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Cronaca

Inchiesta tutta italiana, ospedali fantasma in tempi di Covid19

L’ex ospedale geriatrico nel parco della Marcigliana

Ospedali fantasma realizzati o soltanto ideati, o mai terminati, oppure chiusi e abbandonati, cadenti, alcuni addirittura sconosciuti. Spreco intollerabile nella normalità, sconcertante in tempi di Covid-19 quando si fatica a trovare posti letto e pazienti gravissimi rischiano la vita per mancanza di strutture che li accolgano. La storia che vi raccontiamo, in tal senso ha dell’incredibile. All’inizio degli anni Duemila tra i vertici della Regione Lazio, si magnificava la realizzazione di un nuovo ospedale a Roma nord, in zona Bufalotta, lì dove i più celebrati imprenditori del mattone hanno realizzato il grande quartiere “Porta di Roma”. A tutt’oggi nulla di fatto ma, con grande sorpresa, abbiamo scoperto il vero ospedale di Bufalotta, esistente dagli anni Quaranta, nascosto tra la rigogliosa vegetazione del parco della Marcigliana in via Bartolomeo Capitanio, abbandonato, lasciato nel più completo degrado e gravemente ammalorato; come nella migliore tradizione della Regione Lazio, senza alcuna idea per la sua riconversione. Non molti lo conoscono, alcuni lo ricordano come ex manicomio. In realtà la struttura, situata nella magnifica riserva naturale al centro di ampie distese d’erba e alberi maestosi, era un centro di assistenza e protezione sociale impiegato come collegio femminile, divenuto poi un istituto geriatrico. Cinque piani, un’immensa terrazza, finestre ad arco di cui non resta che lo scheletro, si affacciano su quello che un tempo doveva essere un rigoglioso giardino interno, ora ridotto ad ammasso di detriti e sudiciume. Proprio in questa casa di riposo, uno stralunato Alberto Sordi abbandona l’anziana e mite mamma invisa alla moglie, nell’episodio “Come una regina” inserito nel collage del film del 1977 “I nuovi mostri”, con la regia di Risi, Monicelli, Scola e qui ambientato. All’epoca l’istituto era attivo e funzionante, con un’architettura dalle linee importanti in un contesto naturalistico strepitoso. Poi il lento, inarrestabile declino. Dal 1978, anno della Riforma sanitaria e del passaggio dei beni delle Ipab – Istituzioni di assistenza e beneficienza – alle Asl, inizia il rimbalzare delle proposte, delle idee incompiute, dei progetti abortiti. Prima la ricognizione da parte regionale con la classificazione di ospedale, poi l’idea di realizzare in tale suggestiva location la “Città della salute”, con stazione del treno che oggi ferma nella non lontana Settebagni. I binari abbandonati all’ingresso della strada di accesso stanno a testimoniarlo. In occasione del Giubileo del 2000 si propose di recuperare l’edificio realizzando un ostello ma l’idea fallì. Si dice che la spesa per l’abbattimento e smaltimento dei ruderi ammonti a 250 milioni di euro. A supporto di quello che avrebbe potuto essere il grande complesso ospedaliero della Bufalotta un altro edificio a pochi metri, l’attuale Istituto Agrario nella vicina via Tor San Giovanni, da riconvertire ad uso sanitario per ampliare l’offerta. Un complesso che con oculati investimenti economici e qualche sforzo organizzativo, avrebbe rappresentato un polo di riferimento di prim’ordine, costituito dai cosiddetti “ospedali di comunità”, anticipatori delle attuali e nebulose case della salute. Nulla di fatto. Alla fine degli anni Novanta il maestoso edificio subisce l’occupazione dei senza casa, con i vertici regionali dell’epoca che si dichiarano impotenti a sgomberarlo. E qui inizia una vicenda dai contorni interessanti e indefiniti.

Un nuovo ospedale sulle ceneri del San Giacomo

L’assessorato alla Sanità regionale, nel 2007, si fa promotore di un progetto che vedrebbe realizzato l’ospedale di Bufalotta/Talenti ex novo, non prendendo in minima considerazione la ristrutturazione dell’edificio già esistente della Marcigliana. La struttura sanitaria all’avanguardia, dovrebbe sorgere su un terreno agricolo di proprietà dei blasonati costruttori di “Porta di Roma”, da acquistare con l’alienazione del San Giacomo, lo storico ospedale collocato al centro della Capitale, vicino piazza del Popolo. Ė a questo punto che la storia assume aspetti controversi perché il San Giacomo non è un ospedale qualunque. Fondato nel 1339, diventa Arcispedale per il ricovero degli incurabili nel 1515. L’impulso per il suo potenziamento è del 1584, grazie all’azione del cardinale Antonio Maria Salviati che appone un vincolo “a esclusivo uso ospedaliero” nelle sue volontà testamentarie. Nel 1870 è sede di insegnamento universitario e nel 1929 diventa un importante polo di emergenza per le esigenze dei cittadini del centro di Roma. Negli anni Sessanta il Pio Istituto di Santo Spirito – che fino al 1968 ha gestito gli ospedali romani – lo ristruttura completamente su progetto dell’ingegner Carlo Gasbarri. Ė del 1970 la realizzazione di una avveniristica “torretta” interna che accoglie un moderno reparto di ortotraumatologia, eccellenza della sanità cittadina. Risale al 2008 l’ultima ristrutturazione, al costo di oltre 11 milioni, con cui si potenzia il servizio di farmacia con moderne innovazioni tecnologiche, si rinnovano i reparti di gastroenterologia e pronto soccorso, l’oncoematologia, il day hospital e la radiologia. Un’attenzione particolare viene data alla rianimazione, potenziata con 12 letti e strumentazioni sofisticatissime. Mentre nell’ospedale si va avanti spediti con i lavori per celebrare il restyling nel luglio 2008, è in atto dal 2007 un piano di risanamento della sanità del Lazio, afflitta dai debiti, da parte dell’allora presidente Piero Marrazzo. Si prevede la chiusura di vari ospedali, tra cui il San Giacomo da sostituire, guarda caso, proprio con il nosocomio in zona Talenti su terreni che scottano. In modo inaspettato, a opere concluse, con un emendamento contenuto nella legge 14 dell’11 agosto 2008 il Presidente Marrazzo, che svolge funzioni di commissario della sanità, delibera la chiusura dell’antico ospedale nel cuore di Roma entro il 31 ottobre dello stesso anno, tra le proteste generali, gli appelli di comitati, cittadini, intellettuali, le manifestazioni di piazza. E nascono mille leggende intorno alla sorte della struttura, voci che accomunano “l’affaire” San Giacomo al gruppo Caltagirone ma non si hanno né conferme né smentite. Il tutto concordato con il Comune di Roma che all’epoca presenta il “Piano d’area” con delibera 218 del 2007 che ha visto nella zona importanti insediamenti realizzati, oltre al già citato costruttore siciliano, dai più noti imprenditori romani del cemento proprietari dei terreni. Un intreccio inspiegabile che, tra espansione edilizia e tentennamenti delle istituzioni ha condotto alla situazione attuale: una struttura fantasma nella riserva naturale della Marcigliana, rifugio occasionale per i più oscuri riti. Immagini truculente impresse sulle pareti del rudere, insieme alle siringhe buttate tutt’intorno stanno a testimoniarlo. E ancora, il più noto e rimpianto San Giacomo, abbandonato, degradato, inutilizzato, sebbene fosse stato ristrutturato pochi mesi prima della chiusura con 11 milioni di investimento. Si, perché dopo la chiusura sfuma l’idea della vendita, per l’opposizione, corredata da un ricorso vinto, da parte degli eredi del cardinale.

L’affare è in bilico ma la Regione non molla

Durante una raccolta di firme contro la chiusura, attratta dal capannello di persone nei pressi di palazzo Chigi è Donna Oliva Salviati, volitiva erede dell’alto prelato, a rendersi conto di quanto sta accadendo e a organizzare barricate contro i piani regionali, opponendo a questi il prezioso documento cardinalizio con vincolo di destinazione d’uso e la vendita fallisce. Si susseguono diverse ipotesi sul destino dell’ospedale – abbandonato da 12 anni – fino all’ultimo provvedimento dell’assessorato regionale al demanio e patrimonio, che ha approvato il conferimento del bene al fondo immobiliare i3- Regione Lazio” e il 23 gennaio 2019 ne ha annunciato la vendita per 61 milioni. Finora però permane lo stato di abbandono senza alcuna notizia se non costanti e, finora, improduttive azioni giudiziarie da parte degli eredi, con lo stillicidio di risorse impiegate per la vigilanza che controlla la struttura giorno e notte. Non si sa ancora, che fine abbiano fatto le modernissime apparecchiature destinate alla terapia intensiva trasferite al Santo Spirito ma troppo ingombranti per essere collocate in quella struttura. In sintesi: un ospedale diroccato, uno chiuso sebbene facilmente riutilizzabile, uno irrealizzato. Queste le medaglie che i vari assessori alla Sanità e presidenti di Regione Lazio possono appendersi al petto. Nel 2008, su molti quotidiani, era possibile leggere notizie di questo tenore: “Contatti tra Comune e Regione per la realizzazione di un nuovo ospedale a Talenti. L’area in cui verrà edificata la struttura sanitaria è stata acquisita dal Campidoglio nell’ambito della convenzione per la costruzione del nuovo quartiere: quindici ettari atti a ospitare un intervento di peso urbanistico metropolitano. L’edificio avrà trecento posti letto e servirà il quadrante Salario-Nomentano e i quartieri Talenti, Serpentara, Fidene e Bufalotta, considerati dalla Regione Lazio sguarniti di presidi pubblici ospedalieri. La nuova localizzazione è frutto di un piano di ottimizzazione varato dalla Pisana per rientrare dal deficit della spesa sanitaria. Sono previsti inoltre, in zona Bufalotta, insediamenti residenziali per circa diecimila abitanti, uffici, servizi locali e un grande centro commerciale con multisala cinematografica da 3000 posti, 16 piste di bowling e un albergo”. Un piano faraonico, la notizia sembrava così sicura, da far entrare nel computo dei posti letto sottratti con la chiusura del San Giacomo i nuovi posti letto dell’ospedale Talenti, tanto da alterare quella media dei 3,7 ricoveri per 1000 abitanti che a Roma, in realtà, arriva soltanto al 2,9 determinando gravi carenze negli ospedali. In tempo di emergenza sanitaria, in cui anche un solo posto letto di terapia Intensiva in più potrebbe fare la differenza per salvare una vita umana, non può non venire in mente lo scempio della sanità pubblica perpetrato negli ultimi anni, che vede ospedali chiusi come il San Giacomo e il Forlanini, assurgere a simbolo di scelte affrettate. Il resto è storia nota: mentre i nostri malati finiscono in strutture private, approntate in fretta e furia o, peggio ancora, in hotel privi di qualsiasi strumentazione atta a prevenire improvvisi peggioramenti, l’antico nosocomio di via Canova chiuso dal 31 ottobre 2008 è abbandonato al degrado, senza alcuna idea per una possibile utilizzazione, se non improbabili destinazioni a residenza di lusso per anziani.