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Cronaca

Roma, Divorzio e mantenimento figli

EDITORIALE 
 
Avv. Gianni Dell’Aiuto
 
Le condizioni stabilite in sede di divorzio, consensualmente dagli ex coniugi, o con sentenza, non
sono immutabili. Lo ha ribadito anche di recente la Corte di Cassazione che, con un orientamento
costante e condivisibile, ci ricorda che i provvedimenti che regolano i rapporti economici post
separazione e post divorzio possono essere sempre modificati in presenza di variazioni reddituali.
Nell’ultimo caso sottoposto al suo vaglio, la Suprema Corte che si è dovuta occupare del caso di un
padre che aveva richiesto la diminuzione dell’assegno di mantenimento per la figlia dopo che la ex
moglie era diventata insegnate di ruolo, con conseguente miglioramento della sua condizione
economica. Legittima pertanto la richiesta del padre che, a fronte del cambiamento delle condizioni
di fatto, si è rivolto ai Giudici per chiedere la riduzione del contributo.
Ottenutala dalla Corte di Appello, si era comunque rivolto alla Corte di Cassazione per rivedere, in
particolare, la data di decorrenza della diminuzione. La Cassazione ha rigettato il ricorso, ma nella
sua motivazione ha ribadito i principi di diritto alla base della decisione, vale a dire quello secondo
cui i tribunali hanno la possibilità di modularne la misura dei contributi di mantenimento anche
secondo diverse decorrenze, riflettenti il verificarsi delle variazioni (oltre che di disporne la
modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che il giudice d'appello, nel
rispetto del principio della disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare
l'evoluzione delle condizioni delle parti verificatisi nelle more del giudizio."
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EDITORIALI

Lombardia, Licenziamento legittimo per chi molesta i colleghi di lavoro

EDITORIALE

Avv. Gianni Dell’Aiuto

Attenzione sui luoghi di lavoro a comportamenti non ortodossi.

La corte di cassazione ha confermato il licenziamento per giusta causa inflitto al dipendente; ergo cessazione immediata del rapporto di lavoro e, immaginiamo, una brutta macchia sul curriculum di chi dovrà poi cercare un nuovo lavoro. Nulla conta, in queste ipotesi, se con il o la collega molestata, vi fosse stata una relazione.

La giusta causa è stata ravvisata nella circostanza che il lavoratore in questione aveva reiteratamente, addirittura per alcuni anni, molestato anche con minacce, una collega con cui aveva avuto una relazione sentimentale, procurandole preoccupazione per l’incolumità propria e del marito nonché malessere psico-fisico tali da indurla a modificare le proprie abitudini di vita e da interferire sull’organizzazione dell’attività lavorativa, con riflesso sull’intollerabilità della prosecuzione del rapporto di lavoro. Esattamente, non dimentichiamolo, i comportamenti previsti e puniti anche dalla norma penale che punisce gli stalker.

Già la Corte d’appello aveva ritenuto provata la condotta contestata sulla base del procedimento penale di primo grado cui era stato sottoposto il lavoratore e delle attività istruttorie direttamente acquisite nel giudizio civile, anche in riferimento ai successivi comportamenti, ravvisando la proporzione tra gli addebiti contestati e la sanzione estrema del licenziamento comminata dalla società datrice, per la gravità del comportamento extralavorativo lesivo del vincolo fiduciario tra le parti.
La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza sancendo che la legittimità del licenziamento.

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Lombardia, Cosa prevale tra la privacy e il diritto ad aprire una nuova finestra?

EDITORIALE

Avv. Gianni Dell’Aiuto

 

 

Il Tribunale di Roma è stato chiamato a decidere sulla richiesta di una signora che lamentava come la propria vicina, costruendo un balcone e aprendovi una porta finestra, oltre a violare le norme in materia di distanze condominiali, violasse la propria privacy, potendo “spiarla” tramite la nuova veduta all’interno della propria abitazione e, in particolare, nel bagno. La parte accusata si difendeva sostenendo come, viceversa, il balcone si trovasse in quella posizione da ben oltre vent’anni, al punto di chiedere la declaratoria di una servitù di veduta per usucapione.

Il tribunale, preliminarmente ha rilevato come nel caso, non si potesse parlare di veduta, bensì di finestra. La fondamentale differenza è che mentre la finestra permette la visione solo frontale, una veduta si configura soltanto nel caso in cui l’apertura realizzata, oltre che di vedere e guardare frontalmente, permette ad una persona di media altezza anche di affacciarsi e quindi di guardare in maniera laterale ed obliqua sul fondo altrui. Oltretutto, nel caso in esame, il nuovo manufatto serviva solo a dare maggiore aria e luce all’appartamento, ma non a mettere la testa fuori.

Da questa osservazione è stata operato un’attenta analisi ai fini del bilanciamento tra la privacy e il diritto a poter ampliare l’apertura della porta-finestra per avere più aria e luce. Il Tribunale ha concluso che debba prevalere il diritto ad utilizzare il bene comune per dare maggior luce, specialmente in considerazione dell’apposizione di una grata che impediva un eccessivo affaccio verso le finestre altrui.

Si tratta di una pronuncia che dovrà verosimilmente passare da altri gradi di giudizio ma, in casi analoghi, si dovrà tenere presente come la privacy debba in ogni caso essere tutelata e rispettata.