Categorie
In evidenza

Sonia Manzetti, la notte non dormo penso a chi soffre

Busto Arsizio, 10 giugno 2020) – Un trasferimento temporaneo motivato dall’emergenza Covid-19. Sonia Manzetti, infermiera al Centro Psicosociale (Cps) di Somma Lombardo, ha lavorato dal 23 marzo fino alla fine di maggio nel reparto Covid 2 dell’Ospedale di Busto Arsizio. Ha quindi inviato al Sitra (Servizio infermieristico tecnico riabilitativo aziendale) una lettera in cui ripercorre la sua esperienza e le motivazioni che l’hanno originata. Dagli inizi di giugno ha fatto ritorno al Cps.

La missiva ha sollecitato una riflessione da parte del Direttore Sociosanitario ASST Valle Olona, dottor Marino Dell’Acqua:
“Ringrazio Sonia per la sua preziosissima testimonianza: nel percorrere la propria esperienza, ci ha insegnato quanto è di valore la professione di infermiera. Valore che sta nella grande capacità di saper apprendere le novità cliniche che cambiano continuamente, e che non ci devono mai trovare impreparati. Valore racchiuso nella grande competenza e nel fare ogni giorno (e in situazioni così diverse) quello che veramente serve al nostro malato, perché ogni nostro malato è diverso. Valore espresso nella grande volontà di essere e di esserci quando qualcuno ha bisogno, senza ripensamenti, senza esitazioni.
Questo è essere infermieri e noi siamo orgogliosi dei nostri infermieri che tutti i giorni dimostrano di sapere, di fare e soprattutto di essere.
Grazie Sonia e grazie a tutti gli infermieri”.

Qui sotto il testo integrale della lettera di Sonia Manzetti.

Memorie di un’infermiera. Anno 2020

Mi chiamo Sonia, ho 55 anni, abito a Gallarate e sono madre di due figli stupendi e nonna di una bimba meravigliosa, svolgo la professione di infermiera da 37 anni e ne sono orgogliosa.

Marzo 2020. L’umanità è colpita da un nemico invisibile e sconosciuto, un virus, inizialmente sottovalutato, che in poco tempo miete moltissime vittime, il suo nome è Coronavirus e causa una malattia detta SARS-COVID 19 che uccide in pochi giorni le persone fragili e soprattutto gli anziani.
La scelta. La notte non dormo, penso a chi soffre, a chi ha bisogno di aiuto, a chi non ce la fa più e a chi muore. Mi chiedo se posso fare qualcosa anch’io. Decido di entrare a far parte dell’esercito per combattere questa guerra, al fianco dei miei colleghi che già stanno operando sul fronte, nel mio piccolo devo e voglio aiutare chi soffre e chi fatica, chi crolla e si dispera, chi stringe i denti in mezzo a questo caos surreale.
Decido: nonostante la paura del contagio, la paura di non poter più vedere i miei cari, il dissenso di chi non mi può capire.
I miei familiari si preoccupano per me ma tutti rispettano la mia decisione e mi sostengono, sono più orgogliosa di loro che di me stessa.
Aderisco volontariamente al reclutamento del personale per lavorare presso un reparto COVID, la mia richiesta viene subito accolta.
Parto per il fronte, metto in stand-by il mio lavoro in psichiatria, saluto i miei cari colleghi con un po’ di magone, inizio una nuova esperienza, di lavoro e di vita, un viaggio nell’ignoto.
Cosa mi aspetto. Chi si arruola nell’esercito è consapevole che in caso di guerra sarà chiamato e dovrà combattere.
Ho scelto di fare l’infermiera, in caso di pandemia devo combattere contro il virus!
Il mio senso del dovere mi ha spinta, ma è stato il mio cuore a decidere.
Il mio posto è al fianco delle persone che soffrono, poter dare loro conforto e sostegno in questo immenso vuoto causato da un’invisibile nemico, un virus che costringe a vivere isolati, a stare lontani dai nostri cari, a non poter avere vicino un familiare nemmeno nel momento dell’agonia. Il mio posto è dove servono, oltre che le cure mediche e l’assistenza, una parola di conforto, un sorriso, una carezza.
Ė stata dura, durissima, ma alla fine è apparsa una luce all’orizzonte che ci guida a credere che ce la possiamo fare, dobbiamo farcela!
Sarò all’altezza del mio compito? Resisterò? Da 29 anni la mia professione mi ha portata a specializzarmi in una branca della Medicina lontana dalle pratiche infermieristiche svolte nei reparti ospedalieri, situazione stressante e poco tempo a disposizione per imparare ma tanta volontà di rimettersi in gioco. Ce l’ho fatta grazie ai miei nuovi e preziosi colleghi che con pazienza e competenza mi hanno aiutata e sostenuta. Ho potuto mettere in campo anche le mie competenze, maturate in 29 anni di lavoro accanto al paziente psichiatrico: la relazione empatica, l’ascolto attento, l’osservazione accurata e il confronto costruttivo con tutto il team.
La gratificazione più grande è arrivata da loro, i veri eroi di questa guerra, i pazienti.
Non dimenticherò mai il novantatreenne che cerca di accarezzarmi il viso celato da una maschera e una rigida visiera.
La signora affetta da un ritardo cognitivo, all’ingresso agitata, spaventata e incontenibile che mi prende un braccio con forza per accarezzarlo e sorridendo mi manda baci.
Il paziente grave e consapevole che dice:” Io non mollo grazie a voi”, pochi giorni dopo muore.
Il vecchietto sordo che mi urla:” sei la mia gioia!”.
Il paziente dimesso che uscendo dal reparto piangendo dichiara: “Mi mancate già!”.
Ne ho centinaia di questi esempi che mi hanno scaldato il cuore nella buia e fredda trincea sul fronte di questa brutta guerra.
Non dimenticherò mai gli sguardi dei malati, la paura nei loro occhi, la tristezza, ma anche la riconoscenza e l’affetto.
In questo percorso della mia vita ho affrontato la paura, ho vinto la fatica, ho spazzato via la tristezza, ho ascoltato le richieste di aiuto, udito urla di dolore ma anche sussurri di gioia e pianti commossi.
Ho dato tutto quello che ho potuto, tutti noi l’abbiamo fatto, ho ricevuto molto di più da tutti quelli che ho incontrato lungo questa strada tortuosa, dalle anime che sono volate via, da quelle che ce l’hanno fatta, da tutti gli operatori sanitari che hanno lavorato con me, dalle gentili signore addette alla pulizia del reparto alle operatrici dell’URP, dai generosi volontari della Protezione civile agli Alpini (chiedo perdono se ho dimenticato qualcuno).
Credo che tutti noi ci siamo sentiti una squadra, che si sia creato un legame che ci unirà per sempre e che terremo nello scrigno delle cose preziose questa esperienza
Alla fine del viaggio mi sento molto più ricca e contenta di me, ho fatto la scelta giusta.
Ringrazio tutti.

Sonia Manzetti

Categorie
In evidenza

Gli infermieri chiedono l’adeguamento dello stipendio a quelli europei

infermieri

Gli Infermieri non stanno temporeggiando, non tardano a dare aiuto, non rimandano il lavoro a domani. Stanno salvandovite in questo momento, e lo fanno ogni giorno, con professionalità, scienza e coscienza. Instancabilmente. Il 25 Marzo 2020 il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dichiarato, durante una conferenza presso la Camera dei Deputati, che non ci si dimenticherà degli infermieri. Chiediamo al Premier, al Consiglio dei Ministri ed ai Ministri dell’Economia e della Salute, di non dimenticarsi di questa promessa, e di agire adesso per riconoscere veramente il valore degli Infermieri, aumentando il salario per equipararlo alla media europea, ripagando concretamente i professionisti per il duro lavoro che svolgono. Gli infermieri sono indispensabili, e l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 lo sta dimostrando. Questi professionisti instancabili operano sul territorio italiano ogni giorno, nelle strutture ospedaliere, nelle cliniche, negli ambulatori ed a domicilio. Lavorano a Natale, mentre i familiari festeggiano senza di loro; lavorano di notte, quando gli amici sono sotto le coperte con i loro partner; lavorano d’estate, quando molte attività si fermano, e altri si godono mesi di relax. Gli infermieri non possono farlo, e non si fermano, mai. Sono sempre presenti, ovunque ci sia qualcuno che abbia bisogno del loro aiuto per stare bene. Non si fermano nemmeno oggi. Mentre la popolazione si ammala a causa del Coronavirus, gli Infermieri indossano i loro guanti, le loro mascherine, i camici , le visiere ed i calzari, e scendono in campo, come soldati che partono per la guerra. E ci vanno anche quando questi dispositivi mancano, per il loro senso di abnegazione, guidati da un’etica inflessibile. Indossano anche un sorriso, dietro a quelle mascherine, per aiutare a lenire il panico di chi soffre, pur con la paura di contagiarsi e di infettare le loro famiglie. Se si fermano gli Infermieri, chi aiuteràun’Italiaammalata? Noi infermieri non vogliamo medaglie al valore, non vogliamo essere chiamati “eroi”, non vogliamo un premio. Facciamo il nostro lavoro ogni giorno, al meglio delle nostre possibilità, e lo facciamo sempre, oggi più di ieri. Quello che vogliamo è uno stipendio più giusto, che ci ricompensi per i nostri anni di studio universitario, per il nostro impegno costante, per il nostro sacrificio quotidiano, a contatto con le malattie, con la sofferenza, con la morte. Gli Infermieri italiani hanno lo stipendio più basso di tutta l’Europa. Un Infermiere in Italia guadagna circa 1400 € al mese, mentre la media europea è di 1900€ mensili. Ciò significa un Infermiere italiano vale circa 10 € l’ora. Nel Decreto Legge del 16 Marzo 2020 è stato previsto un bonus una tantum per gli infermieri, pari a 100 euro lordi e proporzionali alle giornate lavorative. Parliamo di un premio di circa 70 euro, erogati una sola volta. È questa la ricompensa che meritano quei soldati impegnati a combattere la guerra contro il Coronavirus? Chiediamo di agire oggi. Non domani, non tra un anno, non appena sarà possibile. Oggi. Perché gli Infermieri non stanno temporeggiando, non tardano a dare aiuto, non rimandano il lavoro a domani. Stanno salvando vite in questo momento, sacrificandosi, rinunciando alle ferie, ai riposi, alla loro quotidianità. Lo fanno ogni giorno, con professionalità, scienza e coscienza. Instancabilmente. E non li stiamo ripagando abbastanza. firma per aiutarli

Categorie
Sindacato

Palermo, errore  escludere dal premio gli operatori sanitari assunti temporaneamente

Covid-19. Fsi-Usae all’attacco: “Riparare grave errore della VI commissione regionale sanità che esclude i precari dal premio di 1000”

PALERMO- La Fsi-Usae Sicilia Federazione Sindacati Indipendenti organizzazione costituente della confederazione Unione Sindacati Autonomi Europei.apprezza i buoni propositi della Regione Siciliana per la misura approvata che prevede il riconoscimento di un premio di 1.000 euro al personale sanitario che e’ stato impegnato in prima linea nel corso dell’emergenza Covid-19, e che per fronteggiare l’emergenza ha dovuto reclutare temporaneamente personale sanitario a tempo determinato con contratti in scadenza fino a termine dell’emergenza e ringrazia per aver tenuto conto delle nostre molteplici istanze. Al contempo chiediamo tempi certi per l’erogazione delle somme.

Ciò non toglie che sia stato un errore  escludere dal premio gli operatori sanitari assunti temporaneamente per far fronte all’emergenza, e per quanto ci riguarda inoltre è necessario che vengano adottate, misure che consentano di salvaguardare la loro occupazione, ferma restando la necessità di prevedere assunzioni e misure  adeguate per i tanti precari del settore, l’utilizzo delle graduatorie vigenti, e dell’ultimo bando regionale per infermieri e oss che sollecitiamo. 

La VI commissione regionale sanità ha approvato un documento per l’assegnazione di premi per 1000 € a testa per infermieri, oss, medici e autisti soccorritori 118, ma all’art. 5 comma 8 esclude il personale precario, successivamente il documento è stato presentato in giunta all’Ars e approvato nella finanziaria.

Vogliamo sottolineare quanto sia importante che il premio venga assegnato in modo omogeneo a tutti gli operatori sanitari della regione con un sistema “a fasce” a secondo del rischio e dell’impegno di lavoro sostenuto da medici, infermieri, tecnici, ostetriche, fisioterapisti, operatori socio-sanitari, ecc. che hanno lavorato, e lavorano, con spirito di abnegazione negli ospedali siciliani, indipendentemente dalla qualifica. In sede di contrattazione regionale la Fsi-Usae chiederà che le somme previste dal decreto vengano assegnate proporzionalmente anche al restante personale sanitario impiegato nei reparti e nei servizi non Covid-19 della regione che comunque, hanno rischiato e continuano a rischiare ogni giorno, senza essere certi che i pazienti non abbiano contratto il virus Covid-19.  Non è pensabile che, in presenza di pazienti sospetti, il rischio possa essere escluso.

Dobbiamo anche evidenziare come questo provvedimento esclude dall’ assegnazione dei premi gli oss delle ditte esternalizzate e i dipendenti delle pulizie che sanificano e ripuliscono gli ospedali, compresi i reparti Covid-19 e quelli di malattie infettive. Anche per quest’ultimi è necessario trovare modalità premianti, considerati spesso lavoratori invisibili e sfruttati. La sicurezza negli ambienti di lavoro per la Fsi-Usae è la priorità di ieri, oggi e del futuro, per chi presta servizio in tutti i settori lavorativi.

Per la Fsi-Usae Sicilia l’esclusione dei precari dal premio è ingiusto e discriminante, i componenti della Segreteria Regionale Bracchitta, Di Marco, Ballacchino, Spada, Cirignotta, Di Natale e Coniglio, chiedono alla VI commissione regionale sanità che alla prima giunta regionale presenti le modifiche per riparare l’errore.

 

Categorie
In evidenza

Coronavirus, l’infermiere di famiglia/comunità per far ripartire la sanità

 La Fnopi, (federazione nazionale ordini professioni infermieristiche), chiede che venga istituita la figura dell’infermiere di famiglia.

Una figura prevista nel Patto per la Salute, di cosa si tratta?

Il nuovo Patto per la salute 2014 – 2016, mira ad un generale efficientamento del nostro SSN, proprio nell’ottica dell’appropriatezza. Tutte le previsioni in esso contenute sono state ispirate dai bisogni di salute dei cittadini e, allo stato attuale, costituisce il solo strumento per la costruzione di una sanità più vicina alle persone, più efficace ed efficiente, sicura, di qualità e competitiva in Europa. ma che, nel nostro Paese, è a regime solo in due regioni.

Infermiere di famiglia a cosa serve?

“I cittadini hanno un punto di riferimento preciso nel loro territorio per qualsiasi necessità assistenziale” e si capisce che diventerebbe una figura come quella del medico di famiglia, che segue costantemente il singolo con le sue problematiche e bisogni.

Funziona dove esiste

Fornisce “una  risposta immediata e tempestiva alle esigenze della popolazione, che si rivolge al servizio di Pronto Soccorso in modo più appropriato (in un triennio il Friuli VG ha ridotto i codici bianchi di circa il 20%).

Poi anche una riduzione dei ricoveri (in quanto si agisce prima che l’evento acuto si manifesti) e quindi riduzione del tasso di ospedalizzazione del 10% rispetto a dove è presente la normale assistenza domiciliare integrata.”

Gli infermieri potrebbero essere parte importante e integrante nelle  Unità Speciali di Continuità Assistenziale (U.S.C.A.), finalizzate a supportare l’attuale situazione di emergenza sanitaria e a garantire la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero.

Il servizio e’ gradito dagli utenti?

in “Friuli-Venezia Giulia sulla qualità percepita dai pazienti e familiari fruitori del servizio, gli utenti sono più che soddisfatti del nuovo servizio: il 93% degli intervistati ritiene che la presenza dell’infermiere di comunità (quali sono le RSA ad esempio) risponda meglio ai propri bisogni assistenziali rispetto al precedente modello di assistenza domiciliare integrata.”  (fonte FNOPI)

Categorie
In evidenza

La drammatica testimonianza di un’infermiera

 
Vi proponiamo un intervento di vita vissuta vera, non le solite lamentele di chi ha tutto e molto di più di quello che serve …
 
Buonasera sig. Sindaco,
 
lavoro in ospedale, le scrivo perché, da cittadina volverese vorrei descriverle una giornata tipo. Una come tante, in questo periodo. Ma non vorrei descriverle quello che stanno passando i media: numeri, statistiche, decreti e divieti. Vorrei farlo visto dal lato del paziente Covid positivo e degli operatori. Il Covid è molto più che un virus subdolo.
 
Siamo un paese che sa solo lamentarsi per qualsiasi cosa, mai contenti di nulla. Sembra che la quarantena sia un castigo anziché una protezione per ognuno di noi. Se lo riterrà opportuno, potrà condividerlo lei, per sensibilizzare.
 
Che bello essere chiamati angeli, ma chissà se poi lo siamo davvero.
 
È un sabato mattina di una settimana di allerta Covid-19. Finalmente un giorno di riposo dopo tanto lavoro. Finalmente puoi dedicarti alla famiglia. Per te la quarantena non esiste, non esiste il divieto ad uscire e non è mai esistito. Tu devi lavorare, sei preziosa dicono. E invece no, niente riposo. Arriva la chiamata. Si deve andare. C’è bisogno di coprire turni. Il lamento è d’obbligo, non vorresti, ma si fa. Mentre ti prepari, rifletti che marzo non è stato affatto clemente: turni di 12 ore, ferie annullate, riposi ma cosa sono i riposi?
 
Arrivi in ospedale, qualche figura nei corridoi, ma ancora troppa gente in giro. Arrivi al reparto critico, quello dove sono ricoverati i pazienti positivi. Tutto blindato, suoni. Ti apre la collega che è li da ieri sera. Stremata, viso segnato dalla mascherina e gli occhiali, prendi consegna e la congedi. Deve riposare. Suona un campanello. Ti sporgi alla camera interessata, chiedi il motivo della chiamata, rassicuri che presto entrerai, e vai a vestirti. La vestizione è lunga, ci si deve bardare molto bene e non si possono commettere errori di trascuratezza.
 
Entri dalla paziente, la conosci e la saluti. Ha un casco sulla testa, si chiama C-pap. Serve per respirare meglio, non ha molte speranze e il monitor al quale è collegata ne dà conferma. Ma la paziente è cosciente, lucida e orientata nel tempo e nello spazio, ma soprattutto sa che sta per morire. Lo sa, lo percepisce e lo sente. Parli un po’ con lei.
 
Non mangia da giorni. Questa mattina chiede la colazione. Ha un diabete non controllato e vuole due fette biscottate con la marmellata. Sarà certo il diabete il suo peggior nemico ora? E riferisci alla collega di passarteli.
 
Quello sguardo implorante ti uccide. Distogli ogni tanto gli occhi da lei per non morire dentro…
Mentre le sistemi i cavi dei parametri vitali, lei ti prende la mano…”Amore, sei mamma?”. “Si, di due ragazzi”.
 
“Allora puoi capire cosa sto provando?”.
 
“Posso provare, ma se vuoi, puoi descrivermelo… ti ascolto”.
 
“Ho quattro figli e sono sempre stati tanto mammoni. Un rapporto bellissimo, anche perché gli ho fatto da madre e da padre, visto che sono rimasta vedova da giovane. Non ho paura di morire, non vorrei solo soffrire. Ma un giorno, uno dei miei figli è venuto a trovarmi e non lo hanno più fatto entrare.. è stato obbligato, non una scelta. Non ho potuto vedere più i nipoti, le nuore nessuno. Io qui, loro a casa. Non ho potuto dir loro quanto bene gli voglio”.
 
“Ma chiamali al telefono e diglielo”.
 
“Si, ma non è la stessa cosa”.
 
“E vabbè, però ti sentono, ti parlano ed è già qualcosa, meglio di niente”.
 
“Li chiamo ogni giorno, li sento che stanno soffrendo perché non possono stare con me fino alla fine”.
 
Entra il medico, la visita e squilla il telefono, è uno dei figli. La paziente gli dice “c’è il medico, te lo passo”. Il medico descrive al figlio la situazione. È davvero critica. Alla signora viene detto che dovrà essere intubata presto e che non ha molto da vivere. Il figlio chiede di poterla vedere per un ultimo, breve saluto. Non è possibile. il Covid non decide su chi posarsi, si insinua su chiunque.
 
Il medico esce dalla stanza e la signora piange disperata. Mentre è ancora al telefono con il figlio, il figlio piange con lei. Lei ha sempre su di te quello sguardo implorante, come volesse chiederti di fare qualcosa e chiedi di passarle il telefono. La signora ha un telefono vecchio, non è anziana, ma nemmeno tecnologica, non puoi avvicinare il telefono all’orecchio, quindi non sai cosa ti risponde il figlio, ma quello sguardo ti ha trapanato e non sei soltanto un operatore, sei mamma, sei figlia.
 
Dici al figlio: “Radunatevi tutti e quattro, ma proteggetevi con le mascherine. Fatelo prima che potete e poi chiamate in video chiamata questo numero”.
 
E gli dai il tuo e vi farò vedere mamma. È poca cosa, ma almeno non sarà una cosa interrotta di netto, e la potrete vedere.
 
Gli dici che sarai li per altre dieci ore e di richiamare più volte se non rispondo subito. Non passa neanche un’ora e la collega dice che dalla borsa sta squillando il tuo telefono. Tu sei sempre vestita e sempre in quella stanza, non sei mai uscita e le chiedi di prendere il cellulare, metterlo in un sacchettino, disinfettarlo e passartelo.
 
Apri la video-chiamata e tutti e quattro i figli lì. La paziente non se lo aspettava ed è felice come una Pasqua e tu con lei. Si parlano un bel po’,  si raccontano, si dicono ti amo e lei desatura spesso perché si sta affaticando, ma sai il destino nefasto, non te la senti di chiedere di chiudere. Già una volta sono stati obbligati a tagliare, ora vuoi che la decisione sia la loro.
 
La chiamata dura circa mezz’ora ed è come se un cerchio si fosse chiuso, quello che doveva essere è stato… lei aveva resistito solo per loro, per vederli, per salutarli. Hai il cuore in mille pezzi. Pensi a te e ai tuoi figli e comprendi tutto..ogni sua preoccupazione.
 
Ti prende la mano, ti dice grazie, veglierò su di te, per quello che hai fatto. E fai fatica a non piangere. La paziente si spegne. Decidi di uscire e lasciare ai colleghi il resto. E vedi che, come le procedure prevedono, la cospargono di disinfettante, la avvolgono in un lenzuolo e la portano in camera mortuaria. Sola..sola..i suoi effetti personali messi in triplice sacco nero andranno inceneriti.
 
È domenica mattina. L’agenzia di pompe funebri è venuta a prendere la salma. Uno solo dei figli presente, a debita distanza. Non l’ha più vista da quella video chiamata. Dà indicazioni all’incaricato e vanno via… la sua macchina svolta a destra, la salma va a sinistra..sola. Non ce la fai, quello è troppo. E se fino ad ora non avevi pianto, ora non ce la fai.
 
A casa apri Facebook. Lamentele ovunque. Vi hanno negato la libertà, il bimbo non può andare più al parco, il cane passeggia troppo in là da casa e non si trova più lievito. Quanta ignoranza, quanti pochi problemi ha la gente, ma su una cosa ancora siamo fortunati: a noi ci saranno state anche negate delle cose, dovremmo anche fare sacrifici, ma almeno noi abbiamo ancora la dignità, un diritto che il Covid-19 ti toglie, senza poterti lamentare. Un diario dalla prima linea, quella umana, del cuore.
Categorie
Busto Arsizio

Busto, nuovi infermieri con discussione a distanza

– A novembre 2019 se ne sono laureati 17, a marzo 4, e ad aprile toccherà ad altri 12. Stiamo parlando dei giovani che hanno frequentato il Corso di laurea in Infermieristica (sezione di Busto Arsizio) dell’Università Statale degli Studi di Milano.

Le prossime lauree saranno venerdì 3 aprile 2020. L’emergenza Covid-19, si sa, impone la discussione a distanza, come spiega la dottoressa Elisabetta Balestreri, Direttore didattico.

“Il tutto si svolgerà via telematica attraverso collegamento Microsoft Teams (a uso gratuito per studenti e docenti UNIMI) per tutti i candidati e anche per la Commissione – afferma -. In un’aula virtuale, affidata alla sola Rete, verrà attivata la videoconferenza che raggiungerà tutti: la Commissione nei propri uffici, gli studenti nelle loro case. Lo svolgimento della Prova di Stato sarà orale, con  domande di carattere assistenziale su un caso clinico; solo successivamente avrà luogo la discussione dell’elaborato di tesi, al termine la proclamazione. Gli studenti che si sono laureati hanno aderito alla manifestazione di interesse pubblicata sul sito di Regione Lombardia, richiamata anche dalla nostra ASST Valle Olona.

Le quattro diplomate di marzo hanno già ricevuto richieste, soprattutto dalle Residenze sanitarie assistenziali del territorio. Ma sperano fortemente di essere reclutate presso i nostri Ospedali.

I quindici laureati di novembre si sono tutti iscritti al concorso a tempo indeterminato ASST Valle Olona, pubblicato nello stesso mese”.  

Categorie
In evidenza

Infermieri Nursing.Diffida e costituzione di mora indirizzata al premier Conte

Diffida e costituzione di mora indirizzata al premier Conte, ai ministri della salute e della pubblica amministrazione Speranza e Dadone, ai governatori di tutte le regioni italiane da parte degli Infermieri Nursing.

La questione è aperta da parecchi giorni: “Nelle regioni maggiormente colpite dal virus – prosegue – gli infermieri in servizio ci dicono che il materiale residuo scarseggia pericolosamente. Temono sempre che finisca e vengano a mancare i presidi di sicurezza minimi per assistere i pazienti. I professionisti protestano e il sindacato di categoria intende raccogliere il loro grido d’allarme ancora una volta”.

DIFFIDA CONTRO CONTRO CONTE E MINISTRI

I numeri sono importanti ma si fatica ad averli:

“Abbiamo chiesto al ministero della salute – conclude De Palma – di spacchettare i dati aggregati sul numero degli operatori sanitari infettati, ma cala il silenzio. Non posso credere che sia un problema di privacy: il ministero, le aziende sanitarie locali e le regioni forniscano immediatamente i numeri”.

IL TESTO COMPLETO DELLA DIFFIDA: CLICCA QUI