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Il coronavirus e la scuola dell’ordine

di ELSA FORNER

Finalmente la scuola parla.Un commento sul corona-virus. Un dispositivo al passo con i tempi. Una condizione che interpellala lontananza dei corpi, fino alla segregazione. Una sorta di eliminazione del contatto, quelloumano s’intende.La scuola a questo risponde nel modo che, da tempo, ha imparato a fare: impartendo ordini ecircolari “ministeriali”, decreti e ordinanze. Sempre nell’ordine di una lontananza dai corpi e, ancorpiù dalle menti. Una vera scuola dell’ordine. Di tutt’altro “ordine” è stata la scuola del discorso.

Parliamo di una scuola in cui la didattica forniva lo strumento del discorso, quello che appartieneall’invenzione, quello del pensiero molteplice e non unico. Quello che faceva delle “epidemie” unacircolazione solidale, al contrario di ora, una unificazione plastica dei corpi. Parliamo di una scuolache apriva, ascoltava e, a partire da questo, diceva di un sapere non solo didattico e tantomenoaccademico. Un sapere che non si chiudeva nella didattica come unico strumento trasmissibilenell’insegnamento. Parlo di una posizione che la scuola ha occupato fino agli anni novanta.Insegnare è uno dei tre mestieri impossibili così definiti da Freud, definizione bene articolata daLacan. È impossibile perché non è un mestiere, non si insegna per andare a lavorare, noncostruisce nulla né serve a nulla se non a sapere, interpella, chiama in causa il confronto, non unprofitto, non il dare e avere e non certo la cattedra. Chiama in causa il PIACERE di sapere. E qui cifermiamo. Il nostro paese si è fermato, la nostra lingua ha subito una dittatura anglocentrica, parlauna logica angloindottrinata. Il piacere di andare a scuola è scomparso. Gli studenti lo dirottano inaltre forme, spesso autolesionistiche e comunque alla ricerca di una costruzione propria che diasenso al loro essere prima ancora che al loro esistere e comunque lontana dalla scuola.