazione di una APP
La situazione è straordinaria, ma confidando che sia limitata. Pone comunque non pochi problemi tra sicurezza e protezione dati, anche se sembra un controsenso per chi,
quotidianamente, espone la propria esistenza sui social. Ma non possiamo tenere conto che in altre realtà, in primis quella di Taiwan, dove App Installate su base volontaria dai
cittadini hanno sconfitto il virus.
Anche l’Europa potrebbe dire la sua.
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Cronaca

Roma, Attacchi informatici anche ai piccoli comuni

Smart working? Ma i dipendenti da che rete si connettono? E se usassero il PC di casa su cui gioca
il figlio e la figlia lo usa per inviare video sui social? O se lui stesso lo usa per visitare siti
inadeguati. E’ dovere del datore rendere ogni  possibile ambiente di lavoro a prova di hacker. O cautelarsi.
Lo sa bene adesso il Sindaco di Marentino, Comune della provincia di Torino, che sul sito
istituzionale è stato costretto ad annunciare che il sistema ha subito un’ infezione ransomware. Se ne
sono accorti alcuni dipendenti in smart working, quando a inizio turno hanno tentato di accedere ai proprio account. 
Nel comunicato, tra l’altro, si legge:  ” .
il Comune di Marentino informa Tutti gli interessati
(residenti e non) di aver recentemente subito un attacco informatico che, sfruttando il periodo emergenziale causato dall’epidemia, ha violato i dati personali presenti sul server centrale” 
Non è chiaro come sia avvenuto l’attacco; il Comune fa riferimento ” ente all’emergenza Covid, quindi potrebbe essere rimasto vittima di una campagna di diffusione di malware e ransomware tramite
email. I giornali locali hanno parlato genericamente di Cryptolocker. Nel comunicato, inoltre, l’ ente comunica di essersi immediatamente attivato per tentare il recupero dei dati, notificando il data
breach al Garante per la protezione dei dati secondo le procedure previste dal GDPR e alla Polizia Postale.
I tecnici stanno lavorando per recuperare i dati, ma il ransowmare ha criptato tutti i file e li ha anche cancellati. Sembrerebbe che siano state cancellate anche le copie di backup. Sembrerebbe che anche
altri comuni abbiano subito attacchi simili in precedenza. Gli hacker avrebbero richiesto un riscatto di 50.000 euro, poi raddoppiato a centomila.
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Cronaca

Roma. Aumento vertiginoso di attacchi informatici

EDITORIALE

AVV.GIANNI DELL’AIUTO

 

Il Coronavirus non ferma i criminali del web che, anzi, in questo periodo sembra abbiano sempre

meno scrupoli ad approfittare delle condizioni in cui alcune persone hanno meno possibilità di
difendersi per architettare nuove ed insidiose frodi informatiche.
Fin dagli inizi di febbraio, la Polizia Postale ha rilevato addirittura una campagna di false email,
apparentemente provenienti da un centro medico e redatte in giapponese che, con il pretesto di
fornire aggiornamenti sulla diffusione del virus, invitavano ad aprire un allegato che contiene un
pericoloso virus che mira ad impossessarsi delle credenziali bancarie e altri dati personali a.
Un altro allegato malevolo allegato a mail apparentemente normalissime installa un virus chiamato
“Pallax” che, a seguito dell’inconsapevole click da parte dell’ignara vittima, si installa consentendo
agli hacker di assumere il pieno controllo del dispositivo attaccato, spiando i comportamenti della
vittima, rubando dati sensibili e credenziali riservate, nonché, addirittura, assumendo il controllo
della macchina attaccata in maniera assolutamente “invisibile”.
Ancora un virus RAT è stato individuato in un file chiamato CoronaVirusSafetyMeasures_pdf, che
gioca sullo stato di agitazione emotiva in chi lo riceve e riesce a far assumere il controllo del
dispositivo infettato, trasformandolo all’insaputa della vittima ino “zombie”, gestito da remoto per
essere poi “risvegliato” e utilizzato per successivi attacchi informatici in tutto il mondo. Negli
zombie possono essere anche celati virus e materiale pedopornografico.
Una nuova campagna di frodi informatiche è stata diffusa tramite mail apparentemente provenienti
da istituti bancari con la quale si invita gli ignari consumatori ad accedere ad un servizio online per
leggere una presunta “comunicazione urgente” relativa al Coronavirus. In realtà, gli ignari utenti
venivano reindirizzati ad un sito di phishing, apparentemente identico a quello della banca, dove
erano invitati a digitare le proprie credenziali per l’accesso ai servizi di home banking, dati che
vengono carpiti da pericolosi hackers.
E’ stata anche segnalata una mail a firma di presunta “esperta” dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità in Italia con la quale falsi messaggi ma con linguaggio professionale ed assolutamente
credibile, invitavano le vittime ad aprire un allegato contenente precauzioni per evitare l’infezione.
Il malware contenuto nel documento mira a carpire i dati sensibili dell’ignaro utilizzatore del
computer vittima per inoltrarli agli autori della frode informatica.
In questi giorni in cui si è dovuti ricorrere allo smart workink e alle lezioni online per le scuole, è
immaginabile come le occasioni di attacco, facilitate anche dall’eccesso di carico della rete, sono
aumentate e gli inviti alla prudenza in rete non sono mai abbastanza.
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EDITORIALI

Roma, Emergenza Covid: l’applicazione delle sanzioni porterà al caos nei tribunali.

EDITORIALE 

Avv. Gianni Dell’Aiuto
 
Sono state avanzate da più parti ed anche da giuristi di alto livello, perplessità sulla legittimità
costituzionale dei provvedimenti emessi dal Governo e, in particolare, delle sanzioni conseguenti
alle violazioni. Come aggiungere caos all’emergenza. Non è la prima volta che i provvedimenti
emessi dagli ultimi due governi siano stati oggetto di pesanti critiche a livello giuridico,
perfettamente motivate, ma in queta situazione emergenziale l’impatto potrebbe essere molto
pesante su ua giustizia già quasi al tracollo e adesso completamente ferma.
Ma non ferma al punto di permettere al TAR della Campania di decidere con una solerzia degna di ben altre occasione sul primo ricorso sottopostogli ed ha annullato un provvedimento
amministrativo irrogato contro in cittadino italiano da parte delle forze dell’ordine. Nonostante la quarantena impostagli un signore aveva deciso di andare a lavorare e di andare a prendersi le
sigarette.
Il Tar Campano gli ha dato ragione con annullamento del provvedimento amministrativo con cui gli era stato ordinato di rimanere nella propria abitazione e, altre valutazioni a parte, questo
provvedimento apre una breccia in un muro che il governo avrebbe dovuto costruire intorno alla legislazione emergenziale. Anche se già lo immaginavamo si apre la strada a cavilli e ricorsi.
Il giorno dopo avere ricevuto un “atto di diffida e quarantena” con cui veniva notificato il divieto di uscire per 14 giorni, il soggetto coinvolto ha presentato ricorso al Tar Campania.
Il Tar della Campania, che dovrebbe essere chiuso o aperto per udienze da tenere solo in casi gravi ed urgenti, ha deciso in 48 ore con una sentenza che “accoglie l’ istanza e per l’ effetto sospende
l’ atto di diffida e la messa in quarantena”. Sospende, non annulla, e si ritiene opportuno riportare la motivazione da cui si espungono solo alcuni incisi.
Riscontrata la verosimiglianza di quanto dedotto in esito alla essenzialità del percorso seguito dalla propria abitazione per l ‘ approvvigionamento presso il punto di distribuzione automatico di
tabacchi” e ritenuto che  l’ estrema gravità e urgenza vada apprezzata anche nella adeguata considerazione del fine giustificante le misure, il ricorso viene accolto con esclusivo riferimento
all’ atto di diffida e messa in quarantena in relazione agli detti impegni, nei limiti di quanto ad essi necessariamente connesso e nel rispetto di tutte le altre misure, condizioni e precauzioni note
al ricorrente”.
Il provvedimento lascia forti perplessità sulla motivazione ma, al di là della sua correttezza o meno, anche in termini di tutela della collettività, il pericolo segnalato si dimostra il pericolo concreto di
un numero incredibile di ricorsi all’Autorità Giudiziaria.
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EDITORIALI

Roma, I rischi per i minori durante l’emergenza Coronavirus

EDITORIALE 

AVV. Gianni Dell’Aiuto

La Polizia Postale sta segnalando un aumento degli attacchi online.
Phishing in crescita e mail ricevute che all’apparenza contengono consigli e suggerimenti
per evitare il rischio di contagi o trasmissione della malattia. Facendo click o scaricando si corre
non solo il rischio di regalare ad altri i propri dati personali, ma anche il rischio di installare un virus
che infetta il sistema in maniera irreparabile. Non mancano segnalazioni raccolte dalla polizia
postale per richieste di donazioni alle più svariate strutture o associazioni. Attenzione prima di dare
prova di generosità: dietro molte mail ci sono soggetti senza scrupoli che approfittano di questa
situazione e forniscono coordinate che faranno arrivare la donazione non certo all’apparente
beneficiario.
Purtroppo questa situazione mette a maggior rischio le fasce più deboli e indifese, tra cui
spiccano i più giovani, specialmente i minorenni: anche se nati già con una tastiera in mano e la
tecnologia digitale nel DNA, non hanno ancora la consapevolezza dei rischi che si corrono, in
particolare quelli di essere adescati da malintenzionati e, non ultimi, veri e propri pedofili. In questi
giorni in cui la connessione online è uno dei sistemi più utilizzati non solo per le lezioni scolastiche,
ma anche per passare il tempo. Consigliare ai genitori una maggiore presenza e attenzione alla
navigazione dei figli sembra pleonastico ma, considerati i sistemi subdoli di adescamento usati, è
sempre decisamente opportuno.
La Polizia Postale ricorda infatti che l’adescamento quasi mai è immediato, bensì frutto di
un processo lento e strutturato, appositamente studiato e finalizzato ad una manipolazione
psicologica volta a costruire relazioni basate sulla fiducia per coinvolgere in una relazione sessuale
prima tecnomediata e successivamente portarla sul piano reale.
Lo strumento più utilizzato è, ovviamente, quello di più facile accesso ed utilizzato, vale a
dire i social network che permettono di individuare le potenziali vittime e riescono a entrare in
contatto con loro sfruttando l’inesperienza informatica e la voglia di protagonismo e visibilità che
internet ha letteralmente inculcato nella generazione dei nativi digitali. Dal social network, una
volta carpita la fiducia della vittima, si passa ai sistemi di messaggistica su cellulare, scegliendo per
i sistemi che rendono più difficoltosa l’individuazione dell’utilizzatore, per poi iniziare le richieste
di foto e altro materiale pedopornografico. Whatsapp, Snapchat, e Telegram tra i più utilizzati. La tecnica
utilizzata è quella persuasiva, volta a creare non solo fiducia, ma anche un rapporto di soggezione tale da
condurre la vittima verso una condizione sempre più collaborativa, ponendo sempre l’accento sulla
segretezza e la complicità. La richiesta di foto e video è il passo successivo. Andando a vedere molti video in
rete di giovanissimi, specialmente sull’ultimo social da questi preferito, il pericolosissimo Tik Tok, si capisce
come molti possano avere anche poche remore a cedere.
Il sito della Polizia Postale è chiaro e indica tutti i possibili rischi che corrono a causa della naturale
curiosità per la sessualità tipica della fase evolutiva che si sposa con una straordinaria naturalezza,
abbinata all’incoscienza, con cui usano gli strumenti tecnologici. Non dimentichiamo poi il gusto
della sfida, del proibito e della trasgressione. Tutte componenti che hanno un ruolo determinante e
vengono utilizzate dall’abusante per far superare alla vittima ogni possibile remora.
Un accento particolare viene infine posto sull’atteggiamento dei genitori che, sempre
iperprotettivi e purtroppo assenti nei controlli sulla navigazione dei loro figli, tendono a
giustificarli, spesso senza valutare le colpe di loro stessi nella fase educativa.