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Malpensa/Cargo.Finanza e Dogana: maxi sequestro di droga, 150 kg.

Sono stati sottoposti a sequestro oltre a 150 kg.di droga anche sciroppi, cioccolatini e biscotti alla cannabis, nonché numerose dosi di ecstasy.

Di importante supporto sono state le attività svolte dalle unità cinofile del Gruppo che, grazie all’infallibile fiuto dei cani antidroga e alle competenze e abilità professionali dei relativi conduttori, hanno consentito di individuare, tra migliaia di pacchi in arrivo in questo delicato e concitato periodo, in cui nell’area Cargo dell’aeroporto transitano quasi esclusivamente dispositivi sanitari (quali mascherine, tute protettive e guanti), le spedizioni sospette, meritevoli di più approfonditi e mirati controlli.

gdf varese

La Guardia di Finanza – attraverso un’attività di monitoraggio dei flussi postali ed espressi e grazie ad una attenta “analisi di rischio” basata sulla valutazione dei profili di pericolosità delle spedizioni in arrivo con voli Cargo all’aeroporto di Malpensa – ha sottoposto a sequestro decine di spedizioni al cui interno erano occultati complessivamente 150 Kg di sostanze stupefacenti.

Trattasi principalmente di khat, ma anche marijuana e hashish, provenienti rispettivamente dall’Africa orientale (Etiopia) e dagli Stati Uniti d’America (in particolare dalla California) e Spagna, con diversi transiti in altri Paesi a causa dall’attuale lockdown, ma anche di altre sostanze, quali l’ayahuasca la cd. droga degli sciamani, di recente approdata anche in Italia dal Perù, infuso psichedelico a base di diverse piante amazzoniche, in grado di indurre un potente effetto visionario, che ha già provocato diverse vittime nei soggetti che ne hanno fatto uso.

La notizia è clamorosa per la quantità di droga, ma anche e sopratutto per la grande professionalità e il lavoro di intelligence,  nonchè i contatti internazionali che non vengono citati per evidenti motivi, ma si capisce che un’operazione così importante non nasce dal  nulla.

Riuscire a  bloccare droga provenienti da tanti  e paesi diversi, America, Spagna, Perù e Africa, è importante perchè toglie terreno alle grandi organizzazioni criminali internazionali ma anche perchè limita i danni alla società civile, diminuendo i costi sociali, umani e sanitari di cui ci rendiamo conto quotidianamente con la lotta alle infezioni da coronavirus.

 Grazie agli militari guidati dal Ten. Col.Luigi Pardi

Giuseppe Criseo

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Cronaca

Arrestato in Ecuador narcotrafficante latitante dal 2018

( Filippo Polito ) Il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli, in stretta collaborazione con l’Ufficio dell’Esperto per la Sicurezza presso l’Ambasciata Italiana in Bogotà (Colombia) e con la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, ha individuato e fatto arrestare nella città di Manta (in Ecuador) un pericoloso narcotrafficante di origine campana, S.R., latitante da giugno 2018, da quando si era sottratto all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare disposta dal Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia.

In particolare, l’operazione è avvenuta nell’ambito di un’indagine condotta dagli specialisti del Gruppo di Investigazione Criminalità Organizzata (G.I.C.O.) di Napoli su un traffico internazionale di cocaina proveniente dal Sud America, in cui sarebbero coinvolti anche soggetti campani. Gli sviluppi investigativi emersi, nonché il coordinamento e supporto info-operativo assicurato dai citati Organismi interforze internazionali, hanno permesso, prima di identificare e localizzare il Rubino e, successivamente, di segnalarlo alla Polizia Nazionale Ecuadoriana.

All’atto del suo arresto il latitante ha esibito un documento di riconoscimento colombiano, rivelatosi falso, mentre a conferma della sua identità sono stati riscontrati i tatuaggi che erano stati descritti dall’Interpol per la ricerca in campo internazionale. La Corte Nazionale di Giustizia Ecuadoriana, attivata dai canali di collaborazione internazionale, ha ordinato la cattura per fini di estradizione del cittadino italiano, il quale verrà rimpatriato non appena espletato il previsto iter diplomatico.

S.R., secondo quanto emerso dalle indagini svolte a suo tempo dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Catanzaro nell’ambito operazione “Hermes 2016” e culminate nel provvedimento di cattura emesso dal Tribunale di Reggio Calabria, avrebbe gestito un grosso traffico internazionale di cocaina insieme alla compagna del boss della mafia catanese S.C. detto “Turi”. Attraverso trattative dirette con i narcotrafficanti sudamericani il R. avrebbe “piazzato” la cocaina a diversi acquirenti in Italia, tra i quali anche alcune cosche di ‘ndrangheta di primo piano come quella dei “Pelle-Vottari” di San Luca (RC).

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Cronaca

Associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari, fallimentari, societari e turbativa d’asta

( Filippo Polito )   La Procura della Repubblica di Milano, in data odierna, ha diramato un comunicato stampa relativo all’operazione di servizio Mala Compensatio condotta dal dipendente Gruppo Lecco. I finanzieri, coordinati dalla Procura meneghina, primo dipartimento specializzato in crisi di impresa, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari detentive ed interdittive emessa nei confronti di tredici soggetti indagati a vario titolo per associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più reati di natura tributaria, fallimentare, societaria nonché di turbativa d’asta. La principale delle numerose condotte illecite contestate è l’aver cagionato il fallimento di una società con sede in Milano ma operante in tutto il Territorio Nazionale nel settore delle rilevazioni ed analisi di mercato.

L’attività di indagine, infatti, ha consentito di accertare come la società potesse operare sul mercato con prezzi assolutamente concorrenziali derivanti soltanto dalla metodica e perdurevole evasione fiscale, annoverando fra i clienti anche importanti società quotate sui mercati azionari. La società dichiarata fallita nell’ottobre 2018 dal Tribunale di Milano, operava attraverso l’affitto dei rami d’azienda di ulteriori società, riconducibili ai medesimi soggetti, dichiarate fallite nel 2014, già pesantemente indebitate nei confronti dell’erario, ed in soli 4 anni di attività ha accumulato ulteriori debiti tributari per oltre 20 milioni di euro.

La sistematica omissione di ogni adempimento fiscale ha costituito per decenni, difatti, una forma di auto finanziamento; riprova di tale aspetto è la totale assenza, alla data del fallimento, di debiti verso istituti di credito. Gli amministratori della società, a partire dal 2017, stante la rilevante esposizione debitoria verso l’Erario si affidavano consapevolmente a sedicenti consulenti fiscali che aggravavano ulteriormente il dissesto, eseguendo compensazioni tributarie con crediti d’imposta del tutto inesistenti azzerando, solo fittiziamente, ogni pendenza con il Fisco.

Tale sistema di frode, ideato e posto in essere da un commercialista partenopeo già attinto nel 2018 da due diverse misure cautelari personali, si sostanziava principalmente nella:

  • individuazione di persone fisiche o giuridiche gravate da rifinanza 1levanti debiti tributari e previdenziali con proposta di risanamento delle posizioni debitorie mediante l’utilizzo in compensazione di crediti fiscali fittizi
  • predisposizione e trasmissione dei modelli F24 da parte dello stesso commercialista o suoi collaboratori. Mediante procedure standardizzate venivano utilizzati, infatti, in compensazione crediti tributari fittizi contrassegnati, ad esempio, dai codici tributo 1130 (somme a titolo d’imposte erariali rimborsate dal sostituto d’imposta a seguito di assistenza fiscale art. 15 comma 1 lettera A), ovvero, da codici tributi riferibili a società di capitali quando il soggetto beneficiario era in realtà una persona fisica
  • non corrispondenza dei crediti fiscali portati in compensazione con le dichiarazioni fiscali delle contribuenti beneficiari.

Da un lato, quindi, precedentemente al fallimento, gli amministratori della società procedevano al licenziamento collettivo di oltre 350 dipendenti (poi reintegrati dal Tribunale di Milano); dall’altro lato venivano accertati gravi fatti di mala gestio fra cui la distrazione di fondi societari verso Stati esteri, quali la Bulgaria ed il Perù, attraverso trasferimenti di denaro per oltre 4 milioni di euro privi di alcuna ragione economico – imprenditoriale ovvero prelievi ingiustificati di denaro dalle casse sociali per oltre 9 milioni di euro.

Un fatto sintomatico dello scellerato depauperamento degli attivi societari è l’aver annoverato, per anni, fra il personale dipendente della fallita anche un fratello del proprietario della società. Tale soggetto, beneficiario di regolare stipendio e di ogni benefit aziendale, da autovetture di lusso ad utenze cellulari, nella realtà dei fatti è stabilmente residente in Spagna da oltre 30 anni senza aver mai prestato alcuna attività lavorativa in favore della fallita.

Considerato il grave quadro indiziario il GIP del Tribunale di Milano, ha emesso 13 misure cautelari personali, di cui 2 in carcere, 7 agli arresti domiciliari e 4 misure interdittive disponendo contestualmente il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente per oltre 30 milioni di euro. Le attività di sequestro di conti correnti, beni immobili ed autovetture di lusso sono in corso sia sul Territorio Nazionale che negli stati della Bulgaria, Germania e Regno Unito con la collaborazione di EUROJUST e delle Autorità Giudiziarie Estere.

L’esecuzione della misura cautelare è stata eseguita nel pieno rispetto dell’emergenza sanitaria, con subdelega delle attività ai comandi territorialmente competenti in relazione alla residenza degli indagati, e, per quanto riguarda l’esecuzione delle due misure in carcere, con l’individuazione dell’istituto più idoneo.

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Cronaca

Confiscato l’ingente patrimonio di un noto imprenditore colluso con la ‘ndrangheta reggina e vibonese

( Filippo Polito ) Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, unitamente al Servizio Centrale Investigazione sulla Criminalità Organizzata e al Nucleo Speciale Polizia Valutaria, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Reggio Calabria – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Capo Giovanni Bombardieri, hanno eseguito un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, presieduta dalla Dott.ssa Ornella Pastore, con il quale è stata disposta, nei confronti dell’imprenditore edile vibonese R.A. cl. ‘37, ritenuto contiguo alle cosche di ‘ndrangheta del “Mancuso” di Limbadi (VV) e dei “Piromalli” di Gioia Tauro (RC), l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca del patrimonio a questi riconducibile – stimato, a suo tempo, in oltre 34 milioni di euro. Il citato R.A., altresì, riconosciuta a suo carico la pericolosità sociale – qualificata dalla contiguità alla ‘ndrangheta e dal ruolo di imprenditore a questa “colluso” – è stato sottoposto alla misura di prevenzione personale della Sorveglianza Speciale di P.S. con obbligo di soggiorno.

Nel dettaglio, il provvedimento eseguito si fonda sulle risultanze delle attività investigative poste in essere dalla Guardia di Finanza, da cui è emerso che l’imprenditore era, da tempo, in affari con la ‘ndrangheta, avendo avviato ed accresciuto le proprie attività grazie alla contiguità funzionale ed agli appoggi delle cosche “Piromalli” e “Mancuso” egemoni nei rispettivi territori e confederate tra loro attraverso accordi e cointeressenze economiche, così come si ricava dalle evidenze giudiziarie del processo cd. “Tirreno” e, da ultimo, del processo cd. “Mediterraneo”. Tale rapporto sinallagmatico con le cosche di riferimento, risalente ai primi anni Ottanta, ha sostenuto l’ascesa dell’imprenditore e nel contempo, ha favorito gli interessi dei sodalizi mafiosi, rafforzandone le capacità operative e di controllo del territorio.

La figura di R.A. è inizialmente emersa nell’ambito dell’operazione di polizia “Bucefalo”, condotta dai predetti Reparti e conclusasi con l’esecuzione, nel corso del 2015, di provvedimenti cautelari, personali e patrimoniali, nei confronti di n. 11 soggetti per il reato, tra gli altri, di associazione di tipo mafioso. In quel contesto, era emerso come l’assegnazione dei lavori per la realizzazione del “Parco Commerciale ANNUNZIATA” di Gioia Tauro (RC) fosse prerogativa esclusiva della cosca “Piromalli”, tanto da rappresentare uno dei motivi scatenanti la storica rottura dei rapporti tra la citata famiglia e la cosca “Molè”, storicamente legate da vincoli economici e di sangue. Nel corso di tale imponente realizzazione, all’impresa R. COSTRUZIONI S.p.a., riconducibile al citato R.A., erano stati assegnati consistenti lavori edili per la costruzione di diverse strutture e fabbricati.

Altresì, le investigazioni svolte, corroborate dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, hanno inoltre consentito di appurare come “…don A.R. …” non solo conoscesse da tempo i vertici della cosca “Mancuso”, ma li frequentasse e si rapportasse con loro, attraverso un rapporto duraturo e sinallagmatico tale da produrre reciproca collaborazione e reciproci vantaggi, aventi ad oggetto il comune interesse alla realizzazione di opere edili – sia pubbliche che private – nel territorio calabrese. In relazione alle attività di cui sopra, nel 2017, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della locale DDA, disponeva la misura cautelare del sequestro sull’ingente patrimonio illecitamente accumulato dall’imprenditore.

Al riguardo, le investigazioni a carattere economico/patrimoniale delegate dalla citata DDA ai predetti Reparti hanno consentito di delineare il profilo di pericolosità sociale qualificata del proposto, e ricostruito il complesso dei beni di cui R.A. e il suo nucleo familiare sono risultati poter disporre, direttamente o indirettamente, nell’ultimo trentennio, accertando la sproporzione esistente tra il profilo reddituale e quello patrimoniale. In tale ambito la ricostruzione dei flussi finanziari è stata determinante, anche perché agevolata dal supporto informativo contenuto in alcune segnalazioni di operazioni sospette pervenute al Nucleo valutario per fini di prevenzione antiriciclaggio. Lo sviluppo investigativo di tali preziose informazioni ha costituito un utile punto di riferimento su cui poter orientare le indagini ed aggredire i patrimoni di provenienza illecita.

Da tali approfondimenti, R.A. è risultato aver rivestito, nel tempo, il ruolo di “imprenditore colluso” con la ‘ndrangheta reggina e vibonese, tanto che il patrimonio accumulato è risultato essere il frutto o il reimpiego dei proventi di attività illecite. Alla luce di tali risultanze, su richiesta della stessa Direzione Distrettuale Antimafia, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria ha disposto, con l’odierno provvedimento, la confisca di prevenzione del patrimonio riconducibile all’imprenditore vibonese, costituito dall’intero patrimonio aziendale di diverse imprese, quote societarie, immobili e rapporti finanziari, all’epoca stimato in oltre 34 milioni di euro.

L’attività di servizio in rassegna costituisce efficace testimonianza della proficua azione della Guardia di Finanza finalizzata al contrasto dell’infiltrazione della criminalità organizzata di tipo ‘ndranghetistico nell’economia legale, nonché all’aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati.

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Cronaca

Operazione Iron coin – Smascherata frode fiscale da oltre 40 milioni di euro

( Filippo Polito ) Una maxi frode da oltre 40 Milioni di euro nel settore del commercio all’ingrosso di metalli ferrosi è stata scoperta dalle fiamme gialle pavesi. L’operazione“ IRON COIN”, coordinata dal Procuratore Aggiunto Mario Venditti e dal Sostituto Procuratore della Repubblica Valeria Biscottini, è scattata alle prime luci dell’alba di quest’oggi e ha disarticolato un’associazione a delinquere transnazionale capeggiata da due imprenditori italo-svizzeri.

In tutto sono sette le ordinanze eseguite quest’oggi. In carcere sono finiti i promotori della frode: due fratelli incensurati D.P e D.A. unitamente a F.C., ex direttore dell’ufficio postale 2 di Vigevano. Mentre ai domiciliari sono finiti i due figli dell’ex direttore e un’altra persona coinvolta nella maxi frode. Peculato, frode fiscale, uso indebito di carte di credito sono alcuni dei reati contestati, a vario titolo, ai membri dell’associazione a delinquere.

Le indagini sono state originate dall’approfondimento di operazioni sospette effettuate principalmente dall’ufficio postale vigevanese di cui il F.C. era direttore. Transazioni bancarie a sei zeri che non sono passate inosservate e che hanno spinto le Fiamme Gialle pavesi a scavare nei conti del direttore e dei suoi familiari.

È stato così scoperto un vortice di fatture false e bonifici in transito sui conti correnti di svariate società, tutte scatole vuote, aventi sede in Lombardia, Piemonte e Friuli Venezia-Giulia che celavano l’attività fraudolenta dei due fratelli italo-svizzeri, oggi arrestati, amministratori di una società anonima elvetica e veri dominus di una serie di società italiane ed estere – con sedi in Svizzera, Slovenia e Croazia -, operanti nel settore della lavorazione dei metalli ferrosi.

Scopo del milionario giro di fatture false era frodare l’IVA, che di fatto non veniva versata nelle casse dello Stato. I conti correnti, inoltre, erano collegati a decine di carte prepagate intestate a ignari clienti dell’ufficio postale a cui era stata rubata l’identità approfittando della momentanea disponibilità dei loro documenti acquisiti durante le operazioni di sportello.

L’operazione odierna conferma il costante impegno della Guardia di Finanza a tutela della legalità del libero mercato e della lecita concorrenza tramite il monitoraggio dei flussi finanziari e il controllo dei circuiti di pagamento.

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Cronaca

Maxi frode Iva e riciclaggio su scala internazionale – Sequestri per 110 milioni di euro

( F P )  Al termine di una complessa indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Perugia e condotta dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Perugia in collaborazione con il locale Ufficio delle Dogane, dalle prime luci dell’alba le Fiamme Gialle umbre stanno eseguendo, con l’ausilio dei colleghi della Compagnia di Legnano, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di tre soggetti, di cui due residenti nella provincia di Milano ed un romano da pochi giorni detenuto presso la casa circondariale di Pavia.

I tre sono ritenuti i principali artefici di una colossale “frode carosello” su scala internazionale nel settore dei carburanti, che ha consentito di sottrarre al fisco quasi 100 milioni di euro di IVA e di riciclare circa 10 milioni di euro di proventi illeciti. Da qui il sequestro preventivo disposto dal GIP di Perugia di beni (terreni, fabbricati, appartamenti, autoveicoli, imbarcazioni, quote societarie, titoli e disponibilità finanziarie, nonché carburante) fino ad un valore complessivo di 110 milioni di euro, in corso di esecuzione contestualmente agli arresti.

L’operazione odierna, denominata “Grifo Fuel”, costituisce l’epilogo di oltre due anni di indagini nei confronti di 50 persone e 33 società.

Tutto ha avuto inizio con un primo filone investigativo scaturito da un controllo fiscale avviato nei confronti di un’azienda umbra operante nella compravendita di carburante, da cui sono emersi rapporti commerciali “anomali” con numerose società sparse su tutto il territorio nazionale.

La meticolosa ricostruzione dei vari assetti societari, supportata dall’esecuzione delle tipiche attività di polizia economico-finanziaria quali indagini tecniche e finanziarie, perquisizioni e sequestri di documentazione nonché l’acquisizione di testimonianze, ha permesso di risalire a tre soggetti, di cui 2 umbri, componenti di un’associazione a delinquere dedita alla commissione di reati tributari con un giro di fatture false per oltre 100 milioni di euro, che ha portato, a luglio dello scorso anno, ad un primo sequestro per equivalente di circa 5 milioni di euro.

Questi, avvalendosi di società di “brokeraggio” appositamente create, hanno utilizzato compiacenti “prestanome” per strutturare e gestire varie catene societarie, costituite principalmente da società “cartiere”, anche note come “missing trader” e con sede in Campania, Lazio, Lombardia e Molise, su cui far ricadere l’I.V.A. mai versata nelle casse dell’Erario.

I successivi accertamenti scaturiti dal primo filone investigativo, portati avanti con analoghe metodologie investigative, hanno condotto ad un più ampio e sofisticato sistema di frode, con un vorticoso giro di fatture false di circa 700 milioni di euro, relative alla commercializzazione in Italia di prodotti petroliferi di origine comunitaria.

In particolare, l’attenzione si è concentrata prima sull’individuazione dei reali gestori dell’illecita filiera, attraverso la ricostruzione della catena di approvvigionamento del prodotto lungo l’asse estero/Italia, e successivamente a svelare i meccanismi di riciclaggio dei capitali frutto della frode, grazie all’espletamento di mirate indagini finanziarie.

In questo modo è stato possibile individuare altre due società di “brokeraggio”, che a loro volta si sono avvalse di ulteriori “cartiere”, con sede in Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria e Lombardia, create con l’unico scopo di interporsi all’interno della filiera di distribuzione del carburante tra i fornitori esteri e i reali cessionari nazionali. Ancora una volta, sulle “cartiere” sono confluiti gli obblighi fiscali, puntualmente disattesi, e l’omesso versamento dell’imposta ha permesso così – a monte – di generare un prezzo d’acquisto inferiore, con la consapevolezza di tutti gli attori.

Si tratta del meccanismo di frode maggiormente adottato dagli indagati, che sfrutta l’applicazione dell’IVA nel Paese di destinazione per gli acquisti di beni effettuati in ambito comunitario, prevista dalla normativa vigente. In realtà, l’I.V.A. incassata dalla “cartiera” dall’acquirente nazionale non viene versata nelle casse dell’Erario ma ripartita tra i partecipanti alla frode.

Negli altri casi, è stato riscontrato un differente meccanismo fraudolento: la “cartiera” non acquista direttamente da un fornitore comunitario ma, dichiarandosi “esportatore abituale” pur in assenza dei requisiti richiesti, acquista da un fornitore nazionale presentando la cd. “dichiarazione d’intento”. Con questo documento la “cartiera” attesta l’intenzione di avvalersi della facoltà, anch’essa normativamente prevista, di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione dell’I.V.A.

I proventi illecitamente ottenuti sono stati poi riciclati su conti correnti appositamente aperti in Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca e Slovenia ovvero trasferiti, dagli amministratori di fatto delle “cartiere”, in attività economiche ed imprenditoriali a loro riconducibili, alcune delle quali con sede negli stessi Stati esteri.

Proprio per arginare questo diffuso fenomeno criminale, che costituisce una delle principali cause del tax gap I.V.A. annuale pari, in media, a 36 miliardi di euro, il legislatore è recentemente intervenuto prevedendo sia l’obbligo di versamento dell’I.V.A. all’atto dell’estrazione o dell’immissione in consumo del carburante dai depositi fiscali, fatta salva la contemporanea presenza di specifici criteri di affidabilità e di idonea garanzia, sia l’inutilizzabilità delle dichiarazioni d’intento. Tuttavia, non potendo escludere casi di “aggiramento” fraudolento anche delle nuove norme, l’attenzione sulla tematica rimane elevata.

In conclusione, l’attività condotta dalla Guardia di Finanza umbra, in sinergia con il locale Ufficio delle Dogane, s’inquadra nelle rinnovate linee strategiche volte a rafforzare il contrasto e l’aggressione patrimoniale ai più complessi fenomeni di frode – anche su scala internazionale – ed alla tutela della collettività.

Tali comportamenti fraudolenti, che pervadono la struttura economica del Paese, generano infatti illeciti benefici patrimoniali in danno degli imprenditori onesti, che subiscono un evidente svantaggio concorrenziale dovuto al mancato versamento delle imposte.