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Il coronavirus somiglia all’influenza di Hong Kong del 1968.

Il coronavirus somiglia all’influenza di Hong Kong del 1968. Ne piangiamo i morti e contemporaneamente ci chiediamo quali altri danni procuri a tutti noi

 di Roberto Malini, scrittore, co-presidente di EveryOne Group

 
Pesaro, 31 marzo 2020. I dati forniti nei giorni scorsi dal Dipartimento di Infettivologia ed Epidemiologia del qualificato Imperial College di Londra ci forniscono una stima attendibile relativa al numero di persone che sono state infettate dal coronavirus, in Italia, dall’inizio della pandemia al 28 marzo 2020. Si tratta del 9,8% dell’intera popolazione italiana, vale a dire, circa sei milioni di persone. Il virologo Roberto Burioni commenta il dato nella sua pagina Facebook “Medial Facts”: “Capite perché i numeri che sentite in tv ogni giorno alle 18 non hanno molto significato?”. Ha ragione. In base ai numeri diffusi dall’istituto londinese, risulta un fatto che il buon senso ci suggeriva da molti giorni: non esiste una differenza marcata, riguardo alla mortalità da coronavirus, nei diversi paesi colpiti dall’epidemia. Quindi, mentre oggi siamo convinti di avere nel nostro paese una mortalità da Covid-19 del 10%, mentre vediamo nazioni in cui essa è intorno all’1%, la realtà ci dice che la differenza le diverse comunità nazionali è molto più ridotta e ricorda i dati delle ultime pandemie del secolo scorso: l’influenza asiatica, pandemia degli anni 1957-60, che ebbe una mortalità di circa lo 0,2% e la pandemia di Hong Kong (1968/69), – di cui chi scrive si ammalò da bambino – e dove il nuovo virus A/H3N2 rimpiazzò l’A/H2N2 e fu causa di una mortalità simile al suo predecessore. 
 
Germania, Danimarca, Francia, Regno Unito registrano attualmente un numero di contagi decisamente inferiore all’Italia ed è per questo (mentre solo in misura minore ha inciso finora l’efficienza dei loro sistemi sanitari) che contano meno vittime. Il grande virologo francese Didier Raoult aveva già preannunciato qualche tempo fa che la pandemia da Covid-19 sarebbe stata in linea, in quanto a mortalità, con le ultime pandemie. Allo stesso Raoult dobbiamo la scoperta dell’unico farmaco che al momento attuale è in grado di ridurre sensibilmente, se assunto in dosi e tempi giusti, la letalità del nuovo virus: l’idrossiclorochina. 
 
I motivi della diffusione così repentina e incontrollata del virus in Italia sono da ricercarsi in una serie di concause: la sottovalutazione iniziale, la vulnerabilità delle nostre strutture sanitarie, la scelta governativa dei controlli nei confronti dei cittadini con uno spiegamento enorme di forze: polizia municipale, polizia di stato, carabinieri, guardia di finanza, esercito. Una scelta che ha posto a distanza ravvicinata più di trecentomila uomini in divisa e milioni di cittadini di tutte le età e in ogni possibile condizione di salute, senza che gli agenti fossero muniti di presidi anti-contagio adeguati e senza che vi fossero metodi di disinfezione efficienti nelle sedi dei tutori dell’ordine o all’interno dei loro veicoli. A tutt’oggi non sappiamo quanti agenti siano stati e siano contagiosi, perché non sono stati effettuati su di loro test a tappeto. 
Considerati gli effetti sulla salute che hanno ed avranno le procedure istituzionali dirette a impedire che i cittadini italiani escano di casa (pensiamo agli anziani, ai disabili, ai bambini e anche a chi soffre di disturbi psichici rilevanti), forse sarebbe stato più opportuno educare i cittadini – senza reprimerli – all’impiego corretto di mascherine e al mantenimento di una distanza di sicurezza: due metri e non il metro suggerito nel nostro paese. 
 
Ci fanno inoltre riflettere sui pericoli che corrono oggi i valori civili e umanitari alcune misure governative assunte nelle diverse nazioni: i pieni poteri accordati dal parlamento ungherese al sovranista Orbán; le violenze contro cittadini sorpresi fuori dalle loro case in alcune nazioni africane, dove le autorità hanno usato metodi repressivi di una durezza inaudita contro cittadini sorpresi all’aperto; l’impunità per gli agenti che feriscano o anche uccidano i “trasgressori” del coprifuoco, proposta da importanti figure istituzionali in Perù; l’abbandono da parte delle istituzioni, anche italiane, delle persone più emarginate e vulnerabili.

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Salute e benessere

Coronavirus e animali.

Coronavirus e animali. L’OMS, rimane del parere che non esistano prove sufficienti per affermare che cani e gatti possano essere infettati dal coronavirus.

 

Il rischio che gli animali domestici o altri animali svolgano un ruolo importante nella trasmissione del coronavirus è considerato molto esiguo. Se animali domestici vivono in un nucleo familiare in cui sono presenti persone affette da coronavirus, è necessario seguire ulteriori misure precauzionali. Per il resto, secondo gli esperti, si applicano le consuete norme igieniche nel trattamento degli animali. Tuttavia secondo le autorità di Hong Kong l’uomo può infettare il cane. Pochi giorni fa, un cane di razza pomerania è risultato positivo al test coronavirus ad Hong Kong. Si ritiene possa trattarsi di un caso di trasmissione da uomo ad animale. Le autorità dell’autonomia cinese hanno di conseguenza emanato un avvertimento alla prudenza e un invito a non baciare gli animali domestici. Dopo che un cane di razza pomerania è stato ripetutamente testato risultando “debole positivo” al COVID-19, le autorità di Hong Kong hanno avvertito la cittadinanza di evitare di baciare i propri animali domestici, ma, al tempo stesso, anche di non lasciarsi prendere dal panico e di abbandonarli. Il Dipartimento per l’agricoltura, la pesca e l’ambiente di Hong Kong ha affermato che gli esperti hanno concordato all’unanimità che i risultati hanno suggerito che il cane aveva “un basso livello di infezione e che con ogni probabilità si tratterebbe di un caso di trasmissione da uomo ad animale”. Il proprietario del cagnolino era stato infatti infettato da Covid-19. Il cane tuttavia non mostra sintomi, affermano le autorità. Il dipartimento agricolo di Hong Kong ha anche aggiunto: “Si ricorda ai proprietari di animali domestici di adottare buone pratiche igieniche, incluso il lavaggio delle mani prima e dopo essere stati a spasso o aver toccato animali, cibo o provviste, oltre a evitare di baciarli e di mantenere un ambiente domestico pulito e igienico”.​Esperti medici, tra cui rappresentanti dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), avevano indagato sul caso per determinare se il cane fosse effettivamente infetto o si trattasse di un falso positivo determinato da campione contaminato. L’OMS, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, rimane del parere che non esistano prove sufficienti per affermare che cani e gatti possano essere infettati dal coronavirus.