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Bizzarro momento in cui due elefanti “ubriachi” collassano dopo aver fatto irruzione nel villaggio e bevuto 30 litri di vino – VIDEO

Bizzarro momento in cui due elefanti “ubriachi” collassano dopo aver fatto irruzione nel villaggio e bevuto 30 litri di vino – VIDEO

Facevano parte di un branco di 14 elefanti asiatici che si diceva avessero fatto irruzione in un villaggio nella provincia sud-occidentale dello Yunnan. Gli abitanti del villaggio Li Yuncong e Wang Xiangdong hanno entrambi riportato danni alle cisterne di stoccaggio del mais e alle vasche per l’alcol del grano, nonché a pannelli solari, finestre e porte, sebbene non vi siano stati feriti tra gli esseri umani. Le immagini sono apparse su “Zuzou Bingbing Travel Photography” di Weibo, una piattaforma di microblogging cinese simile a Twitter. In settimana le autorità forestali della città di Pu’er, hanno rivelato che l’incidente è avvenuto lì, nella piantagione di tè. Ma hanno negato che gli elefanti fossero ubriachi e i funzionari hanno condiviso le immagini di quello che dicono è il momento in cui le due bestie felici ma sobrie si sdraiano schiena contro schiena per “riposare”. Long Yunhai, vicedirettore della Menghai Forestry and Grassland Administration, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, ha affermato che le foto che mostrano i cosiddetti “elefanti ubriachi” non sono “vere”. Ci sono state notizie recenti di 14 elefanti asiatici che sono entrati nei villaggi e danneggiato i tini di alcol di grano, ma è difficile stabilire se abbiano bevuto alcol”, ha dichiarato. Ecco il video https://www.youtube.com/watch?v=PDewRpoVp3M

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Covid-19: “Non abbandonate cani e gatti” non sono un pericolo

Covid-19: “Non abbandonate cani e gatti” non sono un pericolo. L’appello delle Sportello dei Diritti “non abbandonate i vostri amici a quattro zampe, non trasmettono la malattia”

Le informazioni che circolano sui social riguardo al coronavirus sono tante ed è facile fare confusione, fraintendere o essere vittima di notizie del tutto false. L’ultimo episodio riguarda i nostri amici a quattro zampe: alcune indicazioni sono state poco chiare e così si è temuto che cani e gatti possano trasportare e trasmettere il virus alle persone. Gli esperti e le istituzioni di medicina animale di tutto il mondo sono chiare: ad oggi non ci sono prove scientifiche che gli animali domestici possano trasmettere il virus. Fortunatamente non si ammalano nemmeno a causa di questa malattia. Per tale ragione, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, possiamo quindi continuare ad occuparci di loro e soprattutto possiamo e dobbiamo tenerli con noi. In questi giorni in cui dobbiamo restare a casa, ci terranno compagnia come non mai, e il nostro cane ci frutterà una sana passeggiata, da fare in posti il più isolati possibile e tenendo le distanze dalle persone che eventualmente si incontrano.

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L’inchiesta. La storia di TAP, un gasdotto svizzero

Guerra diplomatica tra potenze mondiali. Interessi contrapposti di colossi energetici. Geopolitica e affari. Promesse elettorali e proteste della popolazione. Nei 15 anni trascorsi dalla sua ideazione, il Trans Adriatic Pipeline (TAP) – il gasdotto che, attraversando Grecia e Albania servirà per portare in Italia il gas dei giacimenti dell’Azerbaijan – è stato spesso al centro della politica mondiale ed europea, da Berna a Bruxelles, da Teheran a Baku, da Mosca a Washington. Eppure, nel 2003 e negli anni a seguire, l’obiettivo del progetto era uno solo: garantire le forniture di gas ad alcune centrali elettriche che l’azienda svizzera EGL (oggi AXPO) stava costruendo in Italia. Offrire alla Svizzera nuove possibilità di approvvigionamento energetico. La storia di TAP, infatti inizia lì dove il consorzio ha sede ancora oggi: nella tranquilla cittadina di Baar. Il progetto Il gas iraniano Nel 2006 iniziano le trattative con l’Iran. Il 17 marzo del 2008 la consigliera federale Micheline Calmy-Rey è a Teheran, dove viene firmato un contratto tra EGL e la compagnia di stato iraniana NIGEC per la fornitura di 5,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. L’accordo salta anche in seguito alle pressioni degli Stati Uniti. La sede TAP nasce formalmente il 19 marzo del 2007 a Zugo, e tre mesi dopo sposta la propria sede legale a Baar. Già nel 2003 i primi incontri che portano alla nascita del gasdotto voluto da EGL (oggi AXPO) si tengono proprio in un birrificio di Baar. Il Consiglio federale Berna sostiene fin dall’inizio il progetto, definito “parte integrante della strategia di politica estera della Svizzera in materia energetica” e in linea con gli interessi economici della Confederazione. Il Consiglio federale ha promosso TAP sia in Iran, sia in Azerbaijan. L’Unione Europea Inizialmente Bruxelles guarda con scetticismo a TAP, visto anche che i soci, la svizzera EGL e la norvegese NIGEC, non hanno sede nell’Unione Europea. Il 28 giugno del 2013 l’allora presidente della Commissione Europea Barroso definisce la decisione dell’Azerbaijan di affidarsi a TAP “un successo per l’Europa”. Le centrali elettriche All’inizio degli anni 2000, EGL decide di costruire delle centrali a gas sul territorio italiano per produrre elettricità. Ne vengono realizzate tre: una a Sparanise (Campania), una a Rizziconi (Calabria) e una a Ferrara (Emilia). Le centrali oggi sono del tutto o in parte controllate da Axpo. Punto di approdo e proteste La spiaggia di San Foca, nel territorio di Melendugno, è il punto di arrivo del gasdotto. Un gruppo di cittadini contrari ha dato vita al comitato No TAP, che da anni denuncia l’impatto negativo che l’opera avrebbe sul turismo e sull’ambiente (il progetto prevede, tra le altre cose, l’espianto di oltre 2’000 ulivi). Punto di approdo e proteste La spiaggia di San Foca, nel territorio di Melendugno, è il punto di arrivo del gasdotto. Un gruppo di cittadini contrari ha dato vita al comitato No TAP, che da anni denuncia l’impatto negativo che l’opera avrebbe sul turismo e sull’ambiente (il progetto prevede, tra le altre cose, l’espianto di oltre 2’000 ulivi). I giacimenti azeri L’Azerbaijan è il paese che fornirà il gas per il Trans Adriatic Pipeline: il giacimento Shah Deniz – gestito da un consorzio di società, tra cui l’azera SOCAR – dovrebbe fornire 10 miliardi di metri cubi l’anno. L’ex repubblica sovietica ha firmato nel 2007 un memorandum per l’energia con la Svizzera. Il tracciato ellenico TAP attraversa tutta la Grecia da est a ovest per 550 chilometri. Durante i lavori, inaugurati nel 2016 dal primo ministro Alexis Tsipras, ci sono state proteste e contestazioni da parte di alcune comunità locali. È il caso di Kavala, dove alcuni contadini si sono opposti all’esproprio dei terreni. Le speranze di Tirana Il Governo dà pieno sostegno a TAP, sperando che i 215 chilometri di gasdotto possano rilanciare l’economia. In Albania non si segnalano proteste, ma alcuni agricoltori lamentano di aver ricevuto rimborsi troppo bassi. Il sindaco di Korçë (Coriza) vorrebbe utilizzare parte del gas per la sua città. Il gas iraniano Nel 2006 iniziano le trattative con l’Iran. Il 17 marzo del 2008 la consigliera federale Micheline Calmy-Rey è a Teheran, dove viene firmato un contratto tra EGL e la compagnia di stato iraniana NIGEC per la fornitura di 5,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. L’accordo salta anche in seguito alle pressioni degli Stati Uniti. La sede TAP nasce formalmente il 19 marzo del 2007 a Zugo, e tre mesi dopo sposta la propria sede legale a Baar. Già nel 2003 i primi incontri che portano alla nascita del gasdotto voluto da EGL (oggi AXPO) si tengono proprio in un birrificio di Baar. Il Consiglio federale Berna sostiene fin dall’inizio il progetto, definito “parte integrante della strategia di politica estera della Svizzera in materia energetica” e in linea con gli interessi economici della Confederazione. Il Consiglio federale ha promosso TAP sia in Iran, sia in Azerbaijan. L’Unione Europea Inizialmente Bruxelles guarda con scetticismo a TAP, visto anche che i soci, la svizzera EGL e la norvegese NIGEC, non hanno sede nell’Unione Europea. Il 28 giugno del 2013 l’allora presidente della Commissione Europea Barroso definisce la decisione dell’Azerbaijan di affidarsi a TAP “un successo per l’Europa”. Le centrali elettriche All’inizio degli anni 2000, EGL decide di costruire delle centrali a gas sul territorio italiano per produrre elettricità. Ne vengono realizzate tre: una a Sparanise (Campania), una a Rizziconi (Calabria) e una a Ferrara (Emilia). Le centrali oggi sono del tutto o in parte controllate da Axpo. Punto di approdo e proteste La spiaggia di San Foca, nel territorio di Melendugno, è il punto di arrivo del gasdotto. Un gruppo di cittadini contrari ha dato vita al comitato No TAP, che da anni denuncia l’impatto negativo che l’opera avrebbe sul turismo e sull’ambiente (il progetto prevede, tra le altre cose, l’espianto di oltre 2’000 ulivi). Punto di approdo e proteste La spiaggia di San Foca, nel territorio di Melendugno, è il punto di arrivo del gasdotto. Un gruppo di cittadini contrari ha dato vita al comitato No TAP, che da anni denuncia l’impatto negativo che l’opera avrebbe sul turismo e sull’ambiente (il progetto prevede, tra le altre cose, l’espianto di oltre 2’000 ulivi). I giacimenti azeri L’Azerbaijan è il paese che fornirà il gas per il Trans Adriatic Pipeline: il giacimento Shah Deniz – gestito da un consorzio di società, tra cui l’azera SOCAR – dovrebbe fornire 10 miliardi di metri cubi l’anno. L’ex repubblica sovietica ha firmato nel 2007 un memorandum per l’energia con la Svizzera. Il tracciato ellenico TAP attraversa tutta la Grecia da est a ovest per 550 chilometri. Durante i lavori, inaugurati nel 2016 dal primo ministro Alexis Tsipras, ci sono state proteste e contestazioni da parte di alcune comunità locali. È il caso di Kavala, dove alcuni contadini si sono opposti all’esproprio dei terreni. Le speranze di Tirana Il Governo dà pieno sostegno a TAP, sperando che i 215 chilometri di gasdotto possano rilanciare l’economia. In Albania non si segnalano proteste, ma alcuni agricoltori lamentano di aver ricevuto rimborsi troppo bassi. Il sindaco di Korçë (Coriza) vorrebbe utilizzare parte del gas per la sua città. vai alla prima pagina Le origini Le origini”Una partita a scacchi per adulti”Da una birreria del canton Zugo ai palazzi del potere Hugo Rothenbühler ha assolutamente bisogno di qualcuno che conosca il settore del gas. È il 2003, Il mercato italiano dell’elettricità, fresco delle liberalizzazioni dei primi anni 2000, promette buoni guadagni e l’azienda energetica per cui lavora, la svizzera EGL (Elektrizitäts Gesellschaft Laufenburg), punta a rompere il monopolio dell’ENI, producendo elettricità direttamente in Italia con 5-6 centrali alimentate a gas. Una è già in costruzione. Rothenbühler ha fretta, sa di non essere “uomo di gas”, ma ha in mente la persona giusta. Un giovane con esperienze in Wingas, Wintershall e Gazprom, incontrato tempo prima e che lo aveva colpito: Joachim Conrad. Il dirigente di EGL ingaggia un cacciatore di teste con l’incarico di rintracciarlo e di chiedergli di lavorare per lui, di trovare il gas per le centrali. Conrad è indeciso. EGL è una compagnia piccola e lui sa bene che per un progetto di quella portata c’è bisogno di un grosso capitale. Oppure di idee “così interessanti” da attirare l’attenzione dei grandi player. Alla fine il giovane manager accetta l’incarico, chiama alcuni ex colleghi e si mette al lavoro. La priorità è rispondere alla domanda: “dove prendiamo il gas?”. I gasdotti esistenti vengono scartati, sono controllati dai colossi del settore e non ci sarebbe modo di strappare prezzi competitivi. Bisogna esplorare nuove strade: “Quando abbiamo iniziato, abbiamo fatto quattro cerchi sulla cartina: uno sulla Russia, uno sull’Iran, uno sull’Azerbaijan e uno sull’Algeria”, racconta un altro ex manager. I primi schizzi sono buttati giù sulle tovagliette e sui sottobicchieri del birrificio di Baar, nel canton Zugo, durante alcune cene. L’idea della Trans Adriatic Pipeline (TAP) comincia a prendere forma: un nuovo gasdotto che colleghi il sud Europa a una delle regioni più ricche di gas al mondo. Loro lo chiamano “il collegamento mancante”. Un progetto del genere, che si scontra con gli interessi di altri paesi, senza il sostegno della politica è morto in partenza. Conrad lo sa bene, e sviluppa una strategia per mettere in luce i possibili benefici per Berna: il gas potrebbe arrivare in Svizzera attraverso il reverse flow, le stesse centrali in Italia potrebbero garantire elettricità alla Confederazione, in caso di bisogno. I lavori preparatori durano meno di un anno. Da questo momento, interessi economici e strategie politiche si intrecciano in maniera indissolubile. Inizia quella che un ex manager definisce “una partita a scacchi per adulti”. L’idea di EGL è quella di costruire un gasdotto in grado di trasportare fino a 20 miliardi di metri cubi di gas l’anno verso l’Italia. Di questi, l’azienda vuole assicurarsene 5 – 6 miliardi: 3 servono per il solo funzionamento centrali in Italia, gli altri possono essere venduti, eventualmente anche in Svizzera. L’ideatore di TAP, Joachim Conrad, racconta come è nato il progetto L’ideatore del progetto I potenziali benefici per la Svizzera permettono al progetto di ottenere, da una parte, il sostegno della Confederazione, che considera TAP strategico per la propria sicurezza energetica, e dall’altra di attirare l’attenzione di altri investitori. Il gas, nella prima fase, deve provenire dal secondo produttore al mondo: l’Iran. Ma nello stesso tempo, gli uomini di EGL iniziano a intessere relazioni anche con l’Azerbaijan. Socar, la compagnia nazionale azera, “ha sempre avuto un orecchio teso verso TAP” – riferisce una fonte – sebbene avesse partecipazioni in Nabucco, il gasdotto concorrente. Nel 2008, la norvegese Statoil entra in società con EGL e, poco dopo, Conrad lascia l’azienda. Molti dei suoi collaboratori, invece, restano. EGL, che nel frattempo è stata assorbita completamente da Axpo, nel 2013 vende gran parte delle sue quote. Intanto, TAP è diventato un progetto di rilevanza europea. E come tale, non poteva non attirare anche l’attenzione di Russia e Stati Uniti. Lo scacchiere è completo. Il ruolo della Russia Il retroscenaMolecole di gas russo L’ombra di Mosca cade su TAP già dalle prime trattative, nella seconda metà degli anni 2000. “Non voglio vedere gas russo lì dentro”, è il monito di un commissario europeo nei ricordi di un dirigente del consorzio svizzero. La crisi tra Russia e Ucraina del 2006 ha lasciato il segno, la chiusura dei rubinetti della compagnia di stato Gazprom, per una disputa con Kiev sul prezzo del gas, aveva provocato un preoccupante calo nelle forniture europee. Bruxelles vuole diversificare e rendersi meno dipendente dal suo principale fornitore. TAP, però, non è favorevole all’esclusione di Gazprom. Il gasdotto è pensato per trasportare fino a 20 miliardi di metri cubi l’anno, l’Azerbaijan avrebbe potuto garantirne al massimo la metà. Il consorzio conta di acquistare il resto del gas in Iran, e in seguito persino in Russia. La strategia è di lungo termine, e Joachim Conrad è convinto che ciò che al momento appare politicamente irrealizzabile, tra qualche anno potrebbe diventare realtà. Vale per l’Iran, isolato e sotto sanzioni statunitensi. Vale per Mosca e le tensioni con Washington. Vale per Bruxelles, che inizialmente favorisce gasdotti concorrenti, e poi garantisce a TAP il sostegno politico necessario, spianando la strada ai finanziamenti. La Banca europea per gli investimenti (BEI) mette a disposizione 700 milioni di euro, quella per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) un prestito di un miliardo. Il progetto nato in un birrificio di Baar diventa, nelle parole del vicepresidente della BEI Andrew McDowell, “la più grande infrastruttura energetica attualmente in costruzione in Europa”. Un gasdotto dal quale, di questo Joachim Conrad è sicuro ancora oggi, passerà anche “qualche molecola di gas russo”. vai alla prima pagina Il ruolo della Russia Lungo il tracciato Le proteste in Italia In ItaliaIl gas infiamma le protestePer gli abitanti “gli ulivi non si toccano” Mobilitazioni, battaglie giudiziarie e scontri politici: è una lotta a tutto campo quella che TAP si è trovata a fronteggiare in Italia. Nonostante gli appena otto chilometri di gasdotto che interessano il territorio italiano (a differenza dei 550 della Grecia e dei 215 dell’Albania), la società di Baar ha trovato l’opposizione più dura proprio nella penisola. E più esattamente a Melendugno, un piccolo comune a sud di Lecce che vive di turismo e produzione di olio di oliva, scelto come punto d’approdo del gasdotto. Una parte della comunità locale, che fin dal 2012 si è organizzata attorno al comitato No TAP, critica l’impatto dell’opera sul territorio, a partire dalla rimozione di circa 2’000 ulivi (in parte già espiantati e stoccati in attesa di trovare una nuova collocazione), gli scavi in mare e la costruzione di un microtunnel sotto la spiaggia di San Foca. A preoccupare la popolazione è anche il terminale di ricezione del gas che dovrà essere costruito in aperta campagna, e che secondo gli oppositori, immetterà sostanze nocive nell’aria. TAP replica che si tratterebbe di “emissioni occasionali” ridotte, e comunque al di sotto dei limiti di legge. Le proteste, che in alcuni casi sono sfociate in scontri violenti tra la polizia e i manifestanti, sono riuscite solo a rallentare i lavori, ma non a bloccarli. Nel 2018, TAP ha incassato il sostegno del Governo italiano a guida gialloverde. “Interrompere la realizzazione dell’opera comporterebbe costi insostenibili”, ha dichiarato il premier Giuseppe Conte in ottobre, con una clamorosa marcia indietro rispetto a quanto promesso dal Movimento 5 stelle in campagna elettorale e dal grillino Alessandro Di Battista, che in un incontro pubblico aveva affermato: “Con noi al Governo quest’opera la blocchiamo in due settimane”. In Albania La speranza di un sindacoTirana spiana la strada ai lavori Alberi tagliati e inceneriti nelle stufe. Una cappa di fumo che ogni inverno ricopre la città. Parlando di TAP, il sindaco di Coriza Satiraq Filo vuole soprattutto vedere una possibilità: “Abbiamo un grosso problema perché la fonte principale di riscaldamento è la legna, con problemi per l’ambiente”. Per una delle poche regioni fredde del paese, il sindaco ha chiesto a TAP e al governo albanese di costruire un punto d’uscita sul gasdotto, in modo da potere, in futuro, eventualmente usare il gas per il riscaldamento di Coriza. L’idea è ben lontana dall’essere realizzata e mancano le infrastrutture, ma riassume le speranze di Tirana: sfruttare i lavori per rilanciare l’economia, diventare attiva nel mercato energetico e avere accesso a una risorsa sinora assente. In Albania, a differenza di quanto accaduto in Italia e in Grecia, non sono state organizzate manifestazioni contro i lavori: “Penso che la popolazione abbia accettato il progetto, sanno che è strategico non solo per la nostra regione, ma per tutto il paese”, sostiene Satiraq Filo. Un rapporto del 2017 dell’organizzazione Bankwatch, denuncia però proteste da parte degli agricoltori per gli indennizzi troppo bassi e descrive un clima di rassegnazione e impotenza legato agli espropri dei terreni. vai alla prima pagina Il sindaco di Coriza In Grecia Una cicatrice lunga 550 kmIl percorso di TAP tra campi coltivati e siti archeologici Per trovare TAP a Kavala bisogna allontanarsi dalle case di vacanza affacciate sul mare e dirigersi verso l’interno, nelle piccole strade sterrate della pianura di Filippi. In mezzo ai campi coltivati, si incontra una trincea scavata nella terra, una specie di cicatrice sul terreno protetta da una recinzione rossa, che prosegue a perdita d’occhio in entrambe le direzioni. A sorvegliare costantemente l’immenso cantiere, ci sono donne e uomini del posto, reclutati dalle agenzie di sicurezza. In questa zona della Grecia, situata tra la Macedonia e la Tracia, i tubi devono ancora essere interrati. A differenza delle altre aree del paese, dove buona parte dei 550 chilometri di gasdotto è stata completata, i lavori a Kavala sono in ritardo. A ostacolarli sono state anche le proteste di alcuni contadini, tra cui Themis Kalpakides, presidente dell’associazione locale degli agricoltori, che racconta di aver visto le coltivazioni distrutte dai macchinari di TAP nel campo in cui stava lavorando. “Non ho avuto alcun preavviso e nessuno mi ha mostrato le autorizzazioni che legalizzassero quello che stavano facendo”, afferma. Dal canto suo, TAP afferma invece di aver “informato le persone coinvolte” attraverso delle “notifiche”, e di aver fatto delle comunicazioni pubbliche in aggiunta. L’azienda sostiene anche di aver risarcito “il 100% dei proprietari e degli utilizzatori dei terreni”, che in tutta la Grecia sono circa 13’000. Le proteste dei contadini in Grecia EGL e TAP ottengono subito il sostegno di Berna, ma i piani di importare gas dall’Iran si scontrano con le sanzioni di Washington, con la decisione degli Stati Uniti di isolare Teheran. Nel 2007 il governo di George W Bush parla di “accordo deleterio” e mette sotto forte pressione EGL e lo stesso Consiglio Federale. Il braccio di ferro dura a lungo e prende pieghe inaspettate, come ricostruito dalla RSI attraverso conversazioni con molteplici fonti. TAP cambia alleanze, strategie e assetti proprietari: per ottenere il sostegno dell’Unione Europea, per imporsi sui progetti concorrenti, come Nabucco, per riuscire a importare gas dall’Azerbaijan. La decisione definitiva del consorzio Shah Deniz – ovvero del gruppo di imprese che controlla i giacimenti sul mar Caspio da cui verrà estratto il gas – arriva nel 2013, quando la svizzera Axpo (ex EGL) possiede ancora il 42,5% della Trans Adriatic Pipeline, una quota che presto scenderà al 5%. Fino ad allora l’impegno di Berna in favore del gasdotto è costante. La politica svizzera La linea temporale Dal 2007 al 2012 Un grimaldello diplomatico. L’Iran Nel 2005, Micheline Calmy-Rey, che era alla guida del Dipartimento federale degli affari esteri, voleva trovare un modo per rilanciare il dialogo tra l’Iran e gli Stati Uniti sul dossier nucleare, facendo leva sui buoni uffici della Svizzera, potenza protettrice di Washington a Teheran. Il nuovo presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad aveva infatti rilanciato il programma di arricchimento dell’uranio, e gli Stati Uniti avevano risposto con sanzioni sempre più severe. Il Governo americano dell’allora presidente George W Bush aveva scelto la linea dura con Teheran, secondo la massima “ogni negoziato è già una concessione”, come ricorda un diplomatico elvetico. Ma Berna vuole tentare comunque di convincere il Governo iraniano, e il gasdotto TAP, ideato da un’azienda svizzera, rappresenta un’occasione perfetta. Il progetto, definito strategico dal punto di vista energetico, diventa così uno strumento di politica estera, un grimaldello per aprire la porta alle trattative sul nucleare. La diplomazia elvetica si mette al lavoro, sia a Teheran, sia a Berna, mentre i funzionari dell’Ufficio federale dell’energia seguono gli aspetti tecnici relativi al contratto di fornitura di gas tra EGL e la compagnia statale NIGEC. L’intesa di massima per la fornitura di 5,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno viene raggiunta alla fine del 2006. La notizia, però, preoccupa gli Stati Uniti, che chiedono spiegazioni a Berna e non nascondono la propria irritazione. Il 18 luglio del 2007, rappresentanti dell’ambasciata americana incontrano alti funzionari della Confederazione. Pochi mesi dopo, l’ambasciatore svizzero a Washington Urs Ziswiler viene convocato dall’assistente Segretario di Stato Daniel Sullivan, e la stessa Micheline Calmy-Rey difende l’accordo davanti a diplomatici statunitensi, come rivelato da documenti pubblicati da Wikileaks. L’irritazione degli Stati Uniti L’assistente del segretario di Stato americano, Daniel Sullivan, nel settembre 2007 ha incontrato l’ambasciatore svizzero Urs Ziswiler per “sottolineare le preoccupazioni (degli Stati Uniti, ndr) sull’accordo di EGL con l’Iran per il gas/gasdotto, in particolare per il suo impatto negativo sugli sforzi di fare pressione sull’Iran perché si adegui alla Risoluzione di sicurezza dell’ONU sulle attività nucleari”. L’ambasciatore svizzero “ha difeso l’accordo, sostenendo che non va contro la risoluzione sulle sanzioni, e che è necessario per questioni di sicurezza energetica”. Calmy-Rey sotto pressione In un documento segreto dell’11 settembre 2007 si legge che la diplomatica statunitense Leigh Carter il 7 settembre ha incontrato Micheline Calmy-Rey per parlare delle preoccupazioni degli Stati Uniti sull’accordo EGL-Iran. L’allora presidente della Confederazione ha difeso l’intesa, affermando che “EGL è un’azienda privata” ma aggiungendo anche che avrebbe preso nota del disappunto del Governo americano. Calmy-Rey è apparsa “cordiale ma concisa ed evasiva”, annota la diplomatica americana. Il rapporto del Congresso americano Il 12 dicembre 2008, un rapporto segreto del Congresso americano cita l’accordo tra la svizzera EGL e l’Iran per una fornitura di gas della durata di 25 anni, da trasportare attraverso una “Trans Adriatic Pipeline”. Gli Stati Uniti, si legge nel rapporto, “hanno criticato l’accordo sostenendo che manda un ‘messaggio sbagliato’ all’Iran. Tuttavia, […] l’accordo sembra riguardare solo la fornitura di gas e non l’esplorazione, quindi non violerebbe le sanzioni” L’irritazione degli Stati Uniti L’assistente del segretario di Stato americano, Daniel Sullivan, nel settembre 2007 ha incontrato l’ambasciatore svizzero Urs Ziswiler per “sottolineare le preoccupazioni (degli Stati Uniti, ndr) sull’accordo di EGL con l’Iran per il gas/gasdotto, in particolare per il suo impatto negativo sugli sforzi di fare pressione sull’Iran perché si adegui alla Risoluzione di sicurezza dell’ONU sulle attività nucleari”. L’ambasciatore svizzero “ha difeso l’accordo, sostenendo che non va contro la risoluzione sulle sanzioni, e che è necessario per questioni di sicurezza energetica”. Calmy-Rey sotto pressione In un documento segreto dell’11 settembre 2007 si legge che la diplomatica statunitense Leigh Carter il 7 settembre ha incontrato Micheline Calmy-Rey per parlare delle preoccupazioni degli Stati Uniti sull’accordo EGL-Iran. L’allora presidente della Confederazione ha difeso l’intesa, affermando che “EGL è un’azienda privata” ma aggiungendo anche che avrebbe preso nota del disappunto del Governo americano. Calmy-Rey è apparsa “cordiale ma concisa ed evasiva”, annota la diplomatica americana. Il rapporto del Congresso americano Il 12 dicembre 2008, un rapporto segreto del Congresso americano cita l’accordo tra la svizzera EGL e l’Iran per una fornitura di gas della durata di 25 anni, da trasportare attraverso una “Trans Adriatic Pipeline”. Gli Stati Uniti, si legge nel rapporto, “hanno criticato l’accordo sostenendo che manda un ‘messaggio sbagliato’ all’Iran. Tuttavia, […] l’accordo sembra riguardare solo la fornitura di gas e non l’esplorazione, quindi non violerebbe le sanzioni” vai alla prima pagina La storia iraniana Nonostante l’opposizione degli Stati Uniti, la Svizzera, inizialmente, mantiene le proprie posizioni: si tratta di un progetto strategico per la sicurezza energetica della Confederazione e il contratto per la fornitura di gas non contravviene alle sanzioni, perché non costituisce un investimento diretto nelle infrastrutture energetiche iraniane, come ricorda Pascal Previdoli, direttore supplente e capo della divisione economia energetica dell’Ufficio federale dell’energia, che ha seguito tutta l’evoluzione del progetto. Intanto, le trattative con le autorità iraniane si fanno più concitate: Teheran insiste sulla presenza di un alto esponente del Governo elvetico alla firma del contratto tra EGL e NIGEC. In caso contrario, ricorda un funzionario del Dipartimento federale degli affari esteri, l’accordo potrebbe saltare. Micheline Calmy-Rey accetta di andare a Teheran, anche se la scelta è controversa e dibattuta tra i suoi stessi collaboratori, alcuni dei quali preferirebbero lasciare il tutto in mano al Dipartimento federale dell’energia (DATEC) per evitare strumentalizzazioni. Inizialmente il programma prevede un incontro con il suo omologo, il ministro degli esteri iraniano Manoucher Mottaki, e la presenza di entrambi alla firma del contratto. Il protocollo, però, è in mano alle autorità iraniane, e il 17 marzo del 2008 Micheline Calmy Rey incontra anche il presidente Mahmoud Ahmadinejad. La foto di quel giorno, con l’allora capa del DFAE che indossa il velo, fa il giro del mondo e suscita forti polemiche. Ancora oggi la missione a Teheran viene considerata un successo da alcuni ex collaboratori, che sottolineano come la visita abbia portato, pochi mesi dopo, a colloqui sul nucleare a Ginevra. Ma c’è anche chi ricorda che i negoziati sono poi crollati e che nel 2010, la Svizzera ha fatto una completa inversione di rotta: l’accordo fra EGL-NIGEC viene congelato, e, in seguito, definitivamente sepolto. La spinta verde distacca TAPLe nuove politiche energetiche in Svizzera e in Europa vanno oltre i gasdotti L’inaugurazione di TAP è prevista per la fine del 2020, con otto anni di ritardo rispetto a quanto auspicato nel 2008, quando la società si poneva l’obiettivo di trasportare il primo gas entro il 2012. A oltre 16 anni dai primi schizzi sulle tovagliette di un birrificio di Baar per mano dei suoi ideatori, il “gasdotto svizzero” è quasi concluso. Anni di riassetti societari, pressioni diplomatiche e nuovi equilibri internazionali, che, però, di recente hanno anche visto un cambiamento radicale nelle politiche energetiche. Se agli inizi degli anni 2000 il gas naturale era ancora visto come un’energia fossile pulita, oggi la lotta contro il cambiamento climatico rimescola le carte: il gas non è più visto come una soluzione di lungo termine, bensì come una risorsa destinata ad essere abbandonata e questo nonostante diversi gasdotti siano ancora in costruzione. La Banca europea per gli investimenti (BEI), che ha sostenuto TAP con 700 milioni di euro, nel novembre 2019 ha dichiarato che interromperà i finanziamenti legati a combustibili fossili entro la fine del 2021. Intanto, l’accordo sul clima di Parigi del 2015 non solo ridimensiona l’importanza dell’infrastruttura, ma impegna l’Europa e la Svizzera a guardare avanti. Ne è convinto anche il direttore supplente dell’Ufficio federale dell’energia Pascal Previdoli: “Parto dal presupposto che in tutta Europa l’importanza di combustibili fossili diminuirà e che quindi – se si fa sul serio con gli accordi di Parigi – dovranno diminuire anche le quantità”. Questo significa che, in futuro, per rispettare l’impegno di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, un’opera come TAP (il cui costo complessivo si aggira attorno ai 45 miliardi di euro) evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, potrebbe rivelarsi ormai obsoleta. di Elena Boromeo, Thomas Paggini e Jona Mantovan

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L’inchiesta. La storia di TAP, un gasdotto svizzero

Guerra diplomatica tra potenze mondiali. Interessi contrapposti di colossi energetici. Geopolitica e affari. Promesse elettorali e proteste della popolazione. Nei 15 anni trascorsi dalla sua ideazione, il Trans Adriatic Pipeline (TAP) – il gasdotto che, attraversando Grecia e Albania servirà per portare in Italia il gas dei giacimenti dell’Azerbaijan – è stato spesso al centro della politica mondiale ed europea, da Berna a Bruxelles, da Teheran a Baku, da Mosca a Washington. Eppure, nel 2003 e negli anni a seguire, l’obiettivo del progetto era uno solo: garantire le forniture di gas ad alcune centrali elettriche che l’azienda svizzera EGL (oggi AXPO) stava costruendo in Italia. Offrire alla Svizzera nuove possibilità di approvvigionamento energetico. La storia di TAP, infatti inizia lì dove il consorzio ha sede ancora oggi: nella tranquilla cittadina di Baar. Il progetto Il gas iraniano Nel 2006 iniziano le trattative con l’Iran. Il 17 marzo del 2008 la consigliera federale Micheline Calmy-Rey è a Teheran, dove viene firmato un contratto tra EGL e la compagnia di stato iraniana NIGEC per la fornitura di 5,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. L’accordo salta anche in seguito alle pressioni degli Stati Uniti. La sede TAP nasce formalmente il 19 marzo del 2007 a Zugo, e tre mesi dopo sposta la propria sede legale a Baar. Già nel 2003 i primi incontri che portano alla nascita del gasdotto voluto da EGL (oggi AXPO) si tengono proprio in un birrificio di Baar. Il Consiglio federale Berna sostiene fin dall’inizio il progetto, definito “parte integrante della strategia di politica estera della Svizzera in materia energetica” e in linea con gli interessi economici della Confederazione. Il Consiglio federale ha promosso TAP sia in Iran, sia in Azerbaijan. L’Unione Europea Inizialmente Bruxelles guarda con scetticismo a TAP, visto anche che i soci, la svizzera EGL e la norvegese NIGEC, non hanno sede nell’Unione Europea. Il 28 giugno del 2013 l’allora presidente della Commissione Europea Barroso definisce la decisione dell’Azerbaijan di affidarsi a TAP “un successo per l’Europa”. Le centrali elettriche All’inizio degli anni 2000, EGL decide di costruire delle centrali a gas sul territorio italiano per produrre elettricità. Ne vengono realizzate tre: una a Sparanise (Campania), una a Rizziconi (Calabria) e una a Ferrara (Emilia). Le centrali oggi sono del tutto o in parte controllate da Axpo. Punto di approdo e proteste La spiaggia di San Foca, nel territorio di Melendugno, è il punto di arrivo del gasdotto. Un gruppo di cittadini contrari ha dato vita al comitato No TAP, che da anni denuncia l’impatto negativo che l’opera avrebbe sul turismo e sull’ambiente (il progetto prevede, tra le altre cose, l’espianto di oltre 2’000 ulivi). Punto di approdo e proteste La spiaggia di San Foca, nel territorio di Melendugno, è il punto di arrivo del gasdotto. Un gruppo di cittadini contrari ha dato vita al comitato No TAP, che da anni denuncia l’impatto negativo che l’opera avrebbe sul turismo e sull’ambiente (il progetto prevede, tra le altre cose, l’espianto di oltre 2’000 ulivi). I giacimenti azeri L’Azerbaijan è il paese che fornirà il gas per il Trans Adriatic Pipeline: il giacimento Shah Deniz – gestito da un consorzio di società, tra cui l’azera SOCAR – dovrebbe fornire 10 miliardi di metri cubi l’anno. L’ex repubblica sovietica ha firmato nel 2007 un memorandum per l’energia con la Svizzera. Il tracciato ellenico TAP attraversa tutta la Grecia da est a ovest per 550 chilometri. Durante i lavori, inaugurati nel 2016 dal primo ministro Alexis Tsipras, ci sono state proteste e contestazioni da parte di alcune comunità locali. È il caso di Kavala, dove alcuni contadini si sono opposti all’esproprio dei terreni. Le speranze di Tirana Il Governo dà pieno sostegno a TAP, sperando che i 215 chilometri di gasdotto possano rilanciare l’economia. In Albania non si segnalano proteste, ma alcuni agricoltori lamentano di aver ricevuto rimborsi troppo bassi. Il sindaco di Korçë (Coriza) vorrebbe utilizzare parte del gas per la sua città. Il gas iraniano Nel 2006 iniziano le trattative con l’Iran. Il 17 marzo del 2008 la consigliera federale Micheline Calmy-Rey è a Teheran, dove viene firmato un contratto tra EGL e la compagnia di stato iraniana NIGEC per la fornitura di 5,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. L’accordo salta anche in seguito alle pressioni degli Stati Uniti. La sede TAP nasce formalmente il 19 marzo del 2007 a Zugo, e tre mesi dopo sposta la propria sede legale a Baar. Già nel 2003 i primi incontri che portano alla nascita del gasdotto voluto da EGL (oggi AXPO) si tengono proprio in un birrificio di Baar. Il Consiglio federale Berna sostiene fin dall’inizio il progetto, definito “parte integrante della strategia di politica estera della Svizzera in materia energetica” e in linea con gli interessi economici della Confederazione. Il Consiglio federale ha promosso TAP sia in Iran, sia in Azerbaijan. L’Unione Europea Inizialmente Bruxelles guarda con scetticismo a TAP, visto anche che i soci, la svizzera EGL e la norvegese NIGEC, non hanno sede nell’Unione Europea. Il 28 giugno del 2013 l’allora presidente della Commissione Europea Barroso definisce la decisione dell’Azerbaijan di affidarsi a TAP “un successo per l’Europa”. Le centrali elettriche All’inizio degli anni 2000, EGL decide di costruire delle centrali a gas sul territorio italiano per produrre elettricità. Ne vengono realizzate tre: una a Sparanise (Campania), una a Rizziconi (Calabria) e una a Ferrara (Emilia). Le centrali oggi sono del tutto o in parte controllate da Axpo. Punto di approdo e proteste La spiaggia di San Foca, nel territorio di Melendugno, è il punto di arrivo del gasdotto. Un gruppo di cittadini contrari ha dato vita al comitato No TAP, che da anni denuncia l’impatto negativo che l’opera avrebbe sul turismo e sull’ambiente (il progetto prevede, tra le altre cose, l’espianto di oltre 2’000 ulivi). Punto di approdo e proteste La spiaggia di San Foca, nel territorio di Melendugno, è il punto di arrivo del gasdotto. Un gruppo di cittadini contrari ha dato vita al comitato No TAP, che da anni denuncia l’impatto negativo che l’opera avrebbe sul turismo e sull’ambiente (il progetto prevede, tra le altre cose, l’espianto di oltre 2’000 ulivi). I giacimenti azeri L’Azerbaijan è il paese che fornirà il gas per il Trans Adriatic Pipeline: il giacimento Shah Deniz – gestito da un consorzio di società, tra cui l’azera SOCAR – dovrebbe fornire 10 miliardi di metri cubi l’anno. L’ex repubblica sovietica ha firmato nel 2007 un memorandum per l’energia con la Svizzera. Il tracciato ellenico TAP attraversa tutta la Grecia da est a ovest per 550 chilometri. Durante i lavori, inaugurati nel 2016 dal primo ministro Alexis Tsipras, ci sono state proteste e contestazioni da parte di alcune comunità locali. È il caso di Kavala, dove alcuni contadini si sono opposti all’esproprio dei terreni. Le speranze di Tirana Il Governo dà pieno sostegno a TAP, sperando che i 215 chilometri di gasdotto possano rilanciare l’economia. In Albania non si segnalano proteste, ma alcuni agricoltori lamentano di aver ricevuto rimborsi troppo bassi. Il sindaco di Korçë (Coriza) vorrebbe utilizzare parte del gas per la sua città. vai alla prima pagina Le origini Le origini”Una partita a scacchi per adulti”Da una birreria del canton Zugo ai palazzi del potere Hugo Rothenbühler ha assolutamente bisogno di qualcuno che conosca il settore del gas. È il 2003, Il mercato italiano dell’elettricità, fresco delle liberalizzazioni dei primi anni 2000, promette buoni guadagni e l’azienda energetica per cui lavora, la svizzera EGL (Elektrizitäts Gesellschaft Laufenburg), punta a rompere il monopolio dell’ENI, producendo elettricità direttamente in Italia con 5-6 centrali alimentate a gas. Una è già in costruzione. Rothenbühler ha fretta, sa di non essere “uomo di gas”, ma ha in mente la persona giusta. Un giovane con esperienze in Wingas, Wintershall e Gazprom, incontrato tempo prima e che lo aveva colpito: Joachim Conrad. Il dirigente di EGL ingaggia un cacciatore di teste con l’incarico di rintracciarlo e di chiedergli di lavorare per lui, di trovare il gas per le centrali. Conrad è indeciso. EGL è una compagnia piccola e lui sa bene che per un progetto di quella portata c’è bisogno di un grosso capitale. Oppure di idee “così interessanti” da attirare l’attenzione dei grandi player. Alla fine il giovane manager accetta l’incarico, chiama alcuni ex colleghi e si mette al lavoro. La priorità è rispondere alla domanda: “dove prendiamo il gas?”. I gasdotti esistenti vengono scartati, sono controllati dai colossi del settore e non ci sarebbe modo di strappare prezzi competitivi. Bisogna esplorare nuove strade: “Quando abbiamo iniziato, abbiamo fatto quattro cerchi sulla cartina: uno sulla Russia, uno sull’Iran, uno sull’Azerbaijan e uno sull’Algeria”, racconta un altro ex manager. I primi schizzi sono buttati giù sulle tovagliette e sui sottobicchieri del birrificio di Baar, nel canton Zugo, durante alcune cene. L’idea della Trans Adriatic Pipeline (TAP) comincia a prendere forma: un nuovo gasdotto che colleghi il sud Europa a una delle regioni più ricche di gas al mondo. Loro lo chiamano “il collegamento mancante”. Un progetto del genere, che si scontra con gli interessi di altri paesi, senza il sostegno della politica è morto in partenza. Conrad lo sa bene, e sviluppa una strategia per mettere in luce i possibili benefici per Berna: il gas potrebbe arrivare in Svizzera attraverso il reverse flow, le stesse centrali in Italia potrebbero garantire elettricità alla Confederazione, in caso di bisogno. I lavori preparatori durano meno di un anno. Da questo momento, interessi economici e strategie politiche si intrecciano in maniera indissolubile. Inizia quella che un ex manager definisce “una partita a scacchi per adulti”. L’idea di EGL è quella di costruire un gasdotto in grado di trasportare fino a 20 miliardi di metri cubi di gas l’anno verso l’Italia. Di questi, l’azienda vuole assicurarsene 5 – 6 miliardi: 3 servono per il solo funzionamento centrali in Italia, gli altri possono essere venduti, eventualmente anche in Svizzera. L’ideatore di TAP, Joachim Conrad, racconta come è nato il progetto L’ideatore del progetto I potenziali benefici per la Svizzera permettono al progetto di ottenere, da una parte, il sostegno della Confederazione, che considera TAP strategico per la propria sicurezza energetica, e dall’altra di attirare l’attenzione di altri investitori. Il gas, nella prima fase, deve provenire dal secondo produttore al mondo: l’Iran. Ma nello stesso tempo, gli uomini di EGL iniziano a intessere relazioni anche con l’Azerbaijan. Socar, la compagnia nazionale azera, “ha sempre avuto un orecchio teso verso TAP” – riferisce una fonte – sebbene avesse partecipazioni in Nabucco, il gasdotto concorrente. Nel 2008, la norvegese Statoil entra in società con EGL e, poco dopo, Conrad lascia l’azienda. Molti dei suoi collaboratori, invece, restano. EGL, che nel frattempo è stata assorbita completamente da Axpo, nel 2013 vende gran parte delle sue quote. Intanto, TAP è diventato un progetto di rilevanza europea. E come tale, non poteva non attirare anche l’attenzione di Russia e Stati Uniti. Lo scacchiere è completo. Il ruolo della Russia Il retroscenaMolecole di gas russo L’ombra di Mosca cade su TAP già dalle prime trattative, nella seconda metà degli anni 2000. “Non voglio vedere gas russo lì dentro”, è il monito di un commissario europeo nei ricordi di un dirigente del consorzio svizzero. La crisi tra Russia e Ucraina del 2006 ha lasciato il segno, la chiusura dei rubinetti della compagnia di stato Gazprom, per una disputa con Kiev sul prezzo del gas, aveva provocato un preoccupante calo nelle forniture europee. Bruxelles vuole diversificare e rendersi meno dipendente dal suo principale fornitore. TAP, però, non è favorevole all’esclusione di Gazprom. Il gasdotto è pensato per trasportare fino a 20 miliardi di metri cubi l’anno, l’Azerbaijan avrebbe potuto garantirne al massimo la metà. Il consorzio conta di acquistare il resto del gas in Iran, e in seguito persino in Russia. La strategia è di lungo termine, e Joachim Conrad è convinto che ciò che al momento appare politicamente irrealizzabile, tra qualche anno potrebbe diventare realtà. Vale per l’Iran, isolato e sotto sanzioni statunitensi. Vale per Mosca e le tensioni con Washington. Vale per Bruxelles, che inizialmente favorisce gasdotti concorrenti, e poi garantisce a TAP il sostegno politico necessario, spianando la strada ai finanziamenti. La Banca europea per gli investimenti (BEI) mette a disposizione 700 milioni di euro, quella per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) un prestito di un miliardo. Il progetto nato in un birrificio di Baar diventa, nelle parole del vicepresidente della BEI Andrew McDowell, “la più grande infrastruttura energetica attualmente in costruzione in Europa”. Un gasdotto dal quale, di questo Joachim Conrad è sicuro ancora oggi, passerà anche “qualche molecola di gas russo”. vai alla prima pagina Il ruolo della Russia Lungo il tracciato Le proteste in Italia In ItaliaIl gas infiamma le protestePer gli abitanti “gli ulivi non si toccano” Mobilitazioni, battaglie giudiziarie e scontri politici: è una lotta a tutto campo quella che TAP si è trovata a fronteggiare in Italia. Nonostante gli appena otto chilometri di gasdotto che interessano il territorio italiano (a differenza dei 550 della Grecia e dei 215 dell’Albania), la società di Baar ha trovato l’opposizione più dura proprio nella penisola. E più esattamente a Melendugno, un piccolo comune a sud di Lecce che vive di turismo e produzione di olio di oliva, scelto come punto d’approdo del gasdotto. Una parte della comunità locale, che fin dal 2012 si è organizzata attorno al comitato No TAP, critica l’impatto dell’opera sul territorio, a partire dalla rimozione di circa 2’000 ulivi (in parte già espiantati e stoccati in attesa di trovare una nuova collocazione), gli scavi in mare e la costruzione di un microtunnel sotto la spiaggia di San Foca. A preoccupare la popolazione è anche il terminale di ricezione del gas che dovrà essere costruito in aperta campagna, e che secondo gli oppositori, immetterà sostanze nocive nell’aria. TAP replica che si tratterebbe di “emissioni occasionali” ridotte, e comunque al di sotto dei limiti di legge. Le proteste, che in alcuni casi sono sfociate in scontri violenti tra la polizia e i manifestanti, sono riuscite solo a rallentare i lavori, ma non a bloccarli. Nel 2018, TAP ha incassato il sostegno del Governo italiano a guida gialloverde. “Interrompere la realizzazione dell’opera comporterebbe costi insostenibili”, ha dichiarato il premier Giuseppe Conte in ottobre, con una clamorosa marcia indietro rispetto a quanto promesso dal Movimento 5 stelle in campagna elettorale e dal grillino Alessandro Di Battista, che in un incontro pubblico aveva affermato: “Con noi al Governo quest’opera la blocchiamo in due settimane”. In Albania La speranza di un sindacoTirana spiana la strada ai lavori Alberi tagliati e inceneriti nelle stufe. Una cappa di fumo che ogni inverno ricopre la città. Parlando di TAP, il sindaco di Coriza Satiraq Filo vuole soprattutto vedere una possibilità: “Abbiamo un grosso problema perché la fonte principale di riscaldamento è la legna, con problemi per l’ambiente”. Per una delle poche regioni fredde del paese, il sindaco ha chiesto a TAP e al governo albanese di costruire un punto d’uscita sul gasdotto, in modo da potere, in futuro, eventualmente usare il gas per il riscaldamento di Coriza. L’idea è ben lontana dall’essere realizzata e mancano le infrastrutture, ma riassume le speranze di Tirana: sfruttare i lavori per rilanciare l’economia, diventare attiva nel mercato energetico e avere accesso a una risorsa sinora assente. In Albania, a differenza di quanto accaduto in Italia e in Grecia, non sono state organizzate manifestazioni contro i lavori: “Penso che la popolazione abbia accettato il progetto, sanno che è strategico non solo per la nostra regione, ma per tutto il paese”, sostiene Satiraq Filo. Un rapporto del 2017 dell’organizzazione Bankwatch, denuncia però proteste da parte degli agricoltori per gli indennizzi troppo bassi e descrive un clima di rassegnazione e impotenza legato agli espropri dei terreni. vai alla prima pagina Il sindaco di Coriza In Grecia Una cicatrice lunga 550 kmIl percorso di TAP tra campi coltivati e siti archeologici Per trovare TAP a Kavala bisogna allontanarsi dalle case di vacanza affacciate sul mare e dirigersi verso l’interno, nelle piccole strade sterrate della pianura di Filippi. In mezzo ai campi coltivati, si incontra una trincea scavata nella terra, una specie di cicatrice sul terreno protetta da una recinzione rossa, che prosegue a perdita d’occhio in entrambe le direzioni. A sorvegliare costantemente l’immenso cantiere, ci sono donne e uomini del posto, reclutati dalle agenzie di sicurezza. In questa zona della Grecia, situata tra la Macedonia e la Tracia, i tubi devono ancora essere interrati. A differenza delle altre aree del paese, dove buona parte dei 550 chilometri di gasdotto è stata completata, i lavori a Kavala sono in ritardo. A ostacolarli sono state anche le proteste di alcuni contadini, tra cui Themis Kalpakides, presidente dell’associazione locale degli agricoltori, che racconta di aver visto le coltivazioni distrutte dai macchinari di TAP nel campo in cui stava lavorando. “Non ho avuto alcun preavviso e nessuno mi ha mostrato le autorizzazioni che legalizzassero quello che stavano facendo”, afferma. Dal canto suo, TAP afferma invece di aver “informato le persone coinvolte” attraverso delle “notifiche”, e di aver fatto delle comunicazioni pubbliche in aggiunta. L’azienda sostiene anche di aver risarcito “il 100% dei proprietari e degli utilizzatori dei terreni”, che in tutta la Grecia sono circa 13’000. Le proteste dei contadini in Grecia EGL e TAP ottengono subito il sostegno di Berna, ma i piani di importare gas dall’Iran si scontrano con le sanzioni di Washington, con la decisione degli Stati Uniti di isolare Teheran. Nel 2007 il governo di George W Bush parla di “accordo deleterio” e mette sotto forte pressione EGL e lo stesso Consiglio Federale. Il braccio di ferro dura a lungo e prende pieghe inaspettate, come ricostruito dalla RSI attraverso conversazioni con molteplici fonti. TAP cambia alleanze, strategie e assetti proprietari: per ottenere il sostegno dell’Unione Europea, per imporsi sui progetti concorrenti, come Nabucco, per riuscire a importare gas dall’Azerbaijan. La decisione definitiva del consorzio Shah Deniz – ovvero del gruppo di imprese che controlla i giacimenti sul mar Caspio da cui verrà estratto il gas – arriva nel 2013, quando la svizzera Axpo (ex EGL) possiede ancora il 42,5% della Trans Adriatic Pipeline, una quota che presto scenderà al 5%. Fino ad allora l’impegno di Berna in favore del gasdotto è costante. La politica svizzera La linea temporale Dal 2007 al 2012 Un grimaldello diplomatico. L’Iran Nel 2005, Micheline Calmy-Rey, che era alla guida del Dipartimento federale degli affari esteri, voleva trovare un modo per rilanciare il dialogo tra l’Iran e gli Stati Uniti sul dossier nucleare, facendo leva sui buoni uffici della Svizzera, potenza protettrice di Washington a Teheran. Il nuovo presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad aveva infatti rilanciato il programma di arricchimento dell’uranio, e gli Stati Uniti avevano risposto con sanzioni sempre più severe. Il Governo americano dell’allora presidente George W Bush aveva scelto la linea dura con Teheran, secondo la massima “ogni negoziato è già una concessione”, come ricorda un diplomatico elvetico. Ma Berna vuole tentare comunque di convincere il Governo iraniano, e il gasdotto TAP, ideato da un’azienda svizzera, rappresenta un’occasione perfetta. Il progetto, definito strategico dal punto di vista energetico, diventa così uno strumento di politica estera, un grimaldello per aprire la porta alle trattative sul nucleare. La diplomazia elvetica si mette al lavoro, sia a Teheran, sia a Berna, mentre i funzionari dell’Ufficio federale dell’energia seguono gli aspetti tecnici relativi al contratto di fornitura di gas tra EGL e la compagnia statale NIGEC. L’intesa di massima per la fornitura di 5,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno viene raggiunta alla fine del 2006. La notizia, però, preoccupa gli Stati Uniti, che chiedono spiegazioni a Berna e non nascondono la propria irritazione. Il 18 luglio del 2007, rappresentanti dell’ambasciata americana incontrano alti funzionari della Confederazione. Pochi mesi dopo, l’ambasciatore svizzero a Washington Urs Ziswiler viene convocato dall’assistente Segretario di Stato Daniel Sullivan, e la stessa Micheline Calmy-Rey difende l’accordo davanti a diplomatici statunitensi, come rivelato da documenti pubblicati da Wikileaks. L’irritazione degli Stati Uniti L’assistente del segretario di Stato americano, Daniel Sullivan, nel settembre 2007 ha incontrato l’ambasciatore svizzero Urs Ziswiler per “sottolineare le preoccupazioni (degli Stati Uniti, ndr) sull’accordo di EGL con l’Iran per il gas/gasdotto, in particolare per il suo impatto negativo sugli sforzi di fare pressione sull’Iran perché si adegui alla Risoluzione di sicurezza dell’ONU sulle attività nucleari”. L’ambasciatore svizzero “ha difeso l’accordo, sostenendo che non va contro la risoluzione sulle sanzioni, e che è necessario per questioni di sicurezza energetica”. Calmy-Rey sotto pressione In un documento segreto dell’11 settembre 2007 si legge che la diplomatica statunitense Leigh Carter il 7 settembre ha incontrato Micheline Calmy-Rey per parlare delle preoccupazioni degli Stati Uniti sull’accordo EGL-Iran. L’allora presidente della Confederazione ha difeso l’intesa, affermando che “EGL è un’azienda privata” ma aggiungendo anche che avrebbe preso nota del disappunto del Governo americano. Calmy-Rey è apparsa “cordiale ma concisa ed evasiva”, annota la diplomatica americana. Il rapporto del Congresso americano Il 12 dicembre 2008, un rapporto segreto del Congresso americano cita l’accordo tra la svizzera EGL e l’Iran per una fornitura di gas della durata di 25 anni, da trasportare attraverso una “Trans Adriatic Pipeline”. Gli Stati Uniti, si legge nel rapporto, “hanno criticato l’accordo sostenendo che manda un ‘messaggio sbagliato’ all’Iran. Tuttavia, […] l’accordo sembra riguardare solo la fornitura di gas e non l’esplorazione, quindi non violerebbe le sanzioni” L’irritazione degli Stati Uniti L’assistente del segretario di Stato americano, Daniel Sullivan, nel settembre 2007 ha incontrato l’ambasciatore svizzero Urs Ziswiler per “sottolineare le preoccupazioni (degli Stati Uniti, ndr) sull’accordo di EGL con l’Iran per il gas/gasdotto, in particolare per il suo impatto negativo sugli sforzi di fare pressione sull’Iran perché si adegui alla Risoluzione di sicurezza dell’ONU sulle attività nucleari”. L’ambasciatore svizzero “ha difeso l’accordo, sostenendo che non va contro la risoluzione sulle sanzioni, e che è necessario per questioni di sicurezza energetica”. Calmy-Rey sotto pressione In un documento segreto dell’11 settembre 2007 si legge che la diplomatica statunitense Leigh Carter il 7 settembre ha incontrato Micheline Calmy-Rey per parlare delle preoccupazioni degli Stati Uniti sull’accordo EGL-Iran. L’allora presidente della Confederazione ha difeso l’intesa, affermando che “EGL è un’azienda privata” ma aggiungendo anche che avrebbe preso nota del disappunto del Governo americano. Calmy-Rey è apparsa “cordiale ma concisa ed evasiva”, annota la diplomatica americana. Il rapporto del Congresso americano Il 12 dicembre 2008, un rapporto segreto del Congresso americano cita l’accordo tra la svizzera EGL e l’Iran per una fornitura di gas della durata di 25 anni, da trasportare attraverso una “Trans Adriatic Pipeline”. Gli Stati Uniti, si legge nel rapporto, “hanno criticato l’accordo sostenendo che manda un ‘messaggio sbagliato’ all’Iran. Tuttavia, […] l’accordo sembra riguardare solo la fornitura di gas e non l’esplorazione, quindi non violerebbe le sanzioni” vai alla prima pagina La storia iraniana Nonostante l’opposizione degli Stati Uniti, la Svizzera, inizialmente, mantiene le proprie posizioni: si tratta di un progetto strategico per la sicurezza energetica della Confederazione e il contratto per la fornitura di gas non contravviene alle sanzioni, perché non costituisce un investimento diretto nelle infrastrutture energetiche iraniane, come ricorda Pascal Previdoli, direttore supplente e capo della divisione economia energetica dell’Ufficio federale dell’energia, che ha seguito tutta l’evoluzione del progetto. Intanto, le trattative con le autorità iraniane si fanno più concitate: Teheran insiste sulla presenza di un alto esponente del Governo elvetico alla firma del contratto tra EGL e NIGEC. In caso contrario, ricorda un funzionario del Dipartimento federale degli affari esteri, l’accordo potrebbe saltare. Micheline Calmy-Rey accetta di andare a Teheran, anche se la scelta è controversa e dibattuta tra i suoi stessi collaboratori, alcuni dei quali preferirebbero lasciare il tutto in mano al Dipartimento federale dell’energia (DATEC) per evitare strumentalizzazioni. Inizialmente il programma prevede un incontro con il suo omologo, il ministro degli esteri iraniano Manoucher Mottaki, e la presenza di entrambi alla firma del contratto. Il protocollo, però, è in mano alle autorità iraniane, e il 17 marzo del 2008 Micheline Calmy Rey incontra anche il presidente Mahmoud Ahmadinejad. La foto di quel giorno, con l’allora capa del DFAE che indossa il velo, fa il giro del mondo e suscita forti polemiche. Ancora oggi la missione a Teheran viene considerata un successo da alcuni ex collaboratori, che sottolineano come la visita abbia portato, pochi mesi dopo, a colloqui sul nucleare a Ginevra. Ma c’è anche chi ricorda che i negoziati sono poi crollati e che nel 2010, la Svizzera ha fatto una completa inversione di rotta: l’accordo fra EGL-NIGEC viene congelato, e, in seguito, definitivamente sepolto. La spinta verde distacca TAPLe nuove politiche energetiche in Svizzera e in Europa vanno oltre i gasdotti L’inaugurazione di TAP è prevista per la fine del 2020, con otto anni di ritardo rispetto a quanto auspicato nel 2008, quando la società si poneva l’obiettivo di trasportare il primo gas entro il 2012. A oltre 16 anni dai primi schizzi sulle tovagliette di un birrificio di Baar per mano dei suoi ideatori, il “gasdotto svizzero” è quasi concluso. Anni di riassetti societari, pressioni diplomatiche e nuovi equilibri internazionali, che, però, di recente hanno anche visto un cambiamento radicale nelle politiche energetiche. Se agli inizi degli anni 2000 il gas naturale era ancora visto come un’energia fossile pulita, oggi la lotta contro il cambiamento climatico rimescola le carte: il gas non è più visto come una soluzione di lungo termine, bensì come una risorsa destinata ad essere abbandonata e questo nonostante diversi gasdotti siano ancora in costruzione. La Banca europea per gli investimenti (BEI), che ha sostenuto TAP con 700 milioni di euro, nel novembre 2019 ha dichiarato che interromperà i finanziamenti legati a combustibili fossili entro la fine del 2021. Intanto, l’accordo sul clima di Parigi del 2015 non solo ridimensiona l’importanza dell’infrastruttura, ma impegna l’Europa e la Svizzera a guardare avanti. Ne è convinto anche il direttore supplente dell’Ufficio federale dell’energia Pascal Previdoli: “Parto dal presupposto che in tutta Europa l’importanza di combustibili fossili diminuirà e che quindi – se si fa sul serio con gli accordi di Parigi – dovranno diminuire anche le quantità”. Questo significa che, in futuro, per rispettare l’impegno di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, un’opera come TAP (il cui costo complessivo si aggira attorno ai 45 miliardi di euro) evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, potrebbe rivelarsi ormai obsoleta. di Elena Boromeo, Thomas Paggini e Jona Mantovan

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L’inchiesta. La storia di TAP, un gasdotto svizzero

Guerra diplomatica tra potenze mondiali. Interessi contrapposti di colossi energetici. Geopolitica e affari. Promesse elettorali e proteste della popolazione. Nei 15 anni trascorsi dalla sua ideazione, il Trans Adriatic Pipeline (TAP) – il gasdotto che, attraversando Grecia e Albania servirà per portare in Italia il gas dei giacimenti dell’Azerbaijan – è stato spesso al centro della politica mondiale ed europea, da Berna a Bruxelles, da Teheran a Baku, da Mosca a Washington. Eppure, nel 2003 e negli anni a seguire, l’obiettivo del progetto era uno solo: garantire le forniture di gas ad alcune centrali elettriche che l’azienda svizzera EGL (oggi AXPO) stava costruendo in Italia. Offrire alla Svizzera nuove possibilità di approvvigionamento energetico. La storia di TAP, infatti inizia lì dove il consorzio ha sede ancora oggi: nella tranquilla cittadina di Baar. Il progetto Il gas iraniano Nel 2006 iniziano le trattative con l’Iran. Il 17 marzo del 2008 la consigliera federale Micheline Calmy-Rey è a Teheran, dove viene firmato un contratto tra EGL e la compagnia di stato iraniana NIGEC per la fornitura di 5,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. L’accordo salta anche in seguito alle pressioni degli Stati Uniti. La sede TAP nasce formalmente il 19 marzo del 2007 a Zugo, e tre mesi dopo sposta la propria sede legale a Baar. Già nel 2003 i primi incontri che portano alla nascita del gasdotto voluto da EGL (oggi AXPO) si tengono proprio in un birrificio di Baar. Il Consiglio federale Berna sostiene fin dall’inizio il progetto, definito “parte integrante della strategia di politica estera della Svizzera in materia energetica” e in linea con gli interessi economici della Confederazione. Il Consiglio federale ha promosso TAP sia in Iran, sia in Azerbaijan. L’Unione Europea Inizialmente Bruxelles guarda con scetticismo a TAP, visto anche che i soci, la svizzera EGL e la norvegese NIGEC, non hanno sede nell’Unione Europea. Il 28 giugno del 2013 l’allora presidente della Commissione Europea Barroso definisce la decisione dell’Azerbaijan di affidarsi a TAP “un successo per l’Europa”. Le centrali elettriche All’inizio degli anni 2000, EGL decide di costruire delle centrali a gas sul territorio italiano per produrre elettricità. Ne vengono realizzate tre: una a Sparanise (Campania), una a Rizziconi (Calabria) e una a Ferrara (Emilia). Le centrali oggi sono del tutto o in parte controllate da Axpo. Punto di approdo e proteste La spiaggia di San Foca, nel territorio di Melendugno, è il punto di arrivo del gasdotto. Un gruppo di cittadini contrari ha dato vita al comitato No TAP, che da anni denuncia l’impatto negativo che l’opera avrebbe sul turismo e sull’ambiente (il progetto prevede, tra le altre cose, l’espianto di oltre 2’000 ulivi). Punto di approdo e proteste La spiaggia di San Foca, nel territorio di Melendugno, è il punto di arrivo del gasdotto. Un gruppo di cittadini contrari ha dato vita al comitato No TAP, che da anni denuncia l’impatto negativo che l’opera avrebbe sul turismo e sull’ambiente (il progetto prevede, tra le altre cose, l’espianto di oltre 2’000 ulivi). I giacimenti azeri L’Azerbaijan è il paese che fornirà il gas per il Trans Adriatic Pipeline: il giacimento Shah Deniz – gestito da un consorzio di società, tra cui l’azera SOCAR – dovrebbe fornire 10 miliardi di metri cubi l’anno. L’ex repubblica sovietica ha firmato nel 2007 un memorandum per l’energia con la Svizzera. Il tracciato ellenico TAP attraversa tutta la Grecia da est a ovest per 550 chilometri. Durante i lavori, inaugurati nel 2016 dal primo ministro Alexis Tsipras, ci sono state proteste e contestazioni da parte di alcune comunità locali. È il caso di Kavala, dove alcuni contadini si sono opposti all’esproprio dei terreni. Le speranze di Tirana Il Governo dà pieno sostegno a TAP, sperando che i 215 chilometri di gasdotto possano rilanciare l’economia. In Albania non si segnalano proteste, ma alcuni agricoltori lamentano di aver ricevuto rimborsi troppo bassi. Il sindaco di Korçë (Coriza) vorrebbe utilizzare parte del gas per la sua città. Il gas iraniano Nel 2006 iniziano le trattative con l’Iran. Il 17 marzo del 2008 la consigliera federale Micheline Calmy-Rey è a Teheran, dove viene firmato un contratto tra EGL e la compagnia di stato iraniana NIGEC per la fornitura di 5,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. L’accordo salta anche in seguito alle pressioni degli Stati Uniti. La sede TAP nasce formalmente il 19 marzo del 2007 a Zugo, e tre mesi dopo sposta la propria sede legale a Baar. Già nel 2003 i primi incontri che portano alla nascita del gasdotto voluto da EGL (oggi AXPO) si tengono proprio in un birrificio di Baar. Il Consiglio federale Berna sostiene fin dall’inizio il progetto, definito “parte integrante della strategia di politica estera della Svizzera in materia energetica” e in linea con gli interessi economici della Confederazione. Il Consiglio federale ha promosso TAP sia in Iran, sia in Azerbaijan. L’Unione Europea Inizialmente Bruxelles guarda con scetticismo a TAP, visto anche che i soci, la svizzera EGL e la norvegese NIGEC, non hanno sede nell’Unione Europea. Il 28 giugno del 2013 l’allora presidente della Commissione Europea Barroso definisce la decisione dell’Azerbaijan di affidarsi a TAP “un successo per l’Europa”. Le centrali elettriche All’inizio degli anni 2000, EGL decide di costruire delle centrali a gas sul territorio italiano per produrre elettricità. Ne vengono realizzate tre: una a Sparanise (Campania), una a Rizziconi (Calabria) e una a Ferrara (Emilia). Le centrali oggi sono del tutto o in parte controllate da Axpo. Punto di approdo e proteste La spiaggia di San Foca, nel territorio di Melendugno, è il punto di arrivo del gasdotto. Un gruppo di cittadini contrari ha dato vita al comitato No TAP, che da anni denuncia l’impatto negativo che l’opera avrebbe sul turismo e sull’ambiente (il progetto prevede, tra le altre cose, l’espianto di oltre 2’000 ulivi). Punto di approdo e proteste La spiaggia di San Foca, nel territorio di Melendugno, è il punto di arrivo del gasdotto. Un gruppo di cittadini contrari ha dato vita al comitato No TAP, che da anni denuncia l’impatto negativo che l’opera avrebbe sul turismo e sull’ambiente (il progetto prevede, tra le altre cose, l’espianto di oltre 2’000 ulivi). I giacimenti azeri L’Azerbaijan è il paese che fornirà il gas per il Trans Adriatic Pipeline: il giacimento Shah Deniz – gestito da un consorzio di società, tra cui l’azera SOCAR – dovrebbe fornire 10 miliardi di metri cubi l’anno. L’ex repubblica sovietica ha firmato nel 2007 un memorandum per l’energia con la Svizzera. Il tracciato ellenico TAP attraversa tutta la Grecia da est a ovest per 550 chilometri. Durante i lavori, inaugurati nel 2016 dal primo ministro Alexis Tsipras, ci sono state proteste e contestazioni da parte di alcune comunità locali. È il caso di Kavala, dove alcuni contadini si sono opposti all’esproprio dei terreni. Le speranze di Tirana Il Governo dà pieno sostegno a TAP, sperando che i 215 chilometri di gasdotto possano rilanciare l’economia. In Albania non si segnalano proteste, ma alcuni agricoltori lamentano di aver ricevuto rimborsi troppo bassi. Il sindaco di Korçë (Coriza) vorrebbe utilizzare parte del gas per la sua città. vai alla prima pagina Le origini Le origini”Una partita a scacchi per adulti”Da una birreria del canton Zugo ai palazzi del potere Hugo Rothenbühler ha assolutamente bisogno di qualcuno che conosca il settore del gas. È il 2003, Il mercato italiano dell’elettricità, fresco delle liberalizzazioni dei primi anni 2000, promette buoni guadagni e l’azienda energetica per cui lavora, la svizzera EGL (Elektrizitäts Gesellschaft Laufenburg), punta a rompere il monopolio dell’ENI, producendo elettricità direttamente in Italia con 5-6 centrali alimentate a gas. Una è già in costruzione. Rothenbühler ha fretta, sa di non essere “uomo di gas”, ma ha in mente la persona giusta. Un giovane con esperienze in Wingas, Wintershall e Gazprom, incontrato tempo prima e che lo aveva colpito: Joachim Conrad. Il dirigente di EGL ingaggia un cacciatore di teste con l’incarico di rintracciarlo e di chiedergli di lavorare per lui, di trovare il gas per le centrali. Conrad è indeciso. EGL è una compagnia piccola e lui sa bene che per un progetto di quella portata c’è bisogno di un grosso capitale. Oppure di idee “così interessanti” da attirare l’attenzione dei grandi player. Alla fine il giovane manager accetta l’incarico, chiama alcuni ex colleghi e si mette al lavoro. La priorità è rispondere alla domanda: “dove prendiamo il gas?”. I gasdotti esistenti vengono scartati, sono controllati dai colossi del settore e non ci sarebbe modo di strappare prezzi competitivi. Bisogna esplorare nuove strade: “Quando abbiamo iniziato, abbiamo fatto quattro cerchi sulla cartina: uno sulla Russia, uno sull’Iran, uno sull’Azerbaijan e uno sull’Algeria”, racconta un altro ex manager. I primi schizzi sono buttati giù sulle tovagliette e sui sottobicchieri del birrificio di Baar, nel canton Zugo, durante alcune cene. L’idea della Trans Adriatic Pipeline (TAP) comincia a prendere forma: un nuovo gasdotto che colleghi il sud Europa a una delle regioni più ricche di gas al mondo. Loro lo chiamano “il collegamento mancante”. Un progetto del genere, che si scontra con gli interessi di altri paesi, senza il sostegno della politica è morto in partenza. Conrad lo sa bene, e sviluppa una strategia per mettere in luce i possibili benefici per Berna: il gas potrebbe arrivare in Svizzera attraverso il reverse flow, le stesse centrali in Italia potrebbero garantire elettricità alla Confederazione, in caso di bisogno. I lavori preparatori durano meno di un anno. Da questo momento, interessi economici e strategie politiche si intrecciano in maniera indissolubile. Inizia quella che un ex manager definisce “una partita a scacchi per adulti”. L’idea di EGL è quella di costruire un gasdotto in grado di trasportare fino a 20 miliardi di metri cubi di gas l’anno verso l’Italia. Di questi, l’azienda vuole assicurarsene 5 – 6 miliardi: 3 servono per il solo funzionamento centrali in Italia, gli altri possono essere venduti, eventualmente anche in Svizzera. L’ideatore di TAP, Joachim Conrad, racconta come è nato il progetto L’ideatore del progetto I potenziali benefici per la Svizzera permettono al progetto di ottenere, da una parte, il sostegno della Confederazione, che considera TAP strategico per la propria sicurezza energetica, e dall’altra di attirare l’attenzione di altri investitori. Il gas, nella prima fase, deve provenire dal secondo produttore al mondo: l’Iran. Ma nello stesso tempo, gli uomini di EGL iniziano a intessere relazioni anche con l’Azerbaijan. Socar, la compagnia nazionale azera, “ha sempre avuto un orecchio teso verso TAP” – riferisce una fonte – sebbene avesse partecipazioni in Nabucco, il gasdotto concorrente. Nel 2008, la norvegese Statoil entra in società con EGL e, poco dopo, Conrad lascia l’azienda. Molti dei suoi collaboratori, invece, restano. EGL, che nel frattempo è stata assorbita completamente da Axpo, nel 2013 vende gran parte delle sue quote. Intanto, TAP è diventato un progetto di rilevanza europea. E come tale, non poteva non attirare anche l’attenzione di Russia e Stati Uniti. Lo scacchiere è completo. Il ruolo della Russia Il retroscenaMolecole di gas russo L’ombra di Mosca cade su TAP già dalle prime trattative, nella seconda metà degli anni 2000. “Non voglio vedere gas russo lì dentro”, è il monito di un commissario europeo nei ricordi di un dirigente del consorzio svizzero. La crisi tra Russia e Ucraina del 2006 ha lasciato il segno, la chiusura dei rubinetti della compagnia di stato Gazprom, per una disputa con Kiev sul prezzo del gas, aveva provocato un preoccupante calo nelle forniture europee. Bruxelles vuole diversificare e rendersi meno dipendente dal suo principale fornitore. TAP, però, non è favorevole all’esclusione di Gazprom. Il gasdotto è pensato per trasportare fino a 20 miliardi di metri cubi l’anno, l’Azerbaijan avrebbe potuto garantirne al massimo la metà. Il consorzio conta di acquistare il resto del gas in Iran, e in seguito persino in Russia. La strategia è di lungo termine, e Joachim Conrad è convinto che ciò che al momento appare politicamente irrealizzabile, tra qualche anno potrebbe diventare realtà. Vale per l’Iran, isolato e sotto sanzioni statunitensi. Vale per Mosca e le tensioni con Washington. Vale per Bruxelles, che inizialmente favorisce gasdotti concorrenti, e poi garantisce a TAP il sostegno politico necessario, spianando la strada ai finanziamenti. La Banca europea per gli investimenti (BEI) mette a disposizione 700 milioni di euro, quella per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) un prestito di un miliardo. Il progetto nato in un birrificio di Baar diventa, nelle parole del vicepresidente della BEI Andrew McDowell, “la più grande infrastruttura energetica attualmente in costruzione in Europa”. Un gasdotto dal quale, di questo Joachim Conrad è sicuro ancora oggi, passerà anche “qualche molecola di gas russo”. vai alla prima pagina Il ruolo della Russia Lungo il tracciato Le proteste in Italia In ItaliaIl gas infiamma le protestePer gli abitanti “gli ulivi non si toccano” Mobilitazioni, battaglie giudiziarie e scontri politici: è una lotta a tutto campo quella che TAP si è trovata a fronteggiare in Italia. Nonostante gli appena otto chilometri di gasdotto che interessano il territorio italiano (a differenza dei 550 della Grecia e dei 215 dell’Albania), la società di Baar ha trovato l’opposizione più dura proprio nella penisola. E più esattamente a Melendugno, un piccolo comune a sud di Lecce che vive di turismo e produzione di olio di oliva, scelto come punto d’approdo del gasdotto. Una parte della comunità locale, che fin dal 2012 si è organizzata attorno al comitato No TAP, critica l’impatto dell’opera sul territorio, a partire dalla rimozione di circa 2’000 ulivi (in parte già espiantati e stoccati in attesa di trovare una nuova collocazione), gli scavi in mare e la costruzione di un microtunnel sotto la spiaggia di San Foca. A preoccupare la popolazione è anche il terminale di ricezione del gas che dovrà essere costruito in aperta campagna, e che secondo gli oppositori, immetterà sostanze nocive nell’aria. TAP replica che si tratterebbe di “emissioni occasionali” ridotte, e comunque al di sotto dei limiti di legge. Le proteste, che in alcuni casi sono sfociate in scontri violenti tra la polizia e i manifestanti, sono riuscite solo a rallentare i lavori, ma non a bloccarli. Nel 2018, TAP ha incassato il sostegno del Governo italiano a guida gialloverde. “Interrompere la realizzazione dell’opera comporterebbe costi insostenibili”, ha dichiarato il premier Giuseppe Conte in ottobre, con una clamorosa marcia indietro rispetto a quanto promesso dal Movimento 5 stelle in campagna elettorale e dal grillino Alessandro Di Battista, che in un incontro pubblico aveva affermato: “Con noi al Governo quest’opera la blocchiamo in due settimane”. In Albania La speranza di un sindacoTirana spiana la strada ai lavori Alberi tagliati e inceneriti nelle stufe. Una cappa di fumo che ogni inverno ricopre la città. Parlando di TAP, il sindaco di Coriza Satiraq Filo vuole soprattutto vedere una possibilità: “Abbiamo un grosso problema perché la fonte principale di riscaldamento è la legna, con problemi per l’ambiente”. Per una delle poche regioni fredde del paese, il sindaco ha chiesto a TAP e al governo albanese di costruire un punto d’uscita sul gasdotto, in modo da potere, in futuro, eventualmente usare il gas per il riscaldamento di Coriza. L’idea è ben lontana dall’essere realizzata e mancano le infrastrutture, ma riassume le speranze di Tirana: sfruttare i lavori per rilanciare l’economia, diventare attiva nel mercato energetico e avere accesso a una risorsa sinora assente. In Albania, a differenza di quanto accaduto in Italia e in Grecia, non sono state organizzate manifestazioni contro i lavori: “Penso che la popolazione abbia accettato il progetto, sanno che è strategico non solo per la nostra regione, ma per tutto il paese”, sostiene Satiraq Filo. Un rapporto del 2017 dell’organizzazione Bankwatch, denuncia però proteste da parte degli agricoltori per gli indennizzi troppo bassi e descrive un clima di rassegnazione e impotenza legato agli espropri dei terreni. vai alla prima pagina Il sindaco di Coriza In Grecia Una cicatrice lunga 550 kmIl percorso di TAP tra campi coltivati e siti archeologici Per trovare TAP a Kavala bisogna allontanarsi dalle case di vacanza affacciate sul mare e dirigersi verso l’interno, nelle piccole strade sterrate della pianura di Filippi. In mezzo ai campi coltivati, si incontra una trincea scavata nella terra, una specie di cicatrice sul terreno protetta da una recinzione rossa, che prosegue a perdita d’occhio in entrambe le direzioni. A sorvegliare costantemente l’immenso cantiere, ci sono donne e uomini del posto, reclutati dalle agenzie di sicurezza. In questa zona della Grecia, situata tra la Macedonia e la Tracia, i tubi devono ancora essere interrati. A differenza delle altre aree del paese, dove buona parte dei 550 chilometri di gasdotto è stata completata, i lavori a Kavala sono in ritardo. A ostacolarli sono state anche le proteste di alcuni contadini, tra cui Themis Kalpakides, presidente dell’associazione locale degli agricoltori, che racconta di aver visto le coltivazioni distrutte dai macchinari di TAP nel campo in cui stava lavorando. “Non ho avuto alcun preavviso e nessuno mi ha mostrato le autorizzazioni che legalizzassero quello che stavano facendo”, afferma. Dal canto suo, TAP afferma invece di aver “informato le persone coinvolte” attraverso delle “notifiche”, e di aver fatto delle comunicazioni pubbliche in aggiunta. L’azienda sostiene anche di aver risarcito “il 100% dei proprietari e degli utilizzatori dei terreni”, che in tutta la Grecia sono circa 13’000. Le proteste dei contadini in Grecia EGL e TAP ottengono subito il sostegno di Berna, ma i piani di importare gas dall’Iran si scontrano con le sanzioni di Washington, con la decisione degli Stati Uniti di isolare Teheran. Nel 2007 il governo di George W Bush parla di “accordo deleterio” e mette sotto forte pressione EGL e lo stesso Consiglio Federale. Il braccio di ferro dura a lungo e prende pieghe inaspettate, come ricostruito dalla RSI attraverso conversazioni con molteplici fonti. TAP cambia alleanze, strategie e assetti proprietari: per ottenere il sostegno dell’Unione Europea, per imporsi sui progetti concorrenti, come Nabucco, per riuscire a importare gas dall’Azerbaijan. La decisione definitiva del consorzio Shah Deniz – ovvero del gruppo di imprese che controlla i giacimenti sul mar Caspio da cui verrà estratto il gas – arriva nel 2013, quando la svizzera Axpo (ex EGL) possiede ancora il 42,5% della Trans Adriatic Pipeline, una quota che presto scenderà al 5%. Fino ad allora l’impegno di Berna in favore del gasdotto è costante. La politica svizzera La linea temporale Dal 2007 al 2012 Un grimaldello diplomatico. L’Iran Nel 2005, Micheline Calmy-Rey, che era alla guida del Dipartimento federale degli affari esteri, voleva trovare un modo per rilanciare il dialogo tra l’Iran e gli Stati Uniti sul dossier nucleare, facendo leva sui buoni uffici della Svizzera, potenza protettrice di Washington a Teheran. Il nuovo presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad aveva infatti rilanciato il programma di arricchimento dell’uranio, e gli Stati Uniti avevano risposto con sanzioni sempre più severe. Il Governo americano dell’allora presidente George W Bush aveva scelto la linea dura con Teheran, secondo la massima “ogni negoziato è già una concessione”, come ricorda un diplomatico elvetico. Ma Berna vuole tentare comunque di convincere il Governo iraniano, e il gasdotto TAP, ideato da un’azienda svizzera, rappresenta un’occasione perfetta. Il progetto, definito strategico dal punto di vista energetico, diventa così uno strumento di politica estera, un grimaldello per aprire la porta alle trattative sul nucleare. La diplomazia elvetica si mette al lavoro, sia a Teheran, sia a Berna, mentre i funzionari dell’Ufficio federale dell’energia seguono gli aspetti tecnici relativi al contratto di fornitura di gas tra EGL e la compagnia statale NIGEC. L’intesa di massima per la fornitura di 5,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno viene raggiunta alla fine del 2006. La notizia, però, preoccupa gli Stati Uniti, che chiedono spiegazioni a Berna e non nascondono la propria irritazione. Il 18 luglio del 2007, rappresentanti dell’ambasciata americana incontrano alti funzionari della Confederazione. Pochi mesi dopo, l’ambasciatore svizzero a Washington Urs Ziswiler viene convocato dall’assistente Segretario di Stato Daniel Sullivan, e la stessa Micheline Calmy-Rey difende l’accordo davanti a diplomatici statunitensi, come rivelato da documenti pubblicati da Wikileaks. L’irritazione degli Stati Uniti L’assistente del segretario di Stato americano, Daniel Sullivan, nel settembre 2007 ha incontrato l’ambasciatore svizzero Urs Ziswiler per “sottolineare le preoccupazioni (degli Stati Uniti, ndr) sull’accordo di EGL con l’Iran per il gas/gasdotto, in particolare per il suo impatto negativo sugli sforzi di fare pressione sull’Iran perché si adegui alla Risoluzione di sicurezza dell’ONU sulle attività nucleari”. L’ambasciatore svizzero “ha difeso l’accordo, sostenendo che non va contro la risoluzione sulle sanzioni, e che è necessario per questioni di sicurezza energetica”. Calmy-Rey sotto pressione In un documento segreto dell’11 settembre 2007 si legge che la diplomatica statunitense Leigh Carter il 7 settembre ha incontrato Micheline Calmy-Rey per parlare delle preoccupazioni degli Stati Uniti sull’accordo EGL-Iran. L’allora presidente della Confederazione ha difeso l’intesa, affermando che “EGL è un’azienda privata” ma aggiungendo anche che avrebbe preso nota del disappunto del Governo americano. Calmy-Rey è apparsa “cordiale ma concisa ed evasiva”, annota la diplomatica americana. Il rapporto del Congresso americano Il 12 dicembre 2008, un rapporto segreto del Congresso americano cita l’accordo tra la svizzera EGL e l’Iran per una fornitura di gas della durata di 25 anni, da trasportare attraverso una “Trans Adriatic Pipeline”. Gli Stati Uniti, si legge nel rapporto, “hanno criticato l’accordo sostenendo che manda un ‘messaggio sbagliato’ all’Iran. Tuttavia, […] l’accordo sembra riguardare solo la fornitura di gas e non l’esplorazione, quindi non violerebbe le sanzioni” L’irritazione degli Stati Uniti L’assistente del segretario di Stato americano, Daniel Sullivan, nel settembre 2007 ha incontrato l’ambasciatore svizzero Urs Ziswiler per “sottolineare le preoccupazioni (degli Stati Uniti, ndr) sull’accordo di EGL con l’Iran per il gas/gasdotto, in particolare per il suo impatto negativo sugli sforzi di fare pressione sull’Iran perché si adegui alla Risoluzione di sicurezza dell’ONU sulle attività nucleari”. L’ambasciatore svizzero “ha difeso l’accordo, sostenendo che non va contro la risoluzione sulle sanzioni, e che è necessario per questioni di sicurezza energetica”. Calmy-Rey sotto pressione In un documento segreto dell’11 settembre 2007 si legge che la diplomatica statunitense Leigh Carter il 7 settembre ha incontrato Micheline Calmy-Rey per parlare delle preoccupazioni degli Stati Uniti sull’accordo EGL-Iran. L’allora presidente della Confederazione ha difeso l’intesa, affermando che “EGL è un’azienda privata” ma aggiungendo anche che avrebbe preso nota del disappunto del Governo americano. Calmy-Rey è apparsa “cordiale ma concisa ed evasiva”, annota la diplomatica americana. Il rapporto del Congresso americano Il 12 dicembre 2008, un rapporto segreto del Congresso americano cita l’accordo tra la svizzera EGL e l’Iran per una fornitura di gas della durata di 25 anni, da trasportare attraverso una “Trans Adriatic Pipeline”. Gli Stati Uniti, si legge nel rapporto, “hanno criticato l’accordo sostenendo che manda un ‘messaggio sbagliato’ all’Iran. Tuttavia, […] l’accordo sembra riguardare solo la fornitura di gas e non l’esplorazione, quindi non violerebbe le sanzioni” vai alla prima pagina La storia iraniana Nonostante l’opposizione degli Stati Uniti, la Svizzera, inizialmente, mantiene le proprie posizioni: si tratta di un progetto strategico per la sicurezza energetica della Confederazione e il contratto per la fornitura di gas non contravviene alle sanzioni, perché non costituisce un investimento diretto nelle infrastrutture energetiche iraniane, come ricorda Pascal Previdoli, direttore supplente e capo della divisione economia energetica dell’Ufficio federale dell’energia, che ha seguito tutta l’evoluzione del progetto. Intanto, le trattative con le autorità iraniane si fanno più concitate: Teheran insiste sulla presenza di un alto esponente del Governo elvetico alla firma del contratto tra EGL e NIGEC. In caso contrario, ricorda un funzionario del Dipartimento federale degli affari esteri, l’accordo potrebbe saltare. Micheline Calmy-Rey accetta di andare a Teheran, anche se la scelta è controversa e dibattuta tra i suoi stessi collaboratori, alcuni dei quali preferirebbero lasciare il tutto in mano al Dipartimento federale dell’energia (DATEC) per evitare strumentalizzazioni. Inizialmente il programma prevede un incontro con il suo omologo, il ministro degli esteri iraniano Manoucher Mottaki, e la presenza di entrambi alla firma del contratto. Il protocollo, però, è in mano alle autorità iraniane, e il 17 marzo del 2008 Micheline Calmy Rey incontra anche il presidente Mahmoud Ahmadinejad. La foto di quel giorno, con l’allora capa del DFAE che indossa il velo, fa il giro del mondo e suscita forti polemiche. Ancora oggi la missione a Teheran viene considerata un successo da alcuni ex collaboratori, che sottolineano come la visita abbia portato, pochi mesi dopo, a colloqui sul nucleare a Ginevra. Ma c’è anche chi ricorda che i negoziati sono poi crollati e che nel 2010, la Svizzera ha fatto una completa inversione di rotta: l’accordo fra EGL-NIGEC viene congelato, e, in seguito, definitivamente sepolto. La spinta verde distacca TAPLe nuove politiche energetiche in Svizzera e in Europa vanno oltre i gasdotti L’inaugurazione di TAP è prevista per la fine del 2020, con otto anni di ritardo rispetto a quanto auspicato nel 2008, quando la società si poneva l’obiettivo di trasportare il primo gas entro il 2012. A oltre 16 anni dai primi schizzi sulle tovagliette di un birrificio di Baar per mano dei suoi ideatori, il “gasdotto svizzero” è quasi concluso. Anni di riassetti societari, pressioni diplomatiche e nuovi equilibri internazionali, che, però, di recente hanno anche visto un cambiamento radicale nelle politiche energetiche. Se agli inizi degli anni 2000 il gas naturale era ancora visto come un’energia fossile pulita, oggi la lotta contro il cambiamento climatico rimescola le carte: il gas non è più visto come una soluzione di lungo termine, bensì come una risorsa destinata ad essere abbandonata e questo nonostante diversi gasdotti siano ancora in costruzione. La Banca europea per gli investimenti (BEI), che ha sostenuto TAP con 700 milioni di euro, nel novembre 2019 ha dichiarato che interromperà i finanziamenti legati a combustibili fossili entro la fine del 2021. Intanto, l’accordo sul clima di Parigi del 2015 non solo ridimensiona l’importanza dell’infrastruttura, ma impegna l’Europa e la Svizzera a guardare avanti. Ne è convinto anche il direttore supplente dell’Ufficio federale dell’energia Pascal Previdoli: “Parto dal presupposto che in tutta Europa l’importanza di combustibili fossili diminuirà e che quindi – se si fa sul serio con gli accordi di Parigi – dovranno diminuire anche le quantità”. Questo significa che, in futuro, per rispettare l’impegno di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, un’opera come TAP (il cui costo complessivo si aggira attorno ai 45 miliardi di euro) evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, potrebbe rivelarsi ormai obsoleta. di Elena Boromeo, Thomas Paggini e Jona Mantovan

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Effetto coronavirus: l’aria diventa più respirabile

Effetto coronavirus: l’aria diventa più respirabile. I satelliti rivelano una netta diminuzione dell’inquinamento sul Nord Italia A marzo l’aria del Nord Italia è diventata nettamente più pulita in concomitanza con le misure di contenimento del coronavirus. Secondo le elaborazioni dei satelliti, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, le concentrazioni di diossido di azoto (NO2), un gas inquinante prodotto dalle attività umane, sono calate di circa il 10% ogni settimana, nel corso di quattro-cinque ultime settimane. A Milano, le concentrazioni medie di NO2 sono passate da 65 mg/m3 nel mese di gennaio a 35 mg/m3 nella prima metà di marzo. Questa riduzione può essere attribuita a diversi fattori, tra cui la diminuzione del traffico automobilistico e degli impianti produttivi, dovuta a sua volta allo stop alle attività e alle restrizioni sugli spostamenti per il coronavirus. Lo dimostrano le rilevazioni del servizio europeo Copernicus diffuse in questi giorni: sulla mappa pubblicata dall’Agenzia spaziale europea (ESA), si può constatare una riduzione delle aree rosse sulla pianura Padana da inizio gennaio al 10 marzo. Un effetto simile lo si era già osservato in Cina, dove le immagini della NASA avevano mostrato un miglioramento della qualità dell’aria in corrispondenza di un rallentamento delle attività economiche, legato alla quarantena per il Covid-19.

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Uno storno rimane incastrato in un tombino, i pompieri lo salvano

Uno storno rimane incastrato in un tombino, i pompieri lo salvano Che cosa cercano sei forzuti vigili del fuoco in un tombino di Downham Market, un paese della contea del Norfolk, in Inghilterra? Un guasto alla rete elettrica, una perdita di acqua o di gas? Nulla di tutto questo. I pompieri del dipartimento di Norfolk, sono impegnati nel salvataggio di uno storno incastrato nella fessura della caditoia del tombino della fogna. A dare l’allarme, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, alcuni cittadini che hanno visto la testolina dell’uccello che tentava disperatamente di liberarsi e di uscire dalla grata del tombino. I vigili del fuoco, usando quella che è stata descritta come “una combinazione di attrezzature di sollevamento specializzate e forza bruta”, sono facilmente riusciti a liberarlo, sollevando il tombino e consentendo alla sig.ra Naemi Kilbey della RSPCA (acronimo di Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, un ente di beneficenza che opera in Inghilterra e nel Galles e che promuove il benessere degli animali) di entrare e catturare lo storno. Non si sa come abbia fatto questo storno a rimanere intrappolato in questo modo in un tombino in mezzo alla strada. Tuttavia questa storia ha avuto un lieto fine: l’uccello è stato liberato grazie agli sforzi congiunti di vigili del fuoco e della RSPCA, un’organizzazione britannica per la protzione degli animali. “Nel corso degli anni ho dovuto partecipare a molti soccorsi, ma questo è sicuramente uno dei più insoliti. Quando assisti a un salvataggio di animali, di solito puoi capire come si sono fatti prendere dalla situazione, ma nel caso di questo piccolo storno, non so davvero come mai si sia trovato lì. Sono così grato a tutti coloro che sono stati coinvolti in questo salvataggio e sono così contento che l’uccello sia stato avvistato da un membro del pubblico, specialmente dato che si trovava in una posizione così particolare” ha dichiarato l’agente Naemi kilbey.

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Buenos Aires, serbatoio di stoccaggio del mattatoio rovescia 500 litri di sangue animale per le strade della città – VIDEO

Buenos Aires, serbatoio di stoccaggio del mattatoio rovescia 500 litri di sangue animale per le strade della città – VIDEO Macabro avvenimento nella capitale argentina di Buenos Aires. Un serbatoio di stoccaggio del mattatoio si è aperto e 500 litri di sangue animale appena macellato ivi contenuto si è riversato per le strade di Buenos Aires. Nel video amatoriale, uno dei residenti del quartiere di Morón, commenta sorpreso quanto sta accadendo. Stando al portale argentino Clarín, Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, la stessa azienda proprietaria del serbatoio di stoccaggio, non è riuscita a stabilire le cause dell’incidente.Ecco il video diventato virale: https://www.youtube.com/watch?v=UjtQ4Y4Dy44

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Effetto Coronavirus, il video virale di centinaia di scimmie selvagge affamate che combattono per un singolo pezzo di cibo in Thailandia

Effetto Coronavirus, il video virale di centinaia di scimmie selvagge affamate che combattono per un singolo pezzo di cibo in Thailandia

 

L’emergenza coronavirus spinge anche gli animali ad affannarsi per un singolo pezzo di cibo. Un video diffuso su internet e visualizzato migliaia di volte in poche ore documenta l’episodio avvenuto in nella città di Lopburi, nella Thailandia centrale. Centinaia di scimmie selvatiche affamate si combattono attorno ad una banana. I primati sono normalmente ben nutriti dai turisti, ma i visitatori sono diminuiti a causa del virus che sta investendo il mondo. Quindi, quando uno dei primati si è ritrovato con una banana matura, l’intero branco che vagava per le strade ha circondato la creatura questa mattina, 11 marzo, e ha cercato di afferrarla. Le immagini mostrano come centinaia di scimmie iniziano a litigare per la merenda. Quando uno degli animali è fuggito con il frutto, le creature lo inseguono su una sponda d’erba. Anche i locali abituati a vedere le creature sono rimasti scioccati dalla loro ferocia. Lo spettatore Sasaluk Rattanachai ha catturato la scena dall’esterno di un negozio dove lavora. Ha detto: ” Sembravano più cani selvatici che scimmie. Sono impazziti per un singolo pezzo di cibo. Non li ho mai visti così aggressivi. ” Penso che le scimmie fossero molto, molto affamate. Normalmente ci sono molti turisti qui per nutrire le scimmie, ma ora non ce ne sono così tanti, a causa del coronavirus. “”Lopburi è la patria di migliaia di scimmie selvagge che vagano per le strade e gli edifici. Molti vivono sulla base degli antichi templi buddisti della città. Il mese scorso è emerso che le scimmie selvatiche in Thailandia soffrivano a causa del coronavirus che causava un calo degli arrivi dei turisti del 44%. I primati che vivono in un parco pubblico a Songkhla, nel sud della Thailandia, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”,sono di solito ben nutriti dai turisti in visita dalla Malesia e dalla Cina. Tuttavia, la diffusione del coronavirus COVID-19 ha quasi fermato l’arrivo dei turisti nell’area, dove avrebbero normalmente dato da mangiare alle scimmie selvatiche. La gente del posto gentile è intervenuta martedì sera (26 febbraio) per dare alle scimmie angurie e pomodori freschi. Ecco il video: 

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Un grande asteroide volerà a 7,4 milioni di km dalla Terra

( Filippo Polito ) Il corpo celeste si avvicina al pianeta il 29 aprile L’asteroide 1998 OR2 volerà oltre la Terra ad una distanza di circa 6 milioni di km il 29 aprile. Questa distanza è quasi 16 volte maggiore della distanza tra il nostro pianeta e la luna. Su questo scrive il portale Cnet.com.  Il diametro del corpo celeste è di circa 4,1 km. Diventerà il più grande di tutti gli asteroidi che volano vicino alla Terra nel 2020. Nonostante il fatto che, secondo gli standard della NASA, 7,4 milioni di km siano considerati una distanza di sicurezza, la distanza percorsa dall’OR2 29 del 1998 può essere considerata abbastanza sicura, scrive il portale.

“Con i telescopi, sarà visto come una stella che galleggia lentamente attraverso l’orizzonte”, ha detto l’astronomo Eddie Irrizari al portale. “Gli osservatori saranno in grado di individuarlo con telescopi da 6 o 8 pollici.” Per coloro che non hanno i telescopi, il Virtual Telescope Project ha organizzato una trasmissione in diretta delle osservazioni di questo corpo celeste su Internet dal 28 aprile. La prossima opportunità di osservare l’asteroide da distanza ravvicinata apparirà solo nel 2079.

Fino ad ora, gli astronomi hanno scoperto nello spazio vicino alla Terra, cioè entro 7 milioni di km, circa 8 mila asteroidi più grandi di 140 m. Secondo il planetologo della NASA Lindley Johnson, il numero di asteroidi sconosciuti nello spazio vicino alla Terra con un diametro da 10 a 20 m può raggiungere diversi milioni.

Nell’ottobre 2021, la NASA prevede di lanciare  la stazione automatica Lucy, che studierà i sette asteroidi nel sistema solare. Nell’aprile 2025, dovrebbe avvicinarsi al piccolo asteroide 52246 Donaldjohanson nella fascia di asteroidi tra Marte e Giove. Quindi, negli anni 2027-2028, Lucy volerà intorno agli asteroidi Euribat, Polymela, Levk e Ohr.