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Coronavirus, la querelle sulla idrossiclorochina continua, risposta al The Lancet

Oggi abbiamo inviato tramite email con ricevuta lettera al The Lancet e all’Organizzazione Mondiale della Sanità, firmata da 80 medici tra cui cattedratici e pubblicisti internazionali.

È stata “smontata” dal punto di vista medico scientifico relativo alle patologie e dal punto di vista statistico relativo alla tipologia dei dati raccolti lo studio di Mandeep Mehra e altri sulla base del quale l’OMS aveva introdotto la direttiva di sospensione di idrossiclorochina SOLO per pazienti Covid-19.
Alcuni giorni fa, 120 scienziati di tutto il mondo (ma non italiani) avevano mosso dubbi e perplessità riguardo la procedura e la metodologia nella raccolta dei dati. Noi siamo entrati nel merito del punto nodale : cioè decessi per cardiopatie a seguito assunzione di idrossiclorochina, chiarendo, oltre ogni ragionevole dubbio, che sulla base di quello studio NON è possibile attribuire all’assunzione di idrossiclorochina le cardiopatie e i decessi. È stato indicato, invece, come la relazione sussista piuttosto tra patologia virale in fase avanzata oppure pregresse patologie cardiache e cardiopatie e decessi rilevati dallo studio.
Oltre ad essere giunti ad una dimostrazione che NON PUÒ NON CAMBIARE il corso degli eventi, è stato importante che si sia levata la voce di medici italiani che per numero di casi trattati ha una autorevolezza internazionalmente riconosciuta.

Mauro Rango

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Scienza

COVID-19, lo studio: molto più di una polmonite, è un’infiammazione vascolare sistemica dei vasi sanguigni

COVID-19, lo studio: molto più di una polmonite, è un’infiammazione vascolare sistemica dei vasi sanguigni che può interessare il cuore, il cervello, i polmoni, i reni o ancora l’apparato digerente. Lo studio dell’Ospedale universitario di Zurigo è stato pubblicato nella rivista medica britannica ” The Lancet”

Il COVID-19 è molto più di una polmonite. Secondo uno studio di ricercatori svizzeri, si tratta di un’infiammazione vascolare sistemica. Questo spiegherebbe perché la malattia provochi così tanti problemi cardiovascolari e insufficienze agli organi vitali. I primi pazienti presentavano soprattutto polmoniti difficili da trattare, indica l’Ospedale universitario di Zurigo (USZ) in una nota odierna. In seguito, i medici hanno vieppiù constatato casi di disturbi cardiovascolari e di collassi multipli di organi senza un legame apparente con la polmonite. Il team di Zsuzsanna Varga presso l’USZ ha quindi esaminato al microscopio campioni di tessuti di pazienti deceduti e ha constatato come l’infiammazione tocchi l’endotelio, la parete interna dei vasi sanguigni, di diversi organi. Il virus SARS-CoV-2 ha potuto essere individuato nello stesso endotelio, in cui causa la morte delle cellule, poi dei tessuti e degli organi vitali. I ricercatori ne deducono che il virus non attacca il sistema immunitario attraverso i polmoni, ma direttamente attraverso i recettori ACE2 presenti nell’endotelio, che perde così la sua funzione protettrice. «La malattia COVID-19 può toccare i vasi sanguigni di tutti gli organi», riassume Frank Ruschitzka, direttore della clinica di cardiologia presso l’USZ, che suggerisce di ribattezzare questo quadro clinico «COVID-endoteliale».Si tratta di un’infiammazione sistemica dei vasi sanguigni che può interessare il cuore, il cervello, i polmoni, i reni o ancora l’apparato digerente. Genera inoltre gravi micro-perturbazioni della circolazione sanguigna che possono danneggiare il cuore o provocare embolie polmonari, e persino ostruire i vasi sanguigni nel cervello o nel sistema gastro-intestinale, sottolinea l’USZ. Se l’endotelio dei giovani pazienti si difende bene, lo stesso non si può dire di quelli a rischio che soffrono di ipertensione, diabete o malattie cardiovascolari, la cui caratteristica comune è una funzione endoteliale ridotta. A livello terapeutico, , evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, ciò significa che occorre combattere la moltiplicazione del virus e nel contempo proteggere il sistema vascolare dei pazienti, conclude il professor Ruschitzka, citato nel comunicato. Tali studi sono stati pubblicati nella rivista medica britannica “The Lancet”.