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Varese, Coldiretti: “Riaprire subito i distributori di latte, chiusura insensata”

“Lo dice un chiarimento della Regione. Perché le sigarette sì e il latte no?”

Le storture e condraddizioni emergono sempre più, sono importanti le sigarette del latte???

Stai a vedere che forse al di là del disagio che avrebbe comportato come sfogo per i fumatori, la considerazione principale sia quella economica?

Lo Stato guadagna circa 14 miliardi di euro ogni anno tra accise e iva sui tabacchi, almeno 6,5 miliardi se ne vanno per curare le malattie legate al fumo e quindi e’ un affare lasciare aperti i distributori…                                                                                                                                                          

VARESE – Riaprire i distributori del latte fresco. Semplicemente “perché non andavano nemmeno chiusi, dato che costituiscono un servizio importante per la collettività” come rileva il presidente di Coldiretti Varese Fernando Fiori. “Nei giorni scorsi abbiamo visto una situazione paradossale: ovvero, i distributori di sigarette attivi h24 e, poco lontano, quelli del latte bloccati. Un palese nonsenso”.

A conferma delle osservazioni di Fiori arriva, a stretto giro, una nota di chiarimento della Struttura Prevenzione Sanità Veterinaria della Regione Lombardia che evidenzia come “i distributori automatici del latte non rientrano tra le categorie di distributori richiamati” nell’ordinanza che ne disponeva la chiusura, precisando che “è comunque opportuno che sia esposta l’indicazione di mantenere la distanza minima di almeno un metro, al fine di rispettare la distanza tra gli utenti ed evitare assembramenti”.

“Ora si riapra subito e si garantisca un servizio che, in questi giorni, è più che mai utile e necessario alla cittadinanza” aggiunge Paolo Zanotti, presidente dell’Associazione provinciale AgriMercato di Campagna Amica che, numeri alla mano, evidenzia come “i consumi di latte siano stati, in questi giorni, quelli che hanno avuto un incremento a due cifre: quindi, riaprire i distributori significa alleviare il carico di code e affollamenti al supermercato, con benefici per tutti”.

Intanto, è allerta per il quadro globale del comparto: mentre gli allevatori lavorano senza sosta per garantire gli approvvigionamenti, ogni giorno 5,7 milioni di litri di latte straniero attraversano le frontiere e invadono l’Italia con cisterna o cagliate congelate low cost di dubbia qualità, come denuncia l’organizzazione agricola. Come se non bastasse, “alcune aziende di trasformazione hanno addirittura cercato di tagliare i compensi riconosciuti agli allevatori italiani, con la scusa della sovrapproduzione”. Sono numeri confermati da un’analisi di Coldiretti ricavata sulla base dei dati del Ministero della salute relativi ai primi quindici giorni del mese di marzo 2020 sui flussi commerciali dall’estero in latte equivalente.

                                                                                                                                                                                                                                 

“Chiediamo di rendere pubblici gli elenchi dei caseifici che importano latte e cagliate dall’estero e vogliono abbassare le quotazioni di quello italiano, con il superamento delle attuali farraginose procedure di accesso ai dati” concludono Fiori e Zanotti. “In gioco c’è il futuro di un settore che a livello nazionale produce ogni anno oltre 12 milioni di tonnellate di litri di latte vaccino: di questi, il 40% è munto nella nostra regione, la Lombardia. Quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado. Ai consumatori un appello: anche e soprattutto ora, fate attenzione all’etichetta dei prodotti, in modo da aver chiaro, oltre alla scadenza, il luogo di effettiva mungitura del latte, accertandovi di acquistare al 100% made in Italy. Ciò, ovviamente, vale anche per gli altri prodotti alimentari”.

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Varese-Laghi

Varese, “il florovivaismo è in ginocchio, dobbiamo distruggere i fiori

Crisi gravissima”, non esisterà più quando tutto potrà ripartire” commenta Fernando Fiori.

 

Nel Varesotto 957 imprese, in Lombardia la provincia è seconda solo a Milano.

Il Coronavirus ha azzerato vendite e filiera proprio nel periodo clou della stagione.

 

Fiori “Crisi più grave di sempre, Siamo costretti a buttare tutto e molti rischiano di chiudere”

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

VARESE – E’ un’immagine che colpisce duro quella dei fiori gettati nei campi e destinati a diventare concime. E’ la sintesi (inevitabile) che rispecchia una situazione drammatica, una crisi senza precedenti che sta piegando le ginocchia a uno dei settori-chiave dell’economia della provincia di Varese, il florovivaismo: il territorio prealpino è leader in Lombardia per numero di imprese, ben 957 con la sola esclusione di Milano che arriva a 1.107.

“Ma una gran parte di aziende, se non ci saranno aiuti adeguati e veloci, non esisterà più quando tutto potrà ripartire” commenta Fernando Fiori, presidente di Coldiretti Varese ed egli stesso ortoflorovivaista.

“Beninteso, tutti i settori agricoli sono in difficoltà. Ma per il comparto florovivaistico la situazione è ancora peggiore, sia per il periodo, sia per una catena di aggravi che si aggiungono al mancato guadagno: tra fine febbraio e aprile, infatti, si concentra almeno l’80% degli introiti per tutte le imprese del settore che operano nel comprensorio”

La gravità della situazione si riassume quindi con la sinossi di una “tempesta perfetta”: l’emergenza Coronavirus ha causato il blocco dei trasporti e la chiusura degli esercizi (fiorai e garden) proprio nelle settimane cruciali per il settore. E’ il periodo in cui sono in atto i cicli di fioritura, che si completano in 15 giorni al massimo: per i fiori invenduti – e sono praticamente tutti, dato che la consegna a domicilio costituisce, ad oggi, una nicchia minoritaria – non c’è altra iniziativa che l’ammasso e il loro successivo smaltimento.

“Siamo pressochè tutti costretti a buttarli. Chi può, li trasforma in concime, separandoli ovviamente dal vaso in plastica: l’alternativa è smaltirli alla stregua di un rifiuto speciale, da eliminare in compattatore attraverso servizi esterni, con costi enormi che si aggiungono al mancato guadagno, già di per sé gravissimo. E’ una situazione assolutamente insostenibile” prosegue il presidente Fiori.

“Parliamo di almeno uno, due mesi di mancati guadagni, e solo se l’emergenza dovesse finire presto. Altrimenti la situazione sarebbe ancora peggiore e, davvero, in molti potrebbero non farcela a ripartire”.

 

Fiori si appella alla Regione Lombardia: “E’ positiva la richiesta dell’assessore Fabio Rolfi circa la necessità misure specifiche per il settore, rivolta al Ministero dell’Agricoltura, ma occorre fare presto. Serve un sistema di compensazione del prodotto smaltito e, nell’immediato, è necessario garantire liquidità alle imprese”.

A completare il quadro, anche lo stop alle attività di manutenzione del verde, “che pure rappresentano, per molti, un completamento dell’attività vivaistica. Si tratta di un’attività considerata non essenziale, quindi ormai da giorni anche questo segmento è fermo”.

Insieme alla sopravvivenza delle imprese, è a rischio un patrimonio di biodiversità “verde” che, negli ultimi due secoli, ha contraddistinto il Varesotto e fatto crescere il settore, prima della congiuntura che, negli ultimi anni, già lo ha messo a dura prova: fiori, acidofile alberi da frutto, ornamentali, piantine: un patrimonio anche culturale e storico messo in ginocchio dall’emergenza Coronavirus, insieme al futuro di un indotto da cui dipende il futuro di migliaia di persone e famiglie.