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Lettere al direttore

Università dell’Insubria:la nostra sperimentazione non ha nulla a che vedere con quella ipotizzata a Padova

Gentili direttore e editore di Varese Press, 

in riferimento all’articolo apparso ieri sulla vostra testata, intitolato “Parte da Padova e non da Varese il test sulla saliva”,  proponiamo alcune considerazioni scientifiche di Lorenzo Azzi, il ricercatore  dell’Università dell’Insubria che con il professor Mauro Fasano ha ideato il test in questione.

La nostra sperimentazione non ha nulla a che vedere con quella ipotizzata a Padova e portata avanti in America: sono tecniche diverse con obiettivi differenti, che potrebbero anche rivelarsi complementari.

Nel nostro caso, stiamo sperimentando un test rapido della saliva per individuare la presenza di SARS-CoV-2 nel fluido organico in 10 minuti sfruttando la tecnica del Lateral flow immunoassay. È un test che, se validato, potrà essere effettuato direttamente nel punto di analisi, con una metodica non invasiva e ripetutamente nel tempo, con lo scopo di individuare quei pazienti asintomatici portatori dell’infezione che, con le loro goccioline di saliva, possono contribuire a diffondere ulteriormente il contagio.

Questo test, se si dimostrerà sensibile, potrà essere utilizzato nel giro di qualche settimana; se non risultasse altamente sensibile, sarà potenziato in tempi più lunghi per risultare utile nella fase post-epidemica, per ridurre il rischio di ondate epidemiche di ritorno, o per futuri episodi di emergenza virale.

È ovvio che, in ogni caso, qualora il test risultasse positivo in un soggetto analizzato, questi dovrà essere indirizzato ad un centro di diagnosi di secondo livello per effettuare il classico tampone nasofaringeo o le nuove tecniche di PCR veloce, incluse quelle salivari (o orofaringee) di cui si parla nella sperimentazione americana. Queste tecniche di laboratorio, tuttavia, non possono sostenere uno screening di massa continuativo nel tempo, sia in termini di costi ma soprattutto di intasamento dei centri e laboratori deputati alla diagnosi di questa e di altre malattie infettive.

Quello che noi auspichiamo, qualora la sperimentazione desse i risultati desiderati, è di affiancare i centri di secondo livello attraverso uno screening rapido di primo livello per individuare quei soggetti che altrimenti sfuggirebbero all’analisi mediante tampone nasofaringeo, che rimane oggi il gold standard per la diagnosi di Covid-19.