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20mila migranti pronti ad imbarcarsi per l’Italia, blocco navale proposto da DelMastro

“Mentre il ministro Di Maio e’ impegnato a distribuire 450 milioni di euro per la cooperazione internazionale, il sultano Erdogan prima e’ intervenuto in Siria disarticolando un delicato equilibrio, poi ha proceduto a Cipro entrando nella zona esclusiva economica di una Nazione europea e infine e’ approdato in Libia marginalizzando l’Italia e divenendo il miglior alleato di Al Sarraji.

Nella migliore grammatica ricattatoria di Erdogan, oggi sappiamo dall’Aise che ci sono 20mila migranti pronti ad imbarcarsi per l’Italia e ad essere utilizzati come arma di ricatto di massa nei nostri confronti. La risposta che Di Maio da’, evocando la favoletta irenica dei ricollocamenti e una solidarieta’ europea che non arrivera’ mai, e’ di una inconsistenza disarmante.

L’unica riposta seria per disarticolare i trafficanti di esseri umani e quei traffici immondi e immorali era e rimane il blocco navale che Fratelli d’Italia chiede da anni”.

Cosi’ Andrea Delmastro, deputato di Fratelli d’Italia e capogruppo FdI in commissione Esteri, nel corso del question time al ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

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EUROPA & MONDO

ESTERI. LIBIA, DA GUERRA CIVILE A CONFLITTO REGIONALE. L’ITALIA OSSERVA …MENTRE TERMINA IL RAMADAN 2020.

Quale è lo scenario oggi in Libia? Questo breve contributo cercherà di definire la questione nelle sue molteplici sfaccettature.

Dopo la “primavera” del 2011, una guerra civile a bassa intensità ha infuriato in Libia. La conflittualità tra le parti in campo è però aumentata nel 2014 dopo che le opposte fazioni hanno ignorato i risultati delle elezioni parlamentari e costretto il governo riconosciuto a livello internazionale del Presidente Serraj a cercare rifugio nella Libia orientale.

Intanto l’antagonista di Serraj, il Generale Khalifa Haftar, comandante dell’esercito nazionale libico (LNA) aveva iniziato un’offensiva per porre fine a una campagna terroristica islamista a Bengasi.

Nel 2015, le Nazioni Unite hanno tentato di negoziare un accordo per cercare di dare legittimità al governo di accordo nazionale (GNA) che, trasferito a Tripoli nel marzo 2016, è da allora sotto il controllo, de facto, delle milizie di Tripoli e Misurata.

I libici al di fuori dell’area della Tripolitania non riconoscono il GNA e continuano a lamentarsi della distribuzione, di risorse e ricchezza, nonché dell’arricchimento definito “criminale” delle milizie nella regione della capitale.

Un’offensiva di Haftar su Tripoli nell’aprile dello scorso anno ha reso vana l’iniziativa delle Nazioni Unite per una conferenza nazionale libica a Ghadames dopo, che già erano fallite iniziative simili.

Il GNA ha capacità militari limitate e ha cercato e ottenuto aiuto, da Turchia e Qatar e come detto, è “gestito” dalle milizie Misurata che annoverano nelle loro unità un grande numero d’islamisti radicali, tra cui affiliati di Al Qaeda, che costituiscono la spina dorsale delle forze in campo.

Diverse centinaia di jihadisti inviati dalla Turchia provenienti dalla Siria hanno rinforzato il GNA all’inizio della battaglia per Tripoli.

Il trasferimento di mercenari terroristi ha sancito l’alleanza tra le milizie di Misurata, i più stretti alleati della Turchia in Libia, e i Fratelli Musulmani che hanno mantenuto una forte influenza sulla politica, sulla sicurezza e sull’economia della regione. LNA è composto, invece, da unità dell’esercito supportate da milizie eterogenee e i suoi principali sostenitori stranieri sono  l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti.

Definito lo scenario sul campo, è possibile asserire senza possibilità di smentita che la guerra civile in Libia è ora, dal punto di vista bellico, una guerra di logoramento con opposte fazioni che hanno capacità diverse. A oggi l’LNA sta soccombendo in quanto non è in grado di competere con le truppe filo-turche modernamente equipaggiate. Queste ultime  dispongono di droni da combattimento, capacità di guerra elettronica, artiglieria di precisione a lungo raggio, appoggio da navi da guerra e soprattutto, buona capacità di difesa aerea. Quindi dal 20 maggio, dopo aver riconquistato l’ultima base LNA rimasta nella Tripolitania occidentale, Al Wattiya, l’offensiva delle forze di Serraj ha acquisito slancio, mentre l’LNA cerca di consolidare le sue posizioni nel sud di Tripoli.

Tornando alla presenza internazionale nell’area è evidente che molti altri paesi, oltre a quelli già citati, hanno interessi strategici importanti.

La sicurezza occidentale è uno di questi interessi e riguarda principalmente l’attività dei vari gruppi islamisti. Le aree non controllate a ridosso dei confini sono “porose” e consentono numerosi traffici, tra cui quello di esseri umani. Vi sono inoltre interessi legati alla promozione della democrazia o dell’islam politico e infine, diversi paesi sono economicamente interessati allo sfruttamento degli idrocarburi.

Tra i vicini regionali della Libia ci sono Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar e a questi si aggiungono la Turchia, la Francia, l’Italia e la Russia.

L’instabile economia della Turchia ha bisogno della Libia come importante destinazione di esportazione e in tal senso si muove Ankara, con un occhio anche alla ricostruzione che, dovrà iniziare. Di conseguenza la sopravvivenza del GNA e un ruolo di primo piano per Misurata sono essenziali per gli interessi economici di turchi.

Anche il Qatar è un grande investitore in Libia. Sia il Qatar sia la Turchia stanno fornendo armi ed equipaggiamento militare a molte delle milizie pro-GNA, in particolare quelle di Misurata.

L’Egitto, il vicino più prossimo della Libia, sta osservando la crisi oltre il suo confine occidentale perché la Libia è ora un possibile rifugio per i terroristi. La Libia, non va dimenticato, è anche un importante mercato del lavoro per quasi un milione di egiziani.

L’Italia e la Francia hanno importanti interessi strategici in Libia, ma mentre, per Roma, l’economia (interessi ENI) e la migrazione dei clandestini sono i temi principali, la sicurezza regionale e l’antiterrorismo sono la priorità per Parigi. Per Mosca, invece, il caos in Libia è un’opportunità per riguadagnare influenza nell’area. La Russia è interessata a stabilire un “testa di ponte” nel Nord Africa per ottenere una quota del settore della ricostruzione e all’influenza sull’industria degli idrocarburi, in particolare il mercato del gas. Sebbene non vi siano interessi nazionali vitali americani in gioco in Libia, la sua instabilità costituisce una minaccia crescente per gli interessi statunitensi nella regione anche considerato l’atteso arrivo nell’area dei cinesi con interessi simili a quelli della Russia.

Dal punto di vista geopolitico “africano” nessuno, per ora, parla apertamente della possibilità che la Cirenaica si separi dal resto della Libia a seguito della sconfitta del LNA in Tripolitania o di un cessate il fuoco definitivo sotto egida ONU. Questo perché’ l’accordo marittimo turco-libico che tracciava le zone economiche esclusive, un accordo d’importanza cruciale per la Turchia, diverrebbe irrilevante tutto a favore del Cairo.

Se ci fosse, infatti, un’escalation militare tra Ankara e Il Cairo sulla Libia, l’Egitto è in una posizione privilegiata per fornire supporto logistico diretto senza rischio d’intercettazioni.

Gli aerei da combattimento, anche emiratini, sarebbero in grado di attaccare obiettivi in tutta la Libia direttamente dalle basi dell’Egitto occidentale. Anche le forze di terra egiziane potrebbero intervenire se necessario, inoltre gli aerei da trasporto turchi, i droni o i combattenti presenti in Libia potrebbero essere facilmente intercettati e neutralizzati.

Nel complesso scacchiere appena descritto, si deve sperare che la Turchia non diventi il partner economico favorito della Libia (occidentale) perché’ questo danneggerebbe fortemente la posizione delle varie parti interessate europee, in particolare Italia e Francia.

La Turchia acquisirebbe inoltre una posizione più importante sul mercato europeo del gas e sarebbe in grado di influenzare le consegne attraverso il gasdotto Green Stream (gestione ENI) che attraversa la Libia occidentale verso l’Italia. Inoltre, la Turchia sarebbe in grado di controllare anche i flussi migratori dal Mediterraneo orientale verso l’Europa. Ciò aumenterà in modo significativo la sua capacità di esercitare pressioni sull’UE come già ha fatto nei mesi scorsi al confine con la Grecia e la Bulgaria.

La Turchia potrebbe continuare a espandere la sua influenza politica ed economica verso la Tunisia, l’Algeria e gli stati del Sahara meridionale. Ciò includerebbe probabilmente il sostegno a gruppi, come i Fratelli musulmani, e ciò sarebbe la causa di un possibile ulteriore attrito con la Francia.

In conclusione la guerra civile della Libia, nata come una questione interna, è diventata nel tempo una tipica guerra per procura. Il supporto internazionale è fondamentale per entrambe le parti e non si prevede una fine imminente. Come del resto non vi è a breve la possibilità di una “posizione internazionale unificata sulla Libia” o di una “risoluzione tra le due parti  principali” perché’ percepita come “unificazione di tutti gli sforzi contro l’LNA”.

Il presidente turco Erdogan è convinto di uscirne vincitore, e per questo sta profondendosi in sforzi militari ed economici. L’Egitto è riluttante a essere coinvolto in quello che potrebbe essere un conflitto prolungato e costoso. La Russia ha capacità di proiezione oggi limitate ed evita di coinvolgere direttamente le forze armate turche in Siria e quindi è titubante a farlo in Libia.

Un accordo politico/diplomatico è oggi meno probabile rispetto a una decisione militare, ma con la potenziale sconfitta dell’LNA da parte di Serraj ed Erdoğan, non si risolverebbero i problemi della Libia. In effetti, la situazione potrebbe aggravarsi e portare a un conflitto regionale lasciando l’Europa e gli Stati Uniti e quindi la NATO (meno la Turchia) a convivere con il risultato.

L’Italia e il suo governo continuano una politica di basso profilo, come se uno degli effetti collaterali del contrato al Virus di Wuhan fosse creare crisi di sonno.

Mentre il mondo arabo festeggia la fine del mese sacro del Ramadan e si interroga sul suo futuro, la Turchia, se non bastasse quanto combina in Libia e Corno d’Africa, provoca la vicina Grecia fingendo di occupare per errore lembi di territorio sul confine, la Cina comunista compra aree commerciali importanti a Taranto (dove c’e’ anche la base principale della nostra Marina Militare), dichiara di essere a un passo dalla seconda “guerra fredda” e minaccia la democratica Taiwan di “riunificarla”, i paesi “amici rigoristi” del nord Europa creano problemi agli aiuti potenziali in arrivo da Brussels , in Italia forse sarebbe il caso di fare “politica estera”.

Invito a riflettere sull’ affermazione di Henry Kissinger: “Quando è in atto una crisi, la passività non fa che accrescere l’impotenza: alla fine ci si trova costretti ad agire proprio sui problemi e nelle condizioni di gran lunga meno favorevoli.”

Generale Giuseppe Morabito

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EUROPA & MONDO

Esteri. LIBIA, ARMI E CINA COMUNISTA. CAMBIA QUALCOSA O FORSE NULLA.

Negli ultimi anni la Cina Popolare è stata sempre più desiderosa di incrementare il commercio di armi e questo, per le sue industrie belliche, significa vendere estensivamente droni oltre alle armi di piccolo e medio calibro. Da numerosissime fonti e da prove “sul campo” è ormai certo che le armi cinesi sono utilizzate e vendute in tutto il mondo, compresa la Libia.   In particolare i resti di un missile, di quasi certa fabbricazione cinese, indicano un’escalation della guerra dei droni in quell’area di guerra.  

Infatti, è stato ritrovato un missile LJ-7 che è l’armamento principale del drone Wing Loong di fabbricazione cinese. Il Wing Loong, che ha caratteristiche simili al drone Predator prodotto dagli Stati Uniti, è stato venduto ed è in linea di utilizzo da parte di alcune forze aeree del Medio Oriente, comprese quelle dell’Egitto, degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita. Non un caso, che sia l’Egitto sia Emirati Arabi Uniti stanno dando supporto logistico in Libia, alla fazione dell’Esercito Nazionale libico guidata dal signore della guerra Khalifa Haftar che sta combattendo contro il governo di accordo nazionale sostenuto politicamente dalle Nazioni Unite e ultimamente, sul campo di battaglia, da milizie turcomanne inviate da Ankara.

Gli Emirati hanno finanziato la costruzione della base aerea di Al Khadim, un ex aeroporto nella provincia di Al Marj, nella Libia orientale, e dal 2016 dispiegano nella base aerei di attacco e Wing Loong al fine di fornire la copertura aerea per le forze di Haftar.

La Cina comunista, è noto, sta promuovendo lo sviluppo e l’impiego di droni e secondo fonti del Pentagono alcune stime indicano che Pechino prevede di produrre oltre 42.000 sistemi senza pilota terrestri e marittimi entro il 2023. In merito, la RAND Corporation, un think tank californiano con stretti legami con l’US Air Force, ha reso noto che la diffusione dei droni cinesi potrebbe avere implicazioni preoccupanti anche per gli Stati Uniti.

In queste ore i tre principali Paesi dell’Unione Europea, finalmente in accorso su un argomento di politica estera e supportati dal rappresentante della politica estera europeo, chiedono una tregua umanitaria in Libia. Italia, Francia e Germania hanno aggiunto la loro voce a quella dell’ONU per chiedere di fermare le armi durante il mese sacro del Ramadan. 

La logica, supportata dalla storia recente, nel 2019 durante il Ramadan la carneficina libica non ha avuto soluzione di continuità, indica che sia solo una dichiarazione di facciata per dire “noi abbiamo provato”!

Dove non è riuscito il “Virus di Wuhan”, non è ipotizzabile riesca il Mese Sacro dell’Islam soprattutto ora che i combattimenti volgono a favore delle forze governative sostenute dai “tagliagole” di Erdogan.

Come noto le unità fedeli a Serraj hanno circondato Tarhuna, un’importante città tenuta dalle milizie del Generale Haftar e hanno la vittoria a portata di mano.

Nessun analista onesto punterebbe un euro su una tregua in questo scenario, anche se le Nazioni Unite lanciano nuovamente l’allarme dichiarando, dopo aver ripetuto la richiesta di una tregua, che “La Libia sta diventando un campo di sperimentazione per nuovi sistemi d’arma”.

In pratica, come se fosse una cosa non nota da tempo, si evidenzia che, violando l’embargo delle Nazioni Unite, in queste ore continuano ad arrivare in Libia armi tra cui alcune che ancora non erano state sperimentate in quell’area di combattimenti.

È quindi logico che la Cina continui a cercare di trasferire quote d’influenza nell’area. Certamente è una “balla notevole” quella fatta circolare che la Cina comunista s’interessi ora di Libia superata la crisi creata dal suo virus.

È più onesto dire che Pechino continua la sua opera di penetrazione, mai interrotta.

Logicamente i cinesi cercano di occupare aree d’influenza geografico/economiche di cui i paesi europei (questo si) si sono “temporaneamente dimenticati”.

Dove si lascia spazio per incertezze o mancata convergenza d’intenti, i cinesi “occupano spazi”, come hanno già fatto in Libia sia Putin sia Erdogan approfittando dell’assenza di democrazia interna ai loro paesi e quindi della possibilità di agire in politica estera in modo scorretto, senza opposizione.

Un esempio di carenza di informazioni e democrazia è il constatare che poco si sa degli effetti del CV 19 in Turchia e credo non lo sappiano sfortunatamente neppure i cittadini turchi.

Putin, da parte sua, continua a supportare Haftar anche inviando a suo supporto mercenari siriani che hanno già combattuto contro i terroristi ex ISIS al soldo di Ankara e ora a difesa di Tripoli e Serraj.

Quello che, presumibilmente, interessa alla Cina in Libia si può sintetizzare in due elementi: petrolio e ricostruzione.

Anche se oggi, dati i bassi prezzi e la crisi di consumi in occidente, Pechino, approfittando della contingenza del mercato, ha “riempito” le sue aree di stoccaggio, la situazione, prima o poi, tornerà alla normalità e avere un piede ben messo nella regione consentirebbe alle compagnie cinesi di acquisire quote di mercato del tanto necessario “carburante” dell’economia cinese.

Questo a scapito soprattutto dell’Italia.

E siccome, prima o poi, bisognerà pur dare inizio alla ricostruzione post guerra in tutta la Libia, la Cina comunista non disdegnerebbe l’idea di partecipare all’appalto dell’opera e forse, poi, acquisire un porto nel sud Mediterraneo.

Non va dimenticato infine che nel caso in cui in Cina si verificasse un altro stop di produzione, come avvenuto con l’emergenza CV19, questo sarebbe un grave problema per i paesi che hanno esportato parte o tutta la produzione di qualche filiera commerciale in quel paese. Per non cadere quindi, nuovamente, in crisi di approvvigionamenti di parti di manufatti o prodotti finiti, qualche nazione si sta già adoperando per raggiungere l’obiettivo di non dipendere completamente o in gran parte da Pechino.

Anche gli Stati Uniti e l’Europa potrebbero rientrare in questo gruppo e si stanno dando da fare per raggiungere quest’obiettivo perché’ il “Virus di Wuhan” sembrerebbe aver fatto vedere anche all’Europa, forse anche a Roma, che affidarsi a un solo Paese, in questo caso la Cina, non conviene, e potrebbe avvicinarsi alle teorie protezionistiche del Presidente Trump.

Alcuni economisti ipotizzano che se lo stesso approccio fosse applicato alla maggior parte dei segmenti di produzione, comprese le armi, allora l’approccio dalla Cina come la “fabbrica del mondo” potrebbe rapidamente entrare in crisi.

La Cina deve far quindi presto a trovare alternative commerciali e di sviluppo anche a ridosso dell’Europa, la Libia con il suo petrolio e le sue estese coste nel Mare Nostrum potrebbe essere una di queste.

Giuseppe Morabito

Già vice Capo di Stato Maggiore per le operazioni SFOR

Membro del collegio dei Direttori della NATO Defense College Foundation (NDCF)