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Eventi

Addio Christo, artista dell’impossibile

 
di Roberto Malini

 

È morto Christo, l’artista che “impacchettava” edifici, monumenti, ponti e anche isole. Aveva 84 anni; il suo vero nome era Christo Vladimirov Javacheff. I suoi progetti più celebri sono stati realizzati da lui insieme alla moglie Jeanne-Claude Denat de Guillebon (Casablanca, 1935 – New York, 2009). Esponente di primo piano della Land Art, ha sorpreso e a volte incantato il mondo con i suoi progetti apparentemente irrealizzabili, come il percorso arancione lungo 30 km attraverso Central Park, a New York o gli imballaggi del Pont Neuf, del Reichstag, dell’Arco di Trionfo. Per qualche tempo ho posseduto un pezzetto, autenticato e autografato dall’artista e dalla sua compagna, della cintura color fucsia in propilene con cui circondò, nei primi anni 1980, le isole della baia di Biscayne a Miami. Christo ci lascia il ricordo di un uomo capace di sognare e creare l’impossibile e adesso lo immaginiamo intento a preparare progetti ancora più ambiziosi, come per esempio… impacchettare il paradiso.

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Il coronavirus somiglia all’influenza di Hong Kong del 1968.

Il coronavirus somiglia all’influenza di Hong Kong del 1968. Ne piangiamo i morti e contemporaneamente ci chiediamo quali altri danni procuri a tutti noi

 di Roberto Malini, scrittore, co-presidente di EveryOne Group

 
Pesaro, 31 marzo 2020. I dati forniti nei giorni scorsi dal Dipartimento di Infettivologia ed Epidemiologia del qualificato Imperial College di Londra ci forniscono una stima attendibile relativa al numero di persone che sono state infettate dal coronavirus, in Italia, dall’inizio della pandemia al 28 marzo 2020. Si tratta del 9,8% dell’intera popolazione italiana, vale a dire, circa sei milioni di persone. Il virologo Roberto Burioni commenta il dato nella sua pagina Facebook “Medial Facts”: “Capite perché i numeri che sentite in tv ogni giorno alle 18 non hanno molto significato?”. Ha ragione. In base ai numeri diffusi dall’istituto londinese, risulta un fatto che il buon senso ci suggeriva da molti giorni: non esiste una differenza marcata, riguardo alla mortalità da coronavirus, nei diversi paesi colpiti dall’epidemia. Quindi, mentre oggi siamo convinti di avere nel nostro paese una mortalità da Covid-19 del 10%, mentre vediamo nazioni in cui essa è intorno all’1%, la realtà ci dice che la differenza le diverse comunità nazionali è molto più ridotta e ricorda i dati delle ultime pandemie del secolo scorso: l’influenza asiatica, pandemia degli anni 1957-60, che ebbe una mortalità di circa lo 0,2% e la pandemia di Hong Kong (1968/69), – di cui chi scrive si ammalò da bambino – e dove il nuovo virus A/H3N2 rimpiazzò l’A/H2N2 e fu causa di una mortalità simile al suo predecessore. 
 
Germania, Danimarca, Francia, Regno Unito registrano attualmente un numero di contagi decisamente inferiore all’Italia ed è per questo (mentre solo in misura minore ha inciso finora l’efficienza dei loro sistemi sanitari) che contano meno vittime. Il grande virologo francese Didier Raoult aveva già preannunciato qualche tempo fa che la pandemia da Covid-19 sarebbe stata in linea, in quanto a mortalità, con le ultime pandemie. Allo stesso Raoult dobbiamo la scoperta dell’unico farmaco che al momento attuale è in grado di ridurre sensibilmente, se assunto in dosi e tempi giusti, la letalità del nuovo virus: l’idrossiclorochina. 
 
I motivi della diffusione così repentina e incontrollata del virus in Italia sono da ricercarsi in una serie di concause: la sottovalutazione iniziale, la vulnerabilità delle nostre strutture sanitarie, la scelta governativa dei controlli nei confronti dei cittadini con uno spiegamento enorme di forze: polizia municipale, polizia di stato, carabinieri, guardia di finanza, esercito. Una scelta che ha posto a distanza ravvicinata più di trecentomila uomini in divisa e milioni di cittadini di tutte le età e in ogni possibile condizione di salute, senza che gli agenti fossero muniti di presidi anti-contagio adeguati e senza che vi fossero metodi di disinfezione efficienti nelle sedi dei tutori dell’ordine o all’interno dei loro veicoli. A tutt’oggi non sappiamo quanti agenti siano stati e siano contagiosi, perché non sono stati effettuati su di loro test a tappeto. 
Considerati gli effetti sulla salute che hanno ed avranno le procedure istituzionali dirette a impedire che i cittadini italiani escano di casa (pensiamo agli anziani, ai disabili, ai bambini e anche a chi soffre di disturbi psichici rilevanti), forse sarebbe stato più opportuno educare i cittadini – senza reprimerli – all’impiego corretto di mascherine e al mantenimento di una distanza di sicurezza: due metri e non il metro suggerito nel nostro paese. 
 
Ci fanno inoltre riflettere sui pericoli che corrono oggi i valori civili e umanitari alcune misure governative assunte nelle diverse nazioni: i pieni poteri accordati dal parlamento ungherese al sovranista Orbán; le violenze contro cittadini sorpresi fuori dalle loro case in alcune nazioni africane, dove le autorità hanno usato metodi repressivi di una durezza inaudita contro cittadini sorpresi all’aperto; l’impunità per gli agenti che feriscano o anche uccidano i “trasgressori” del coprifuoco, proposta da importanti figure istituzionali in Perù; l’abbandono da parte delle istituzioni, anche italiane, delle persone più emarginate e vulnerabili.

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CULTURA

Letteratura, esce Selva di luce di Roberto Malini e Steed Gamero

Letteratura, esce Selva di luce di Roberto Malini e Steed Gamero, un romanzo poetico nel Perù del XVIII secolo (e un invito a credere che ce la faremo)

Nel mese di aprile 2020 esce nelle librerie italiane (in formato cartaceo, ebook e audiolibro, quest’ultimo recitato da Alberto Angrisano, voce ufficiale di National Geographic  e doppiatore di Idris Elba) il romanzo poetico Selva di luce, scritto a due mani da Roberto Malini e Steed Gamero, autori pluripremiati in Italia e all’estero. L’opera sarà al centro di alcune importanti iniziative rivolte agli studenti costretti all’isolamento da coronavirus. “Come ha dimostrato la Cina nelle settimane in cui si è trovata costretta ad affrontare la pandemia,” spiegano gli autori, “la creatività, il gioco di ruolo letterario, la scoperta della bellezza sono, per i giovani, elementi utili alla resilienza necessaria per affrontare solitudine e riduzione dei contatti sociali”.

L’azione di Selva di luce si svolge due secoli dopo la fine dell’Impero Inca – Tahuantinsuyo, in lingua quechua – nel villaggio immaginario di Chaupi Llajta, ai margini della selva peruviana, dove i giovani indigeni Sinchi e Crispín si trovano a vivere il rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta affrontando l’insidia invisibile di un morbo che si propaga nel loro villaggio, consumando le vite dei loro cari e dei loro vicini. “Sembra storia d’oggi,” scrive Malini nell’introduzione, “e invece, mentre scrivo questo testo che presenta l’opera, la città in cui viviamo Steed e io, Pesaro, è in quarantena e l’epidemia di COVID-19 si diffonde attraverso il nostro pianeta, rivelandoci per l’ennesima volta nella storia come l’umanità sia vulnerabile di fronte alla veemenza di alcuni fenomeni naturali”. 

La struttura di Selva di luce è quella di un “poema non cantato”, i cui versi liberi hanno la voce dei racconti leggendari. L’opera di Roberto Malini e Steed Gamero, in effetti, ha fondamenta storiche, perché si svolge nel Perù del XVIII secolo, un’epoca drammatica per il popolo quechua; tuttavia essa ha contemporaneamente una natura mitologica, perché i suoi eroi agiscono in una dimensione che appartiene alla tradizione religiosa degli Inca, secondo cui il mondo degli esseri umani, Kay Pacha, è sempre connesso a quello degli dei, Hanan Pacha, e a quello dei morti, Urin Pacha

“Steed Gamero, poeta italoperuviano, ha origini quechua,” scrive Malini nell’introduzione. “Ha trascorso l’infanzia e la prima giovinezza a Lima, la Città dei re, ma la sua famiglia è originaria di Quipán, che il mito locale ricorda come ‘la più antica città dell’universo’. Da anni ci accomuna l’interesse verso le civiltà precolombiane e in particolare il Tahuantinsuyo, che dal XIII al XVI secolo fu artefice di una civiltà straordinaria, che ci incuriosisce e affascina ancora oggi. Steed e io abbiamo iniziato a parlare di questo progetto letterario a due mani oltre dieci anni fa. Volevamo esprimere il nostro legame con le culture indigene, perseguitate e massacrate nei secoli. E contemporaneamente con l’ambiente delle nostre origini, minacciato ora più che mai dal sovrasfruttamento delle risorse, dall’inquinamento e dal cambiamento climatico. Non a caso, vi è un punto del testo in cui il passato si affaccia sul nostro presente e sul futuro che ci attende.  Se la cultura contemporanea ha perduto quasi totalmente la forma e i contenuti delle composizioni degli arawicus, i poeti erranti dell’Impero Inca, grazie ai frammenti citati nelle cronache dell’epoca sappiamo come fossero importanti per loro le allegorie sacre, il retaggio di saggezza tramandato dagli antenati, la presenza del divino nei cicli naturali e in ogni azione, in ogni pensiero degli esseri umani. Selva di luce eredita quella profonda affinità fra noi e il cosmo, quella sincronicità ineffabile che solo il linguaggio della poesia narrativa è capace di esprimere”. 

Oltre che poeti, gli autori sono difensori dei diritti umani. “Conosciamo la vulnerabilità dei popoli di minoranza di fronte al potere, perché abbiamo vissuto a stretto contatto con comunità perseguitate a causa della loro diversità. E abbiamo operato per tutelare i loro diritti, insieme ai più importanti attivisti, autori e testimoni impegnati a difesa dei popoli indigeni, dei diritti delle minoranze etniche e della loro memoria”.

L’introduzione si conclude con le parole di Rigoberta Menchú, Premio Nobel per la Pace 1992, che gli autori hanno incontrato a Pesaro nel 2008:

“Il mondo non deve dimenticare i genocidi che hanno colpito i popoli indigeni e le minoranze etniche. È una parte fondamentale delle nostra storia che non possiamo permetterci di smarrire, pena che la menzogna, l’avidità e la crudeltà vincano ancora, condannandoci a ripetere le atrocità del passato. I popoli più deboli sono colpiti ancora oggi da intimidazioni e violenze ed è importante che i responsabili di tali crimini siano perseguiti e condannati nei tribunali. Politica, giustizia, cultura e informazione devono essere unite nelle denuncia e nella condanna dei delitti contro le minoranze etniche. Se non vi è giustizia, la dignità, la memoria e l’esistenza stessa delle vittime sono messe in pericolo e le convenzioni internazionali che proteggono i popoli più deboli perdono qualsiasi efficacia, mentre trionfano l’abuso e l’iniquità. Chi espropria e perseguita i popoli indigeni lo fa sempre per un interesse economico e ritroviamo spesso i responsabili di quegli abusi tra le fila del crimine organizzato e nel sistema della corruzione. Non esiste altro modo, se vogliamo salvare le minoranze indigene, che quello di garantire loro il diritto alla terra, alla salute, all’istruzione, alle tradizioni. Nelle tradizioni vi sono la spiritualità di una comunità etnica, il suo rapporto con gli antenati e i miti delle origini. Proteggere le tradizioni di un popolo significa proteggerne l’identità più autentica”. 

 

Scheda del libro

Autori: Roberto Malini e Steed Gamero

Titolo: Selva di luce

Genere: Romanzo poetico

Editori: Lavinia Dickinson Edizioni, Pesaro 2020 (versioni cartacea ed e-book); LibriVivi, Caronno Pertusella 2020 (audiolibro)

Pagine: 238

ISBN: 978-88-944487-9-5

 

Note biografiche

Roberto Malini è nato a Milano nel 1959. Poeta laureato, scrittore, artista e difensore dei diritti umani, è cofondatore e leader di EveryOne Group, organizzazione umanitaria internazionale. Ha pubblicato raccolte di poesia, traduzioni, opere di narrativa, saggi e sceneggiature per il cinema e la televisione. Ha ricevuto importanti riconoscimenti letterari, artistici, cinematografici e civili in Italia e all’estero. Tradotto nelle principali lingue, è presente su antologie internazionali. Studioso della Shoah ed educatore alla Memoria, collabora in tale àmbito con i principali istituti e memoriali. Ha raccolto e donato al Museo Internazionale della Shoah di Roma e alla Cittadella della Musica Concentrazionaria di Barletta due importanti collezioni di opere d’arte realizzate da pittori, scultori e incisori ebrei scomparsi nei campi di sterminio o sopravvissuti all’Olocausto. A causa del suo impegno e dei suoi scritti che difendono le minoranze discriminate, ha subito gravi forme di persecuzione giudiziaria e di censura, denunciate nei Rapporti annuali dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Collabora con gli Alti Commissari delle Nazioni Unite per i Profughi e per i Diritti Umani, l’Unicef, il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea, la Commissione europea e altri organismi che tutelano la libertà e i diritti civili. È membro o socio onorario di importanti associazioni e accademie letterarie e artistiche. 

Steed Gamero è nato a Lima (Perú) nel 1988. Vive in Italia dal 1999 e dal 2014 ha anche nazionalità italiana. Nel suo lavoro letterario, scrive indifferentemente in italiano e spagnolo. Poeta, scrittore e fotografo, ha ricevuto numerosi riconoscimenti letterari nazionali e internazionali per le sue opere di poesia I ragazzi della Casa del Sole Maestro del sogno. La parlamentare europea Viktória Mohácsi l’ha definito “artista dei diritti umani”. Attivista umanitario nel Gruppo EveryOne, partecipa all’organizzazione di eventi per il movimento di poesia globale 100 Thousand Poets for Change. È diplomato in sceneggiatura del fumetto, un campo nel quale ha realizzato lavori d’autore molto apprezzati, fra i quali – insieme a Jon Foster, Dario Picciau e Roberto Malini – il graphic novel Sulphur & Dana (Milano, 2006), encomiato dalla società Apple come una pietra miliare del nuovo fumetto. Fotografo apprezzato a livello internazionale, ha tenuto mostre in Italia e all’estero, riscuotendo importanti consensi e sollevando un dibattito internazionale sui diritti delle minoranze etniche e dei gruppi sociali colpiti da discriminazione. È stato invitato a presentare e leggere le sue poesie presso i Consolati Generali del Perù e dell’Ecuador e ogni anno partecipa a festival di poesia ed eventi di cultura e civiltà.

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Curiosità

L’importanza dell’attività all’aria aperta: un presidio – negato – a difesa della salute di tutti

 

“Se potete, uscite di casa per fare attività fisica. Durante questo momento difficile, è importante continuare a prendersi cura della propria salute fisica e mentale. Questo non solo ti aiuterà a lungo termine, ma ti aiuterà anche a combattere Covid-19, in caso di contagio. In questo senso passeggiate e corse, se fatte con buon senso, rappresentano un importante presidio sanitario”. È scritto in un comunicato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, datato 21 marzo 2020.

L’Oms è perfettamente consapevole di come si diffonde il virus: negli ambienti chiusi o affollati, negli ospedali, sui mezzi di trasporto e nei luoghi di lavoro (quando non si fa disinfezione in modo efficace non si dispone di presidi anti-contagio di ultima generazione). Ed è consapevole di come la segregazione totale, in certi paesi, è causa di malattie fisiche e psichiche, nonché di un indebolimento del sistema immunitario. Il “runner”, però, o la persona che cammina per tenersi in forma psico-fisica a distanza di sicurezza e spesso con la mascherina, è il capro espiatorio dell’inadeguatezza istituzionale di fronte alla pandemia.

 

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Associazioni

COVID-19, mortalità troppo alta in Italia: appello da EveryOne Group a OMS e Nazioni Unite

Riceviamo dall’amico Roberto, la sua denuncia internazionale
Pesaro, 12 marzo 2020

EveryOne Group, fra le prime organizzazioni umanitarie che hanno chiesto severe misure di contenimento nei paesi colpiti dall’epidemia di COVID-19, sul modello di quelle adottate in Cina (fatto salvo il rispetto dei diritti fondamentali della persona), ha trasmeso un appello urgente all’Organizzazione Mondiale della Sanità e al Segretario Generale delle Nazioni Unite. 
Gli operatori umanitari di EveryOne rilevano attualmente un dato preoccupante nella gestione del fenomeno epidemico in Italia. Negli ultimi giorni la percentuale di mortalità che colpisce le persone infette ha superato abbondantemente il livello di guardia e in Italia la gente muore di COVID-19 in misura assai più elevata di come non sia avvenuto in Cina quando i contagi imperversavano. Notiamo come vi sia carenza di presidi sanitari e attrezzature negli ospedali italiani e come essi non seguano un protocollo teraputico coordinato. Il sistema sanitario cinese ha operato in sinergia, avvalendosi di volta in volta dei farmaci rivelatisi più efficaci e ottimizzando l’opera dei medici e di tutto il personale sanitario. EveryOne, come l’intero popolo italiano, apprezza l’enorme lavoro dei medici e degli infermieri del nostro paese, che in condizioni difficilissime compiono veri e propri miracoli. Il tasso di mortalità così alto non è certo collegato alla loro professionalità, ma proprio alla precarietà delle condizioni in cui operano. Nel testo dell’appello all’Organizzazione Mondiale della Sanità e al Segretario Generale delle Nazioni Unite, EveryOne Group chiede a tali istituzioni internazionali di aiutare il nostro paese ad avvalersi delle preziose esperienze che sono attualmente patrimonio del sistema sanitario cinese, le cui scelte terapeutiche, messe a punto su un ampio campione di pazienti, hanno salvato e salvano migliaia di vite. Dobbiamo avvalerci in Italia e in tutte le nazioni colpite dal COVID-19 di connessioni internazionali, dei farmaci e dei modelli terapeutici che hanno limitato la mortalità degli infetti in Cina, con protocolli comuni sempre aggiornati in base all’esperienza e alla ricerca sanitaria internazionali.