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‘Ndrangheta in Lombardia, operazione dei Comandi Provinciali di Monza Brianza e Como

Nelle prime ore dell’11 giugno 2020, i militari dei Comandi Provinciali di Monza Brianza e Como, col supporto di quelli dei Reparti territorialmente competenti, dei Nuclei Cinofili di Casatenovo (LC), Orio al Serio (BG) e Pesaro (PU) nonché del  2° Nucleo Elicotteri, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare – emessa dal G.I.P. del Tribunale di Milano – nei confronti di 22 soggetti, di cui 21 italiani e un serbo (16 misure di custodia cautelare in carcere, 4 agli arresti domiciliari, 2 obbligo di dimora), ritenuti, a vario titolo, responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, tutti reati commessi con l’utilizzo del metodo mafioso, nonché detenzione e porto abusivo di armi ed associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

L’operazione è frutto di due complesse e vaste indagini, confluite in un’unica attività investigativa, svolte, con il coordinamento della D.D.A. di Milano (Procuratore Aggiunto dott.ssa Alessandra Dolci, Sostituti Procuratori dott.ssa Cecilia Vassena e dott.ssa Sara Ombra) rispettivamente, dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Monza e dal Nucleo Operativo Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Cantù, che  hanno ricostruito, talvolta, gli stessi episodi delittuosi da prospettive diverse pervenendo, in assoluta autonomia, a risultati analoghi.

Da un lato l’indagine ha approfondito le dinamiche criminali della locale di Seregno operante nei comuni di Seregno, Desio, Giussano, Verano Brianza, Carate Brianza, Meda e Mariano Comense, locale che, nonostante le pesanti condanne subite dai suoi appartenenti a seguito dell’operazione Infinito, si è dimostrata ancora fortemente radicata nel territorio, dall’altro ha consentito di documentare ancora una volta il capillare e totale controllo da parte della ’ndrangheta nelle attività economiche del territorio con particolare riferimento, questa volta, al “business” dei servizi di sicurezza nei locali di pubblico intrattenimento ubicati nelle province di Como, Monza Brianza e Milano e all’attività dei rivenditori ambulanti di panini per i quali è la ‘ndrangheta a decidere le postazione e a dirimere eventuali controversie sorte tra i rivenditori ambulanti.

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Nessun reato per chi offende nella chat video o vocale di gruppo.

Nessun reato per chi offende nella chat video o vocale di gruppo. È possibile la configurazione della sola ingiuria. Ma è stata depenalizzata Ormai le chat di gruppo sono diventate uno degli strumenti più utilizzati per la comunicazione fra più soggetti. Uno dei problemi principali che si pone però, non è solo l’utilizzo eccessivo di queste forme di nuova interlocuzione fra persone che sta comportando interrogativi di ordine sociologico circa la smisurata amplificazione della “virtualità” rispetto ai rapporti della vita reale, ma è purtroppo l’insussistenza di regole certe, se non quelle del sentire comune o di quelle più generali stabilite dalla legge che c’invita a riflettere sulla necessità di adottare comportamenti corretti e comunque che non travalichino le condotte che si dovrebbero avere normalmente. Anche se nel mondo dei social, troppi, nascosti dietro lo schermo di un dispositivo, perdono i freni inibitori. A ciascuno di noi, quindi, più che dalle norme vigenti è imposto dal buon senso e dalla buona educazione, evitare insulti nei confronti degli altri. Una sentenza, la n. 10905, pubblicata oggi 31 marzo 2020 dalla Corte di Cassazione, si muove proprio in tal senso nel momento in cui ha stabilito che offendere qualcuno nell’ambito di un chat video o vocale di gruppo non integra alcuna fattispecie di reato. Nella fattispecie, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, la Suprema Corte nel ribaltare le sentenze di primo grado del Tribunale di Monza e di secondo, della Corte d’Appello del capoluogo di regione lombardo, ha assolto un giovane che aveva pubblicamente offeso un membro della chat video alla quale avevano preso parte. Tutt’al più, nel caso in questione si sarebbe potuta configurare un’ingiuria che, però, com’è noto, è stata di recente depenalizzata. Nella succinta, ma oltremodo chiara motivazione, i giudici di Piazza Cavour hanno rilevato che è «stato accertato che le espressioni offensive sono state pronunciate dall’imputato mediante comunicazione telematica diretta alla persona offesa, e alla presenza, altresì, di altre persone “invitate” nella chat vocale. Ciò posto, va rammentato che l’elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell‘ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all’offeso, mentre nella diffamazione l’offesa resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore». Nel caso in questione, dunque, «il fatto, così come accertato dai giudici di merito, deve essere qualificato come ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, ai sensi dell’art. 594, c.p., c.p., che, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. C), d.lgs. 15.1.2016 n. 7, è stato depenalizzato; la sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio, perché il fatto, così riqualificato, non è più previsto dalla legge come reato». L’ovvia conseguenza è l’assoluzione dell’imputato da ogni accusa.