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Esteri, Taiwan sarà la prossima Hong Kong?

Le proteste a favore della democrazia hanno scosso Hong Kong per più di un anno. Ora, la Cina ha imposto una severa legge di sicurezza nazionale che minerà l’autonomia del territorio e, quindi, la sua identità. La nuova legge è una grande tragedia per il popolo di Hong Kong, ma sfortunatamente, la comunità internazionale può fare ben poco per fermarne l’attuazione. L’amministrazione Trump ha fatto intendere che vuole aumentare la pressione sul governo di Hong Kong, ma farlo rischia di danneggiarne l’economia più di quella di Pechino e accelerare “l’assorbimento” del territorio nella Cina Comunista.

Molti analisti consigliano moderazione agli Stati Uniti, sostenendo che un approccio più morbido potrebbe spingere Pechino a moderare le modalità di attuazione della legge ed evitare di peggiorare la situazione.

Il governo USA deve comunque considerare la situazione futura di Hong Kong nel formulare la sua risposta a Pechino. Una tiepida reazione degli Stati Uniti potrebbe lasciare ai cinesi l’impressione di poter procedere con relativa impunità su altre questioni controverse in Asia. L’ombra su Taiwan si profila minacciosa in questo quadro. Sempre che gli Stati Uniti non dimostrino la determinazione e la capacità di resistere all’aggressione cinese alla democrazia, i leader cinesi potrebbero eventualmente concludere che i rischi e i costi delle future azioni militari contro Taiwan siano bassi, o almeno tollerabili.

Ovviamente non esiste un collegamento diretto tra Hong Kong a Taiwan, Un attacco cinese sull’isola non è né imminente né inevitabile. Ma le recenti azioni di Pechino a Hong Kong, e altrove in Asia, sollevano domande preoccupanti sui suoi obiettivi in ​​evoluzione e sulla crescente volontà di usare tattiche coercitive per raggiungerli. In breve, gli Stati Uniti devono stare attenti a non giocare a Hong Kong quando Pechino si sta organizzando per una più ampia competizione per il futuro dell’Asia. Ultimamente la Cina è diventata molto più tollerante negli affari internazionali di quanto non fosse una volta e molto più audace nell’usare la coercizione per far avanzare gli interessi cinesi, spesso a spese degli Stati Uniti e di altre potenze, come Giappone e India.

Negli ultimi mesi, la Cina ha aumentato la sua pressione militare e paramilitare sui paesi vicini con i quali ha dispute territoriali, tra cui India, Giappone, Vietnam, Malesia e Indonesia. Sia che queste manovre aggressive fossero intese a ricordare al mondo quanto è risoluta la Cina o a capitalizzare sulla distrazione internazionale causata dal virus di Wuhan, offrono una forte indicazione sulle aspettative del presidente Xi e le sue rivendicazioni territoriali. La storia recente rivela che il sistema internazionale è vulnerabile a questo tipo atteggiamento.

Quando il presidente russo Vladimir Putin ha deciso di invadere l’Ucraina e annettere la Crimea nel 2014, ha fatto seguito a quanto appreso in occasione dell’invasione della Georgia nel 2008. L’invasione della Georgia è costata poco alla Russia e ha suscitato solo una debole condanna internazionale. Taiwan e Ucraina occupano aree geopolitiche molto diverse, ma proprio come Putin ha preso ben poco in considerazione la risposta degli Stati Uniti alle azioni russe in Georgia nella sua decisione di invadere l’Ucraina, i leader cinesi studieranno la risposta degli Stati Uniti alla legge sulla sicurezza di Hong Kong per attagliare le loro decisioni sulle future possibili “annessioni” in Asia.

Dato quanto poco è costato finora il giro di vite di Pechino a Hong Kong, si può temere che Pechino trarrà conclusioni errate sui costi della futura coercizione contro Taiwan. Hong Kong e Taiwan hanno più cose in comune di quanto molti analisti comprendano, sia nella visione di Pechino sia nei sentimenti dei loro cittadini. Le proteste che hanno imperversato a Hong Kong nell’ultimo anno hanno scosso profondamente il popolo e la leadership di Taiwan. Secondo i rapporti di notizie, il numero di residenti di Hong Kong che si sono trasferiti a Taiwan nei primi quattro mesi del 2020 è aumentato del 150% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Le manovre di Pechino hanno lo scopo di intimidire Taiwan dimostrando la disponibilità della Cina Popolare a usare la forza e insistere sulla pressione diplomatica. Per dissuadere Pechino da ulteriori aggressioni, gli Stati Uniti devono chiarire che ci saranno conseguenze per la legge sulla sicurezza nazionale, in particolare se Pechino la utilizzerà per giustificare l’arresto o la consegna di giornalisti, attivisti pacifici o candidati politici a Hong Kong.

Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato disposizioni che autorizzano l’amministrazione Trump a negare i visti e imporre altre sanzioni mirate contro di coloro che sono direttamente coinvolti nella repressione di Hong Kong. Sanzioni mirate che non saranno esenti da costi per le relazioni tra Stati Uniti e Cina o per il popolo di Hong Kong, ma gli Stati Uniti possono limitare il danno collaterale attuandole in modo graduale.

L’amministrazione Trump dovrà iniziare migliorando il coordinamento con gli alleati europei e asiatici. Ha rilasciato dichiarazioni congiunte simbolicamente importanti su Hong Kong, prima con Australia, Canada e Regno Unito e poi con il G-7.

La presidenza tedesca del semestre europeo, comunque, non da’ un segnale di sostegno ai taiwanesi.

In particolare si è saputo da queste ore che nella lista dei paesi, i cui cittadini sono esentati dalle restrizioni a viaggiare nell’Unione Europea, pubblicata dal Consiglio dell’Unione Europea il 30 giugno e dall’Italia il 1° luglio Taiwan, non è inserita.

Quindi, in Europa non si è considerato che Taiwan ha attentamente monitorato lo sviluppo della situazione dell’epidemia di Covid-19, condividendo in maniera trasparente le informazioni con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con la stessa Unione Europea allo scopo di combattere e controllare la pandemia globale come dovuto.

Inoltre, dall’esplosione dell’epidemia di Covid-19 non è stato riconosciuto che il governo di Taiwan ha approntato le corrette misure per contenere la diffusione del virus e, grazie all’elevato livello del sistema sanitario il numero di contagiati e di vittime è stato tenuto sotto controllo e bel sotto ai criteri stabiliti dall’Unione Europea.

Se non fosse palesemente per la “paura” di indispettire Pechino sarebbe quantomeno logico aspettarsi che sia inserita Taiwan in una seconda lista di paesi che possano godere della revoca delle restrizioni durante il prossimo meeting del Consiglio dell’Unione Europea.

In conclusione, la situazione a Hong Kong e le pressioni su Taiwan indicano quanto sia difficile fare deterrenza e garantire che Pechino veda la coalizione “occidentale” almeno come un problema se non come una minaccia, invece, di dare ai cinesi la possibilità di sfruttare le “paure di indispettire” europee per essere in grado di separare lentamente, ma inesorabilmente, gli Stati Uniti dai suoi alleati. Tutto questo con l’applicazione del moderno “sino soft power”.

Generale Giuseppe Morabito

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ESTERI. LIBIA, DA GUERRA CIVILE A CONFLITTO REGIONALE. L’ITALIA OSSERVA …MENTRE TERMINA IL RAMADAN 2020.

Quale è lo scenario oggi in Libia? Questo breve contributo cercherà di definire la questione nelle sue molteplici sfaccettature.

Dopo la “primavera” del 2011, una guerra civile a bassa intensità ha infuriato in Libia. La conflittualità tra le parti in campo è però aumentata nel 2014 dopo che le opposte fazioni hanno ignorato i risultati delle elezioni parlamentari e costretto il governo riconosciuto a livello internazionale del Presidente Serraj a cercare rifugio nella Libia orientale.

Intanto l’antagonista di Serraj, il Generale Khalifa Haftar, comandante dell’esercito nazionale libico (LNA) aveva iniziato un’offensiva per porre fine a una campagna terroristica islamista a Bengasi.

Nel 2015, le Nazioni Unite hanno tentato di negoziare un accordo per cercare di dare legittimità al governo di accordo nazionale (GNA) che, trasferito a Tripoli nel marzo 2016, è da allora sotto il controllo, de facto, delle milizie di Tripoli e Misurata.

I libici al di fuori dell’area della Tripolitania non riconoscono il GNA e continuano a lamentarsi della distribuzione, di risorse e ricchezza, nonché dell’arricchimento definito “criminale” delle milizie nella regione della capitale.

Un’offensiva di Haftar su Tripoli nell’aprile dello scorso anno ha reso vana l’iniziativa delle Nazioni Unite per una conferenza nazionale libica a Ghadames dopo, che già erano fallite iniziative simili.

Il GNA ha capacità militari limitate e ha cercato e ottenuto aiuto, da Turchia e Qatar e come detto, è “gestito” dalle milizie Misurata che annoverano nelle loro unità un grande numero d’islamisti radicali, tra cui affiliati di Al Qaeda, che costituiscono la spina dorsale delle forze in campo.

Diverse centinaia di jihadisti inviati dalla Turchia provenienti dalla Siria hanno rinforzato il GNA all’inizio della battaglia per Tripoli.

Il trasferimento di mercenari terroristi ha sancito l’alleanza tra le milizie di Misurata, i più stretti alleati della Turchia in Libia, e i Fratelli Musulmani che hanno mantenuto una forte influenza sulla politica, sulla sicurezza e sull’economia della regione. LNA è composto, invece, da unità dell’esercito supportate da milizie eterogenee e i suoi principali sostenitori stranieri sono  l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti.

Definito lo scenario sul campo, è possibile asserire senza possibilità di smentita che la guerra civile in Libia è ora, dal punto di vista bellico, una guerra di logoramento con opposte fazioni che hanno capacità diverse. A oggi l’LNA sta soccombendo in quanto non è in grado di competere con le truppe filo-turche modernamente equipaggiate. Queste ultime  dispongono di droni da combattimento, capacità di guerra elettronica, artiglieria di precisione a lungo raggio, appoggio da navi da guerra e soprattutto, buona capacità di difesa aerea. Quindi dal 20 maggio, dopo aver riconquistato l’ultima base LNA rimasta nella Tripolitania occidentale, Al Wattiya, l’offensiva delle forze di Serraj ha acquisito slancio, mentre l’LNA cerca di consolidare le sue posizioni nel sud di Tripoli.

Tornando alla presenza internazionale nell’area è evidente che molti altri paesi, oltre a quelli già citati, hanno interessi strategici importanti.

La sicurezza occidentale è uno di questi interessi e riguarda principalmente l’attività dei vari gruppi islamisti. Le aree non controllate a ridosso dei confini sono “porose” e consentono numerosi traffici, tra cui quello di esseri umani. Vi sono inoltre interessi legati alla promozione della democrazia o dell’islam politico e infine, diversi paesi sono economicamente interessati allo sfruttamento degli idrocarburi.

Tra i vicini regionali della Libia ci sono Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar e a questi si aggiungono la Turchia, la Francia, l’Italia e la Russia.

L’instabile economia della Turchia ha bisogno della Libia come importante destinazione di esportazione e in tal senso si muove Ankara, con un occhio anche alla ricostruzione che, dovrà iniziare. Di conseguenza la sopravvivenza del GNA e un ruolo di primo piano per Misurata sono essenziali per gli interessi economici di turchi.

Anche il Qatar è un grande investitore in Libia. Sia il Qatar sia la Turchia stanno fornendo armi ed equipaggiamento militare a molte delle milizie pro-GNA, in particolare quelle di Misurata.

L’Egitto, il vicino più prossimo della Libia, sta osservando la crisi oltre il suo confine occidentale perché la Libia è ora un possibile rifugio per i terroristi. La Libia, non va dimenticato, è anche un importante mercato del lavoro per quasi un milione di egiziani.

L’Italia e la Francia hanno importanti interessi strategici in Libia, ma mentre, per Roma, l’economia (interessi ENI) e la migrazione dei clandestini sono i temi principali, la sicurezza regionale e l’antiterrorismo sono la priorità per Parigi. Per Mosca, invece, il caos in Libia è un’opportunità per riguadagnare influenza nell’area. La Russia è interessata a stabilire un “testa di ponte” nel Nord Africa per ottenere una quota del settore della ricostruzione e all’influenza sull’industria degli idrocarburi, in particolare il mercato del gas. Sebbene non vi siano interessi nazionali vitali americani in gioco in Libia, la sua instabilità costituisce una minaccia crescente per gli interessi statunitensi nella regione anche considerato l’atteso arrivo nell’area dei cinesi con interessi simili a quelli della Russia.

Dal punto di vista geopolitico “africano” nessuno, per ora, parla apertamente della possibilità che la Cirenaica si separi dal resto della Libia a seguito della sconfitta del LNA in Tripolitania o di un cessate il fuoco definitivo sotto egida ONU. Questo perché’ l’accordo marittimo turco-libico che tracciava le zone economiche esclusive, un accordo d’importanza cruciale per la Turchia, diverrebbe irrilevante tutto a favore del Cairo.

Se ci fosse, infatti, un’escalation militare tra Ankara e Il Cairo sulla Libia, l’Egitto è in una posizione privilegiata per fornire supporto logistico diretto senza rischio d’intercettazioni.

Gli aerei da combattimento, anche emiratini, sarebbero in grado di attaccare obiettivi in tutta la Libia direttamente dalle basi dell’Egitto occidentale. Anche le forze di terra egiziane potrebbero intervenire se necessario, inoltre gli aerei da trasporto turchi, i droni o i combattenti presenti in Libia potrebbero essere facilmente intercettati e neutralizzati.

Nel complesso scacchiere appena descritto, si deve sperare che la Turchia non diventi il partner economico favorito della Libia (occidentale) perché’ questo danneggerebbe fortemente la posizione delle varie parti interessate europee, in particolare Italia e Francia.

La Turchia acquisirebbe inoltre una posizione più importante sul mercato europeo del gas e sarebbe in grado di influenzare le consegne attraverso il gasdotto Green Stream (gestione ENI) che attraversa la Libia occidentale verso l’Italia. Inoltre, la Turchia sarebbe in grado di controllare anche i flussi migratori dal Mediterraneo orientale verso l’Europa. Ciò aumenterà in modo significativo la sua capacità di esercitare pressioni sull’UE come già ha fatto nei mesi scorsi al confine con la Grecia e la Bulgaria.

La Turchia potrebbe continuare a espandere la sua influenza politica ed economica verso la Tunisia, l’Algeria e gli stati del Sahara meridionale. Ciò includerebbe probabilmente il sostegno a gruppi, come i Fratelli musulmani, e ciò sarebbe la causa di un possibile ulteriore attrito con la Francia.

In conclusione la guerra civile della Libia, nata come una questione interna, è diventata nel tempo una tipica guerra per procura. Il supporto internazionale è fondamentale per entrambe le parti e non si prevede una fine imminente. Come del resto non vi è a breve la possibilità di una “posizione internazionale unificata sulla Libia” o di una “risoluzione tra le due parti  principali” perché’ percepita come “unificazione di tutti gli sforzi contro l’LNA”.

Il presidente turco Erdogan è convinto di uscirne vincitore, e per questo sta profondendosi in sforzi militari ed economici. L’Egitto è riluttante a essere coinvolto in quello che potrebbe essere un conflitto prolungato e costoso. La Russia ha capacità di proiezione oggi limitate ed evita di coinvolgere direttamente le forze armate turche in Siria e quindi è titubante a farlo in Libia.

Un accordo politico/diplomatico è oggi meno probabile rispetto a una decisione militare, ma con la potenziale sconfitta dell’LNA da parte di Serraj ed Erdoğan, non si risolverebbero i problemi della Libia. In effetti, la situazione potrebbe aggravarsi e portare a un conflitto regionale lasciando l’Europa e gli Stati Uniti e quindi la NATO (meno la Turchia) a convivere con il risultato.

L’Italia e il suo governo continuano una politica di basso profilo, come se uno degli effetti collaterali del contrato al Virus di Wuhan fosse creare crisi di sonno.

Mentre il mondo arabo festeggia la fine del mese sacro del Ramadan e si interroga sul suo futuro, la Turchia, se non bastasse quanto combina in Libia e Corno d’Africa, provoca la vicina Grecia fingendo di occupare per errore lembi di territorio sul confine, la Cina comunista compra aree commerciali importanti a Taranto (dove c’e’ anche la base principale della nostra Marina Militare), dichiara di essere a un passo dalla seconda “guerra fredda” e minaccia la democratica Taiwan di “riunificarla”, i paesi “amici rigoristi” del nord Europa creano problemi agli aiuti potenziali in arrivo da Brussels , in Italia forse sarebbe il caso di fare “politica estera”.

Invito a riflettere sull’ affermazione di Henry Kissinger: “Quando è in atto una crisi, la passività non fa che accrescere l’impotenza: alla fine ci si trova costretti ad agire proprio sui problemi e nelle condizioni di gran lunga meno favorevoli.”

Generale Giuseppe Morabito