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EDITORIALE
Avv. Gianni Dell’Aiuto
Attenzione sui luoghi di lavoro a comportamenti non ortodossi.
La corte di cassazione ha confermato il licenziamento per giusta causa inflitto al dipendente; ergo cessazione immediata del rapporto di lavoro e, immaginiamo, una brutta macchia sul curriculum di chi dovrà poi cercare un nuovo lavoro. Nulla conta, in queste ipotesi, se con il o la collega molestata, vi fosse stata una relazione.
La giusta causa è stata ravvisata nella circostanza che il lavoratore in questione aveva reiteratamente, addirittura per alcuni anni, molestato anche con minacce, una collega con cui aveva avuto una relazione sentimentale, procurandole preoccupazione per l’incolumità propria e del marito nonché malessere psico-fisico tali da indurla a modificare le proprie abitudini di vita e da interferire sull’organizzazione dell’attività lavorativa, con riflesso sull’intollerabilità della prosecuzione del rapporto di lavoro. Esattamente, non dimentichiamolo, i comportamenti previsti e puniti anche dalla norma penale che punisce gli stalker.
Già la Corte d’appello aveva ritenuto provata la condotta contestata sulla base del procedimento penale di primo grado cui era stato sottoposto il lavoratore e delle attività istruttorie direttamente acquisite nel giudizio civile, anche in riferimento ai successivi comportamenti, ravvisando la proporzione tra gli addebiti contestati e la sanzione estrema del licenziamento comminata dalla società datrice, per la gravità del comportamento extralavorativo lesivo del vincolo fiduciario tra le parti.
La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza sancendo che la legittimità del licenziamento.
EDITORIALE
Avv. Gianni Dell’Aiuto
Il Tribunale di Roma è stato chiamato a decidere sulla richiesta di una signora che lamentava come la propria vicina, costruendo un balcone e aprendovi una porta finestra, oltre a violare le norme in materia di distanze condominiali, violasse la propria privacy, potendo “spiarla” tramite la nuova veduta all’interno della propria abitazione e, in particolare, nel bagno. La parte accusata si difendeva sostenendo come, viceversa, il balcone si trovasse in quella posizione da ben oltre vent’anni, al punto di chiedere la declaratoria di una servitù di veduta per usucapione.
Il tribunale, preliminarmente ha rilevato come nel caso, non si potesse parlare di veduta, bensì di finestra. La fondamentale differenza è che mentre la finestra permette la visione solo frontale, una veduta si configura soltanto nel caso in cui l’apertura realizzata, oltre che di vedere e guardare frontalmente, permette ad una persona di media altezza anche di affacciarsi e quindi di guardare in maniera laterale ed obliqua sul fondo altrui. Oltretutto, nel caso in esame, il nuovo manufatto serviva solo a dare maggiore aria e luce all’appartamento, ma non a mettere la testa fuori.
Da questa osservazione è stata operato un’attenta analisi ai fini del bilanciamento tra la privacy e il diritto a poter ampliare l’apertura della porta-finestra per avere più aria e luce. Il Tribunale ha concluso che debba prevalere il diritto ad utilizzare il bene comune per dare maggior luce, specialmente in considerazione dell’apposizione di una grata che impediva un eccessivo affaccio verso le finestre altrui.
Si tratta di una pronuncia che dovrà verosimilmente passare da altri gradi di giudizio ma, in casi analoghi, si dovrà tenere presente come la privacy debba in ogni caso essere tutelata e rispettata.